Forse c’è una svolta nell’annosa questione dei capezzoli su Instagram
Un comitato interno a Meta ha chiesto che le regole di moderazione non facciano più discriminazioni tra quelli maschili e femminili
Le regole di moderazione di Instagram e Facebook, in particolare quelle che riguardano le foto di nudi e di capezzoli, sono da anni al centro di un dibattito che riguarda varie questioni, dalla discriminazione di genere alla libertà di espressione, e che coinvolge discipline e contesti diversi, dall’arte alla divulgazione scientifica. Il punto è che da sempre le linee guida di moderazione dei contenuti di Meta – l’azienda che possiede sia Instagram che Facebook, e che è una delle più influenti aziende tecnologiche al mondo – sono molto restrittive e vietano in molti casi la pubblicazione di foto di capezzoli femminili, ma non quelle di capezzoli maschili, con conseguenze spesso contraddittorie e paradossali, e ritenute da molti discriminatorie.
Questa settimana un comitato di sorveglianza indipendente ma interno all’azienda si è espresso contro questa policy, chiedendo una modifica delle norme di moderazione. Meta ha fatto sapere che la decisione del comitato è stata ben accolta: secondo quanto riportato dal Guardian ora l’azienda avrebbe due mesi di tempo per rispondere pubblicamente alle raccomandazioni. Da un lato Meta ha tutto l’interesse ad accontentare la significativa parte dei suoi utenti che da anni chiede che le regole diventino più permissive, spesso con lo slogan “Free the Nipple”, cioè “capezzoli liberi”. Dall’altra, però, non si tratta di una decisione semplice perché il rischio è di perdere il controllo sulla pubblicazione di contenuti pornografici.
Il comitato di sorveglianza di Meta è un organo che esiste dal 2020 ed è composto da 20 esperti in vari ambiti. Fu voluto dal capo del gruppo, Mark Zuckerberg, con lo scopo di esprimersi ed elaborare raccomandazioni indipendenti su questioni etiche e legate alla libertà di espressione. Martedì, esprimendosi su un caso che coinvolgeva una foto di capezzoli, il comitato ha chiesto ufficialmente a Meta una revisione dei criteri che riguardano la moderazione di contenuti di nudo e a tema sessuale, affinché «rispettino gli standard internazionali dei diritti umani».
Il caso da cui è cominciato tutto riguarda l’account di una coppia composta da una persona trans e una non binaria che aveva pubblicato due post con una loro foto senza maglietta ma con i capezzoli coperti. Lo scopo del post era promuovere una raccolta fondi per l’operazione di mastectomia (quella che viene a volte fatta dalle persone trans per avere un petto maschile) di uno dei due. Il post era stato segnalato da alcuni utenti e il sistema di intelligenza artificiale di Meta che gestisce queste segnalazioni lo aveva rimosso. La coppia aveva fatto “ricorso” sia a Meta sia al comitato di vigilanza, ma ancor prima che quest’ultimo si esprimesse Meta aveva deciso di ripristinare il post.
La moderazione dei contenuti pubblicati su Facebook e Instagram segue teoricamente una lunga lista di regole, ma non ha una procedura univoca e infallibile. Può cominciare con la segnalazione di uno o più utenti o da un sistema automatico che riconosce alcuni elementi problematici; e la rimozione di un post può essere decisa da un algoritmo, da un moderatore umano o da entrambi, in base ai casi. In generale comunque il numero di contenuti pubblicati ogni giorno sui social più utilizzati è troppo grande perché ogni caso sia valutato singolarmente da una persona. L’uso di algoritmi e intelligenze artificiali è diventato indispensabile per la moderazione dei contenuti di Meta, ma è anche quello da cui deriva la gran parte dei suoi problemi.
Per quanto riguarda le foto di nudi, i criteri rigidi di Meta sono stati pensati fin da subito per evitare che le sue piattaforme ospitino attività di promozione, diffusione o vendita di materiali erotici e pornografici. Ma distinguere tra questi e altri casi – per esempio tra foto in spiaggia e foto di nudo, tra materiali per l’educazione sessuale e illustrazioni erotiche, oppure tra pornografia e opere d’arte – non è sempre facile per gli algoritmi, e a volte neanche per le persone. Da questo deriva spesso un’applicazione delle regole eccessivamente estesa e rigida, che ha portato nel corso degli anni a molte polemiche.
– Leggi anche: Facebook e la contesa legale su “L’origine du monde”
Una delle prime proteste contro la moderazione di Facebook risale al 2008, quando un piccolo gruppo di madri si mise ad allattare i rispettivi figli piccoli davanti alla sede dell’azienda. L’organizzatrice era una donna a cui la piattaforma aveva impedito la pubblicazione di una foto in cui allattava, sostenendo che non fosse conforme alle regole. Tra il 2012 e il 2013 era poi nata ufficialmente la campagna #FreetheNipple, per combattere la convenzione secondo cui l’esposizione dei capezzoli maschili sia culturalmente accettabile e quella dei capezzoli femminili no. La campagna prese il nome dal titolo di un film della regista Lina Esco, di cui si era parlato anche perché alcuni estratti pubblicati su Facebook furono rimossi dalla piattaforma.
Oggi teoricamente sulle piattaforme di Meta sono autorizzate solo le immagini che mostrano i capezzoli di donne che allattano, dopo il parto o dopo operazioni chirurgiche al seno. Ma anche i criteri usati per capire quando una foto rientra in queste categorie sono spesso vaghi e lasciati alla discrezione di moderatori e sistemi informatici. Nel regolamento di Instagram si fa riferimento anche al permesso di pubblicare nudi con capezzoli femminili per motivi di protesta, ma mostrare i capezzoli per protestare contro le policy di Meta, per esempio, non è possibile.
Quello che viene contestato all’azienda è che le sue regole diano per scontato il fatto che i capezzoli femminili siano immagini sessualmente esplicite mentre quelli maschili non lo siano, rinforzando uno stereotipo che secondo esperti e attivisti è dannoso per il modo in cui vengono percepiti i corpi femminili.
Il report redatto dal comitato di vigilanza riprende per certi versi tesi molto vicine a quelle portate avanti dai sostenitori della campagna #FreetheNipple. Si legge che la policy di Meta «si basa su una visione binaria del genere e su una distinzione tra corpi maschili e femminili» e che le restrizioni e le eccezioni alle regole di moderazione delle foto di capezzoli femminili «sono ampie e confuse». Conclude che i criteri di moderazione di Meta costituiscono «enormi barriere alla libertà di espressione di donne e persone trans e di genere non binario sulle sue piattaforme» e raccomanda una revisione nella direzione di trattare tutte le persone «senza discriminazioni basate sul sesso o il genere».
Micol Hebron, un’artista che da anni è impegnata nella campagna #FreetheNipple e che nel 2019 aveva partecipato a un incontro con alcuni rappresentanti di Instagram sulla questione, ha spiegato al Guardian che parlare di capezzoli può «suonare frivolo a molte persone», ma se si pensa a come i governi di molti paesi cercano di controllare e reprimere la libertà dei corpi femminili, o quelli delle persone trans, allora «non lo è».
Lo stesso caso da cui è derivata la raccomandazione del comitato di sorveglianza nasce probabilmente dalla volontà di alcuni utenti di segnalare un contenuto non tanto perché sessualmente esplicito, quanto perché esplicitamente riferito a esperienze di transizione di genere che sono state a lungo represse e molti vorrebbero continuare a tenere nascoste.