Che vita faceva Matteo Messina Denaro
Lo stanno ricostruendo le indagini seguite all'arresto del boss mafioso: la sua casa era ad appena 8 km dal comune in cui era nato
Matteo Messina Denaro abitava in un appartamento di 60 metri quadrati al piano terra di una palazzina a due piani in vicolo San Vito, a Campobello di Mazara, paese di poco meno di 11 mila abitanti in provincia di Trapani a otto chilometri da Castelvetrano, luogo di nascita del boss mafioso. Secondo le prime ricostruzioni degli investigatori, che hanno interrogato gli abitanti della via, Messina Denaro viveva lì da almeno sei mesi. Era latitante da 30 anni: uno degli obiettivi di chi conduce le indagini è quello di ricostruire dove abbia vissuto per tutti questi anni.
All’appartamento di Campobello di Mazara i carabinieri sono arrivati grazie alla chiave di un’automobile che Matteo Messina Denaro aveva nella borsa che portava in spalla al momento dell’arresto. È la borsa che si vede chiaramente nel video che riprende il latitante mentre entra, da solo, nella clinica La Maddalena di Palermo. La chiave è quella di un’Alfa Romeo 164. Dal codice della chiave i carabinieri sono risaliti a una targa. I dati dell’auto sono stati inseriti nel sistema informatico che gestisce le telecamere delle varie aree di territorio siciliano: i video hanno poi permesso di risalire agli spostamenti dell’auto e, quindi, all’indirizzo dell’appartamento.
La casa, così come l’auto, è intestata ad Andrea Bonafede, l’uomo di cui Messina Denaro aveva i documenti. Bonafede ha ammesso di aver comprato l’appartamento nel 2022 prelevando i soldi, avuti dal latitante, dal proprio conto. La casa sarebbe costata 20mila euro, acquistata poco prima che Messina Denaro venisse operato per la metastasi al fegato che l’aveva colpito dopo il tumore al colon. Bonafede e Messina Denaro si conoscono fin da ragazzi. Ciò che ha fatto il latitante è piuttosto semplice: si è di fatto impossessato dell’identità di Bonafede, sostituendosi a lui. Un furto d’identità con il consenso del derubato. Così a Campobello di Mazara c’erano due Andrea Bonafede: quello vero, nato e residente lì da sempre, e quello finto che era in realtà Matteo Messina Denaro, nato a pochi chilometri di distanza e ricercato da 30 anni.
Gli investigatori stanno cercando di capire se davvero in un paese di 11 mila abitanti una simile situazione sia passata del tutto inosservata. I pubblici ministeri titolari dell’indagine stanno valutando la posizione del dottor Alfonso Tumbarello di Campobello di Mazara, ex candidato sindaco del paese per il Popolo della Libertà: era colui che firmava ricette e richieste di analisi cliniche ad Andrea Bonafede-Matteo Messina Denaro dopo aver avuto in cura per anni, come medico di famiglia, il vero Bonafede. Va anche capito quale fosse il ruolo di Giovanni Luppino, 59 anni: è l’uomo che da Campobello di Mazara ha accompagnato Matteo Messina Denaro a Palermo lunedì mattina. Luppino, che è un imprenditore agricolo di Campobello di Mazara, è incensurato.
Ci sono molte altre questioni che dovranno essere approfondite dalle indagini: in banca, come avvenivano i passaggi di denaro tra il vero e il finto Andrea Bonafede? E chi forniva i certificati e i documenti con il timbro del comune di Campobello di Mazara? Si tratta di complicità “di prossimità”, cioè quel tipo di complicità “quotidiane” che hanno costituito la fitta rete di protezione di cui ha goduto per molti anni Matteo Messina Denaro.
Ci sono poi state con ogni probabilità complicità di più alto livello, come ha spiegato il procuratore capo di Palermo Maurizio De Lucia nella conferenza stampa dopo l’arresto. De Lucia ha parlato di «fette della borghesia siciliana» riferendosi probabilmente a chi ha permesso che Messina Denaro si curasse e venisse sottoposto a operazioni chirurgiche come se non fosse il numero uno nella lista dei ricercati italiani.
Non sono emerse informazioni su ritrovamenti importanti nella casa dove viveva Matteo Messina Denaro, ma è probabile comunque che se anche questi ritrovamenti ci fossero stati la notizia non sarebbe stata rivelata alla stampa. Abbondano invece altre informazioni: i giornali descrivono la casa come «confortevole», e c’erano molti abiti e sneakers di marca.
Matteo Messina Denaro infatti è sempre stato descritto da ex mafiosi divenuti collaboratori di giustizia come un boss molto diverso, nello stile e negli atteggiamenti, dai capi mafiosi di altre generazioni, come Totò Riina e Bernardo Provenzano. Raccontò il pentito Francesco Geraci che quando Messina Denaro partì dalla Sicilia per Roma, insieme a un ristretto gruppo di complici, con l’obiettivo di organizzare attentati a personaggi dello spettacolo e del giornalismo, portò prima tutti a comprare abiti eleganti. Geraci raccontò poi che a Roma il gruppo mafioso frequentò locali alla moda sperando di incontrare personaggi dello spettacolo e attori. Messina Denaro e i complici studiarono i movimenti di Maurizio Costanzo, andarono almeno due volte al teatro Parioli dove registrava la sua trasmissione. L’attentato fu poi compiuto in via Fauro, a Roma, il 14 maggio 1993: Costanzo e la moglie Maria De Filippi ne uscirono illesi.
Già prima, a Castelvetrano, Messina Denaro amava farsi vedere a bordo di auto veloci e costosissime. Aveva una passione per gli orologi Rolex, in particolare il modello Daytona. Scherzando si vantava però anche di ricevere l’indennità di disoccupazione dall’Inps.
Al di là dell’abbigliamento, nell’abitazione sono stati trovati due telefoni cellulari, referti medici e, come riportano oggi i quotidiani, preservativi e pillole di Viagra. Non ci sono notizie su eventuali documenti rilevanti o segreti rinvenuti nell’abitazione, e tantomeno è stato trovato l’archivio di Totò Riina che, secondo alcuni collaboratori di giustizia, sarebbe stato prelevato dalla casa di Riina dopo il suo arresto avvenuto il 15 gennaio 1993 approfittando del fatto che quell’abitazione non fu perquisita fino al 3 febbraio, cioè 18 giorni dopo. In realtà, nessun collaboratore di giustizia ha mai detto di aver visto davvero l’archivio: non si sa quindi se sia esistito veramente.
Intanto ieri Matteo Messina Denaro ha indicato il nome dell’avvocato che lo rappresenterà. Si tratta di Lorenza Guttadauro, figlia di Filippo Guttadauro, marito di una delle sorelle dell’ex latitante. L’avvocata, 40 anni, ha detto che non si aspettava assolutamente la nomina. Messina Denaro ha avuto finora, ovviamente, avvocati d’ufficio che lo hanno rappresentato durante i vari procedimenti mentre era latitante. Sarà Guttadauro a presenziare all’interrogatorio di garanzia per la convalida dell’arresto che si svolgerà nei prossimi giorni. È scontato che verrà confermata la misura di custodia in carcere, ma forse allora si capirà meglio di quali cure avrà bisogno Messina Denaro e come e dove verrà curato. L’ex latitante ha condanne all’ergastolo per le stragi di Capaci e via D’Amelio del 1992 e per gli attentati di Firenze, Roma e Milano del 1993, oltre che per una lunga serie di omicidi e altri reati.
Dalla notte successiva al suo arresto è detenuto nella casa circondariale dell’Aquila, considerata una delle più sicure d’Italia, dove sono detenuti boss della criminalità organizzata ed esponenti delle nuove Brigate Rosse, tutti sottoposti al regime di detenzione previsto dal 41-bis. Anche per Messina Denaro il ministero della Giustizia ha firmato la disposizione di 41-bis. Le cronache raccontano che all’arrivo in carcere, nell’ufficio matricola dove vengono espletate le formalità burocratiche per i cosiddetti “nuovi giunti”, alla domanda se avesse precedenti condanne penali Matteo Messina Denaro abbia risposto: «Fino a ieri ero incensurato, ora non so».
Oltre che concentrarsi sulle complicità che hanno permesso la lunga latitanza di Messina Denaro, le indagini punteranno a cercare di capire quale fosse oggi il suo ruolo all’interno di Cosa Nostra. È probabile che dopo gli arresti di Riina e Provenzano e di decine di altri boss, la cosiddetta cupola, cioè l’organo direttivo di Cosa Nostra, non esistesse più. Non si sa se Messina Denaro fosse ancora un capo riconosciuto da tutti i vari clan, o famiglie, se qualcuno abbia preso o prenderà il suo posto o se, come sostengono alcuni osservatori, la mafia sia ormai costituita da singoli gruppi che agiscono autonomamente senza una strategia e una gerarchia condivisa.