Una canzone di Thomas Dybdahl
Così oscura che non si capisce nemmeno bene come si intitoli
Le Canzoni è la newsletter quotidiana che ricevono gli abbonati del Post, scritta e confezionata da Luca Sofri (peraltro direttore del Post): e che parla, imprevedibilmente, di canzoni. Una per ogni sera, pubblicata qui sul Post l’indomani, ci si iscrive qui.
Ci sono cose nuove dei National in arrivo, se ne sente qualcosa qui usando la password “EVIL FOREBODINGS”.
Paul Weller recita in un nuovo film di Steve McQueen su Londra sotto i bombardamenti. Paul Weller dei Jam, Paul Weller degli Style Council, Paul Weller di Paul Weller.
Al critico dell’Observer è piaciuto il disco nuovo di Belle and Sebastian (quello che ha il singolo che sembrano i Pet Shop Boys, ma il resto è più “normale”).
Il 17 marzo esce su Disney+ un documentario su Dublino degli U2 con David Letterman.
C’è stato un tempo, ingenuo e boomer, in cui la tecnologia di allora – gli anni Ottanta – cominciò a permettere e a suggerire di pubblicare delle versioni delle canzoni che replicassero e perfezionassero l’effetto dello scratch , di loop o di altri giochini del genere che i deejay facevano dal vivo con i dischi e con le mani: così anche se non eri capace ce li avevi già fatti, e la gente sulla pista si eccitava e divertiva. Alcuni di quei “remix” furono così efficaci che a volte rimasero in testa più delle versioni originali, giochini compresi (mi perdonino per le sbrigative definizioni gli amici deejay seri). Mi è tornato in mente l’altro giorno ascoltando da qualche parte la vecchia – ammirevole – Easy lover di Phil Collins e Philip Bailey, di cui mi aspetto sempre che dica “to make you see… see…”, come qui . O che This is mine degli Heaven 17 inizi con “don’t-don’t-do-do-do-do-don’t” come qui . O che Where the rose is sown dei Big Country inizi così . O che l’incipit di Part time lover di Stevie Wonder prosegua per minuti, come mi ricordavo da una notte cortinese, e forse era solo questo remix .
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