I “pesci” non esistono
Dal punto di vista scientifico è una definizione che non ci dice molto: il grado di parentela tra uno squalo e una lampreda non è più stretto rispetto a quello tra un cammello e una salamandra
Per quanto possa sembrare strano, non esiste qualcosa come un “pesce”, almeno da un punto di vista prettamente scientifico e di classificazione delle specie. Certo Nemo, il protagonista del famoso film di animazione Pixar, è conosciuto da tutti come un “pesce pagliaccio”, ma se andiamo a vedere la sua classificazione scientifica, la parola “pesce” per come la intendiamo nel parlato comune non compare mai.
Il nome della sua specie è Amphiprion ocellaris, appartiene quindi al genere Amphiprion che a sua volta rientra nella sottofamiglia Amphiprioninae, facente parte della famiglia Pomacentridae, che a sua volta rientra nel sottordine Labroidei che fa parte dell’ordine Perciformes, che prende il nome dal genere Perca: che vi diremmo sono un particolare tipo di pesci (da cui deriva “pesce persico”) se solo non vi avessimo rivelato appena poche righe fa che “pesce” dal punto di vista scientifico ci dice poco o nulla. A sgombro (ehm) di equivoci proviamo a chiarirci.
Chiamiamo comunemente “pesci” più della metà delle specie di animali vertebrati oggi esistenti sulla Terra, e lo facciamo perché identifichiamo caratteristiche relativamente comuni tra le varie specie: ci sembrano così simili da farli ricadere nello stesso grande gruppo. Nel nostro immaginario un pesce ha una forma più o meno sempre uguale, stretta e allungata, scaglie e pinne per nuotare nell’acqua.
La maggior parte delle migliaia di specie di questi animali ha un’ossatura ben definita, un cranio e mascelle facilmente distinguibili. Hanno inoltre pinne sostenute da elementi ossei articolari (“raggi”) e per questo sono chiamati “pesci dalle pinne con raggi” o attinopterigi, dal greco antico πτέρυξ (ala, pinna) e da actino-, cioè dotato di raggi.
Ci sono però altri animali che comprendono una minore quantità di specie che chiamiamo comunemente pesci, ma che hanno caratteristiche un po’ diverse dagli attinopterigi. Sono i “pesci cartilaginei” o condroitti, come gli squali e le razze, con uno scheletro più flessibile e una forma asimmetrica. A questi si aggiungono in un altro gruppo di complicata classificazione i vertebrati acquatici privi di mandibole e mascelle e, infine, i “pesci dalle pinne lobate” o sarcopterigi caratterizzati da pinne e code morbide e carnose.
Nella lunga storia dell’evoluzione, questi animali sono andati incontro a importanti modifiche con storie nettamente separate, tali da non poter essere classificati tutti con una stessa definizione come “pesci”. Per farsene meglio un’idea occorre andare indietro nel tempo di circa 500 milioni di anni, quando questi animali iniziarono a popolare le grandi masse d’acqua sulla Terra. Furono i primi a sviluppare una spina dorsale e un cranio, processo che richiese moltissimo tempo, se rapportato per esempio all’esistenza della nostra specie che risale solo a un centinaio di migliaia di anni fa.
Secondo i paleontologi, circa 400 milioni di anni fa questi animali si erano differenziati in almeno sei gruppi: quattro erano quelli che esistono ancora oggi, mentre un altro paio dovette fare i conti con una serie di casuali disavventure e andò estinto. Fatto sta che quel periodo, chiamato Devoniano, durò una sessantina di milioni di anni e vide i pesci primeggiare tra le specie viventi.
Al termine del Devoniano, intorno a 358 milioni di anni fa, alcuni pesci dalle pinne lobate iniziarono a esplorare le terre emerse, grazie a mutazioni del tutto casuali che avevano equipaggiato alcune specie degli strumenti adatti per sopravvivere e muoversi fuori dall’acqua, almeno per brevi periodi di tempo. In circolazione c’erano già alcune specie vegetali come le felci e alcuni insetti, ma la loro è un’altra storia evolutiva. I primi esploratori delle terre emerse sarebbero poi diventati gli antenati degli altri vertebrati che conosciamo oggi: uccelli, rettili, anfibi, mammiferi. I pesci rimasti sott’acqua continuarono a evolvere, portando a numerose specie in particolare nel caso degli attinopterigi.
Ancora oggi esistono alcune specie che ci ricordano in un certo senso da dove veniamo. Il barramunda (Neoceratodus forsteri) è tipico di un’area del Queensland in Australia ed è definito un “fossile vivente”, perché il suo aspetto e le sue caratteristiche non sono cambiate da almeno 380 milioni di anni. Ciò significa che ancora oggi possiamo osservare come si presentava una specie che nel suo caso contribuì alla comparsa degli anfibi.
In centinaia di milioni di anni, sulla Terra si sono verificate enormi trasformazioni, con la formazione di nuovi continenti e la scomparsa di altri, la redistribuzione della grande massa d’acqua che ricopre buona parte del pianeta e la variazione al suo interno di nutrienti e minerali. Tutte queste modifiche hanno influito sui processi evolutivi e sono una delle cause della grande varietà di specie, non solo acquatiche, che possiamo osservare oggi o che troviamo nei fossili risalenti a epoche ormai remotissime.
Ed è stato proprio con lo studio di quei cambiamenti e la progressiva disponibilità di tecniche per analizzare la storia evolutiva degli animali odierni che abbiamo capito che “pesci” non voleva dire molto, almeno per la classificazione scientifica. Mentre possiamo inserire tutti gli uccelli, per esempio, in una “classe” (uno dei livelli nella tassonomia) da suddividere poi in sottoclassi, per gli animali che chiamiamo pesci non esiste un’unica classe sistematica vera e propria. Possiamo dire che appartengono a un gruppo molto variegato di vertebrati che vivono per lo più in acqua e con in comune caratteristiche come pinne e branchie.
Per farla ancora più breve, “pesce” è un termine ombrello per indicare un vertebrato per lo più acquatico che non è un mammifero, un uccello o qualsiasi altra cosa. Mettere insieme questi vertebrati appartenenti a gruppi diversi e non strettamente imparentati sarebbe come raggruppare tutti i vertebrati volanti, come gli uccelli, i pipistrelli, alcune specie di scoiattoli e quant’altro, definendoli allo stesso modo semplicemente perché volano. Il grado di parentela tra uno squalo e una lampreda non è più stretto rispetto a quello tra un cammello e una salamandra.
Tendiamo a immaginare le tassonomie come stabilite e sempre uguali, ma in realtà il modo in cui sono organizzate e suddivise cambia a seconda delle nuove scoperte che smentiscono ricerche precedenti, che a loro volta possono essere poi riconfermate da nuovi studi. Nel corso del tempo ci sono stati scontri e talvolta furiose diatribe sulla collocazione di classi, famiglie e specie, a conferma di quanto sia complicato classificare in modo gerarchico l’estrema varietà che costituisce il nostro pianeta.
Al di là dei litigi e delle tassonomie, “pesci” continua a essere un ottimo modo, seppure impreciso, per descrivere una grande quantità di esseri viventi e per questo è ampiamente utilizzato in ecologia. Il nome comune di tantissime specie contiene del resto la parola “pesce”, a dirla tutta compresi i pesciolini d’argento (lepismatidi), che sono decisamente insetti.
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