Cosa fanno ora i navigator
Molti sono stati assunti dalla pubblica amministrazione o da aziende private, e i problemi nei Centri per l'impiego sono aumentati
Negli ultimi mesi il governo guidato da Giorgia Meloni ha sostenuto la necessità di un’ampia revisione del reddito di cittadinanza, la misura di sostegno economico per le persone senza lavoro: uno dei provvedimenti che il governo ha annunciato con più convinzione è la mancata conferma dei navigator, i consulenti che erano stati assunti per aiutare i beneficiari del reddito di cittadinanza nella ricerca di un’occupazione.
Già prima dell’assunzione dei navigator, avvenuta nel luglio del 2019 per iniziativa del governo sostenuto dal Movimento 5 Stelle e dalla Lega, il dibattito politico su questa figura professionale era stato molto vivace ed era continuato negli ultimi anni fino al novembre del 2022, quando il ministero del Lavoro aveva annunciato che non avrebbe rinnovato i contratti. Nel frattempo, però, moltissimi consulenti si erano già dimessi e avevano trovato un altro lavoro in aziende private o nella pubblica amministrazione vincendo concorsi pubblici.
Nei Centri per l’impiego, cioè le strutture gestite dalle Regioni che hanno il compito di favorire le assunzioni di persone disoccupate, non ci sono più navigator, ma i problemi non sono stati risolti e la riforma del reddito di cittadinanza approvata dal parlamento, dei cui dettagli si sa ancora poco, ha aumentato confusione e incertezza.
Si parlò per la prima volta dei navigator alla fine del 2018, quando l’allora ministro del Lavoro Luigi Di Maio disse che i consulenti avrebbero “facilitato” l’incrocio tra domande e offerte di lavoro. Dopo un’articolata selezione, il 31 luglio 2019 ne furono assunti 2.978 e distribuiti nei Centri per l’impiego in tutta Italia sulla base della popolazione residente. Già dai risultati dei primi mesi si capì che l’obiettivo del governo sarebbe stato raggiunto solo in parte: il reddito di cittadinanza, infatti, si è dimostrato un’efficace misura di sostegno economico per le fasce più povere della popolazione, ma non è stato uno strumento altrettanto valido di attivazione del mercato del lavoro.
È difficile valutare il lavoro dei navigator, inseriti nella rete dei Centri per l’impiego già alle prese con annosi problemi di inefficienza. L’ultimo rapporto dell’ANPAL, l’Agenzia nazionale politiche attive lavoro da cui dipendevano i consulenti, dice che al 30 giugno dello scorso anno soltanto 280mila beneficiari del reddito di cittadinanza sono stati presi in carico dai Centri per l’impiego. Queste persone rappresentano soltanto il 42,5 per cento di tutti gli attuali beneficiari – 660mila – che hanno firmato un Patto per il lavoro, cioè un percorso personalizzato di inserimento lavorativo che distingue le persone beneficiarie del sussidio che possono trovare un impiego da quelle che non sono adatte per varie ragioni.
Di tutte le persone che hanno firmato il Patto per il lavoro, il 73 per cento veniva da un periodo di disoccupazione di tre anni. Il 70 per cento ha al massimo un titolo di scuola secondaria inferiore, la scuola media, circa il 25 per cento un diploma di scuola media superiore e i restanti hanno un diploma di una scuola professionale.
Non è possibile avere una stima affidabile su quante persone negli ultimi quattro anni abbiano trovato un’occupazione e soprattutto quante l’abbiano trovata attraverso il lavoro dei navigator: molti dei beneficiari sono stati assunti per vie informali, cioè grazie ad amicizie e parentele, oppure grazie alla consultazione autonoma degli annunci.
I navigator si sono comunque fatti carico di un grande numero di beneficiari a cui serve un’assistenza continua perché disoccupati da tempo, con scarse competenze, spesso senza mezzi di trasporto per spostarsi, senza strumenti tecnologici, in definitiva in una situazione di marginalità lavorativa a cui è difficile rimediare in poco tempo.
È complicato valutare il lavoro dei navigator anche perché molti si sono dimessi prima che il governo annunciasse la conclusione dei loro contratti: 308 hanno cambiato lavoro nel primo anno e mezzo, altri 1.724 negli ultimi due anni. Secondo i dati diffusi dal ministero del Lavoro, gli assunti all’1 novembre, quando è stato confermato il mancato rinnovo del contratto, erano 946. Chi si è dimesso non è stato sostituito: in sostanza i Centri per l’impiego hanno dovuto gestire lo stesso lavoro con molte meno persone rispetto alle previsioni iniziali.
Le dimissioni e il conseguente cambio di lavoro si spiegano con il fatto che i navigator, prevalentemente giovani e tutti laureati (con un voto medio di 107, dicono i dati dell’ANPAL), sono considerati risorse lavorative valide nella pubblica amministrazione e in generale tra le aziende private che si occupano dell’orientamento lavorativo. Una parte significativa dei navigator, per esempio, ha partecipato ai concorsi organizzati dall’INPS, l’Istituto nazionale della previdenza sociale, mentre un’altra parte è stata assunta da enti locali, ministeri e agenzie statali come l’agenzia per la coesione territoriale o l’ufficio del processo, cioè l’amministrazione dei tribunali italiani.
In un rapporto diffuso a giugno dalla Corte dei Conti si legge che le dimissioni dei navigator hanno «evidenti ricadute anche sugli ingenti costi che sono serviti per selezionarli. Si ricorda che solo per la selezione erano stati spesi 808.601 euro».
Nicola Pisciavino, 36 anni, ormai ex navigator, ha iniziato a lavorare in Lombardia come consulente per gli enti locali nel settore dell’inclusione delle persone con disabilità e nell’attuazione del programma GOL, acronimo di Garanzia di Occupabilità dei Lavoratori, un insieme di strumenti per sostenere l’occupazione finanziato dal PNRR. Negli ultimi anni ha lavorato anche per una società di consulenza. «L’esperienza da navigator mi è servita e in un certo senso mi ha cambiato la vita», dice Pisciavino. «Venivo dal mondo accademico, da un dottorato. Misurarmi con la pubblica amministrazione è stato molto importante perché ho imparato moltissime cose e oggi ho più consapevolezza delle mie capacità. Vale per me come per i miei colleghi: nessuno è a spasso, tutti hanno trovato un altro lavoro. Molti occupano anche posizioni di un certo rilievo».
Francesca Merricone, ex navigator in Campania, sta studiando per partecipare a un concorso pubblico organizzato per l’assunzione di personale negli enti locali campani. Ha 59 anni e prima di diventare navigator veniva da 25 anni di lavoro nell’ambito dell’orientamento al lavoro, una professione scelta dopo la laurea in sociologia. Il suo è un profilo piuttosto anomalo per curriculum e competenza. «L’esperienza di questi ultimi anni mi ha arricchita professionalmente», dice. «Occuparmi di formazione e orientamento come navigator significa lavorare in un contesto molto più strutturato rispetto alla libera professione. In Campania eravamo 471 e siamo rimasti in 180. Molti hanno fatto concorsi e li hanno vinti: siamo quasi tutti profili ricercati sul mercato».
Molti navigator hanno partecipato ai bandi di assunzione per nuovo personale a tempo indeterminato nei Centri per l’impiego. Già inseriti nel sistema, per i consulenti è stata un’occasione molto allettante. Molti hanno vinto i concorsi: non sono più navigator, ma spesso si occupano dei beneficiari del reddito di cittadinanza con compiti diversi rispetto agli ultimi anni.
Un ex navigator che lavora in un Centro per l’impiego nel Lazio spiega che i problemi sono gli stessi di prima, anzi sono aumentati perché tutto il lavoro di relazione con i beneficiari e con le aziende fatto negli ultimi anni è stato di fatto cancellato. «Tutto il dibattito si è sempre basato sul criterio di occupabilità, che è molto labile», spiega. «Sulla carta una persona può essere occupabile, ma una disabilità anche lieve o una situazione famigliare complicata rende tutto molto difficile. Ognuno ha una storia diversa, con problemi diversi. E non ci sono incentivi che tengano: se un’azienda non ha interesse ad assumere una persona ai margini, non la assumerà».
Questi sono i limiti rimasti in carico ai Centri per l’impiego, che dopo le dimissioni dei navigator hanno nuovi problemi di carenza di personale. Negli ultimi anni sono stati organizzati diversi concorsi, ma in molte regioni ci sono notevoli ritardi. In Sicilia il concorso per il potenziamento dei Centri per l’impiego è stato bandito soltanto nel 2022, molto dopo il finanziamento ministeriale partito nel 2019, e al momento gli 848 vincitori non sono stati ancora chiamati a firmare il contratto. In tutta Italia erano previste 11.600 assunzioni, ma molte Regioni non hanno ancora concluso i concorsi. Nel frattempo molti dei primi assunti nei Centri per l’impiego attraverso i concorsi hanno cambiato lavoro.
In questo contesto già molto problematico, il governo ha approvato la riforma del reddito di cittadinanza, che non sarà abolito del tutto come promesso dalla destra in campagna elettorale: continuerà a essere previsto per le categorie di persone in oggettiva condizione di povertà e che non possono lavorare, mentre chi è giudicato “occupabile”, ossia in grado di poter avere un lavoro, continuerà a riceverlo solo per un periodo limitato di tempo nel 2023, per poi perderlo dal 2024. Molti addetti ai lavori prevedono che si creerà un notevole problema sociale, dato che centinaia di migliaia di persone si ritroveranno senza quello che fino a quel momento era il loro reddito principale.
Secondo la definizione che ha dato il governo sono considerate “occupabili” le persone tra i 18 e i 59 anni che possono “oggettivamente” lavorare e che non abbiano nel proprio nucleo familiare persone disabili, minori o persone a carico con almeno 60 anni. Sono escluse dalla definizione di occupabile anche le donne in gravidanza, che quindi non perderanno il sussidio.
Per le persone “occupabili” nel 2023 il reddito di cittadinanza sarà erogato al massimo per 8 mensilità (invece delle attuali 18, rinnovabili). Durante questo periodo dovranno frequentare corsi obbligatori di formazione o riqualificazione professionale. Il sussidio decadrà se queste persone non frequenteranno i corsi o nel caso in cui rifiutino la prima offerta di lavoro congrua (attualmente decade al secondo rifiuto).
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Nelle ultime settimane moltissimi beneficiari del reddito di cittadinanza si sono rivolti ai Centri per l’impiego per capire cosa dovranno fare. Sono preoccupati per via dell’incertezza che caratterizza le decisioni del governo. Finora, infatti, né il governo né il ministero hanno detto cosa cambierà concretamente nel rapporto tra i beneficiari e i Centri per l’impiego. I problemi, insomma, sono aumentati. «Non si conoscono gli obiettivi del nuovo reddito di cittadinanza, i criteri di accesso, a chi verrà affidato», spiega un consulente che lavora in un Centro per l’impiego in Lombardia che preferisce rimanere anonimo. «Per dare risposte alle persone serve personale che se ne occupi. Il lavoro non si inventa e non si crea dal nulla, per decreto. Dopo aver assunto e formato i navigator spendendo un sacco di soldi, hanno deciso di perdere questo patrimonio di persone, contatti e relazioni. In un’azienda non sarebbe mai successo».