La guerra nel Tigrè potrebbe aver causato 600mila morti, dice uno dei mediatori che hanno partecipato ai negoziati di pace
La guerra civile che si è combattuta per quasi due anni nella regione etiope del Tigrè potrebbe aver causato circa 600mila morti. Lo ha detto un rappresentante dell’Unione Africana, cioè l’organizzazione intergovernativa che aveva mediato per arrivare a un accordo di pace tra le due parti: il governo federale etiope e i separatisti del Fronte di liberazione del Tigrè (TPLF).
In un’intervista con il Financial Times l’ex presidente nigeriano Olusegun Obasanjo, mediatore dell’Unione Africana che ha partecipato ai negoziati di pace, ha detto che «il numero di persone uccise nella guerra è stato all’incirca 600mila». A sostegno di questa affermazione ha ricordato che nel momento in cui era stato firmato il negoziato, il 2 novembre scorso, il commento di alcuni funzionari etiopi era stato: «Abbiamo smesso di fare 1.000 morti al giorno». Fin qui le stime che circolavano sul bilancio della guerra erano più vaghe e più basse, intorno alle decine di migliaia di morti.
La guerra nel Tigrè iniziò nel novembre del 2020, quando il primo ministro etiope Abiy Ahmed, poco più di un anno dopo aver ricevuto il premio Nobel per la Pace, inviò l’esercito nel Tigrè con l’intento di rimuovere le autorità locali del Fronte di Liberazione, accusate di aver messo in discussione la sua autorità e di aver attaccato alcune basi militari. Le radici del conflitto però sono più profonde, legate a conflitti etnici tra i tigrini e gli oromo, il gruppo etnico attualmente dominante in Etiopia (a cui appartiene Abiy Ahmed).
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