La quinta Dakar di Nasser Al-Attiyah
Il pilota qatariota cugino dell'emiro al Thani ha vinto ancora una volta, in Arabia Saudita, il rally più famoso al mondo
Nasser Al-Attiyah, pilota qatariota di cinquantadue anni, ha vinto la 45ª edizione del Rally Dakar nella categoria auto. Accanto al navigatore francese Matthieu Baumel, dal 31 dicembre al 15 gennaio Al-Attiyah ha guidato una Toyota GR DKR Hilux per oltre settemila chilometri dal Mar Rosso al Golfo Persico, con in mezzo uno dei più grandi deserti di sabbia al mondo. Per Al-Attiyah, cugino di primo grado dell’emiro Tamim bin Hamad al Thani, è la quinta vittoria in una Dakar, la seconda consecutiva. Si aggiunge peraltro — tra altre vittorie in competizioni rallistiche — alla medaglia di bronzo che vinse nel tiro a volo alle Olimpiadi di Londra del 2012.
La Dakar (che continua a chiamarsi così sebbene siano passati ormai quindici anni dall’ultima volta che arrivò davvero a Dakar, la capitale del Senegal) è un rally raid, una corsa in cui ogni tappa ha una parte cronometrata e una che invece non lo è: la vittoria finale si ottiene sommando i tempi ottenuti nei tratti cronometrati di ogni tappa, ma problemi o incidenti nella parte non cronometrata incidono comunque sul risultato.
Al-Attiyah ha vinto l’edizione di quest’anno, la quarta consecutiva in Arabia Saudita, dopo aver guadagnato un grande margine nelle prime tappe, e dopo che per gran parte del resto della corsa si è limitato a gestire il vantaggio con l’obiettivo di non incappare in grossi errori, non mettersi meccanicamente nei guai e non sbagliare strada. La Dakar è infatti una corsa off-road, fuori strada, in cui ancor prima di essere veloci è importante evitare danni eccessivi ai veicoli, essere in grado di ripararli e orientarsi lungo le tappe.
Intervistato dal giornale spagnolo AS prima delle ultime due tappe, quando la vittoria era molto probabile ma non ancora certa, Al-Attiyah aveva detto: «Per vincere la Dakar non serve andare veloce, tutti sanno andare veloce. Devi essere forte, astuto e non sbagliare mai».
Al-Attiyah ha costruito gran parte del suo vantaggio nella prima settimana. Ha vinto la seconda, la quinta e la sesta tappa, al termine della quale in classifica generale aveva già oltre un’ora di vantaggio sul secondo. Già lì era piuttosto chiaro che, a meno di imprevisti, che comunque sono sempre possibili, Al-Attiyah fosse vicino alla sua quinta Dakar. Anche perché il francese Stéphane Peterhansel e lo spagnolo Carlos Sainz, i suoi due principali rivali e i vincitori di tutte le edizioni che dal 2015 in poi non sono state vinte da Al-Attiyah, si sono dovuti ritirare.
«Ho iniziato a spingere davvero il giorno della seconda tappa» ha detto Al-Attiyah: «Il giorno successivo già sono andato un po’ più piano perché il percorso era pericoloso; poi per due tappe ho spinto per vincere e dalla seconda settimana in poi ho capito che dovevo perdere». Con perdere, Al-Attiyah intende amministrare il vantaggio e lasciare agli avversari la vittoria e il conseguente onere di aprire la strada l’indomani.
Come spesso succede loro, Al-Attiyah e Baumel (il suo navigatore/copilota) hanno corso una Dakar praticamente priva di errori, in cui una volta passati in testa in classifica non sono mai stati spodestati, amministrando poi la situazione, anche nelle due tappe marathon (quelle in cui per due giorni piloti e navigatori devono cavarsela da soli, senza meccanici, anche per riparare eventuali guasti) attraverso il deserto Rub Al-Khali.
Il francese Sébastien Loeb, ex pluricampione di rally, ha vinto la maggior parte delle tappe della seconda settimana, comprese quelle su e giù per le dune del Rub Al-Khali, ma non gli è bastato per recuperare un grande svantaggio accumulato nei primi giorni.
Nato nel 1970, un anno prima che il Qatar diventasse un paese del tutto indipendente, Al-Attiyah iniziò a fare gare in auto intorno ai vent’anni. Dal 2000 in poi partecipò per alcuni anni a gare di rally (gare normali, di quelle per anni dominate da Sébastien Loeb) avvicinandosi nel frattempo a quello che senza dubbio gli riesce meglio, il rally raid.
Al-Attiyah partecipò alla sua prima Dakar nel 2004, quando ancora la corsa arrivava effettivamente nella capitale senegalese, e la concluse al decimo posto: un ottimo risultato per un debuttante. Nel 2010, quando già la corsa si era spostata in America del Sud, arrivò secondo, con poco più di due minuti di ritardo da Sainz in classifica generale, in quello che fu il minor margine tra primo e secondo nella storia della Dakar.
La sua prima Dakar la vinse nel 2011 alla guida di una Volkswagen Touareg, e da allora in poi, fatta eccezione per tre ritiri, è sempre arrivato sul podio, vincendo la corsa nel 2015 (alla guida di una Mini ALL4 Racing), nel 2019, nel 2022 e di nuovo quest’anno.
Intanto ha partecipato nel tiro a volo, nella specialità skeet, a tutte le Olimpiadi tra il 1996 e il 2016: oltre ad aver vinto la terza medaglia olimpica nella storia del Qatar è arrivato una volta quarto e una volta sesto. Nel 2008 fu portabandiera del suo paese, che dal 2013 è governato da suo cugino, il primo sovrano qatariota in quattro generazioni ad arrivare al potere senza fare un colpo di stato contro un membro della propria famiglia.
Nonostante venga da una delle più ricche famiglie del Qatar, Al-Attiyah è in genere descritto come un pilota disponibile e tendenzialmente alla mano. Intervistato da AS, Al-Attiyah aveva detto: «Dicono che io sia il Messi della Dakar». In vista dell’edizione del 2024 della corsa aveva aggiunto, ridendo: «Se Audi vuole vincere, deve farmi guidare le sue auto; e se in Toyota vogliono che resti con loro, devono pagarmi di più».
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