Cos’è davvero una “città 30”
Non è semplicemente un posto in cui non si possono superare i 30 chilometri orari, tanto per cominciare
All’inizio di questa settimana il consiglio comunale di Milano ha approvato un ordine del giorno che invita il sindaco a «proclamare Milano Città 30, istituendo il limite di velocità in ambito urbano a 30 chilometri orari a partire dal 1° gennaio 2024». Un “ordine del giorno” è uno strumento con cui il consiglio chiede sostanzialmente alla giunta di esprimersi su un certo argomento: la proposta è quindi ancora lontana dall’essere approvata, ma ha già ricevuto il parere favorevole dell’assessora alla Mobilità, Arianna Censi, ed è quindi plausibile che nei prossimi mesi la giunta e il sindaco provino ad attuarla.
In ogni caso la questione è stata fin da subito al centro di discussioni e se ne sta parlando moltissimo, anche per un commento sull’argomento del ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, Matteo Salvini, che su Twitter ha scritto: «Ricordo al sindaco e al PD che a Milano la gente vorrebbe anche lavorare…». Quello delle città 30 è un tema attuale in molti paesi europei, e per la verità in Italia sono già stati decisi o attuati progetti di questo genere: quelli in stato più avanzato sono a Bologna, Parma e Olbia.
Il dibattito aperto dal caso milanese si è subito concentrato sul passaggio del limite di velocità in città da 50 a 30 chilometri orari: ma il concetto di “città 30” – insieme al suo corrispettivo più localizzato di “zona 30” – è assai più complesso di un semplice abbassamento del limite di velocità con l’inserimento dei relativi cartelli, e porta con sé una serie di interventi infrastrutturali e cambiamenti nella mentalità degli utenti della strada da cui le città italiane sono generalmente ancora molto lontane.
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I progetti di città 30 che sono già stati avviati in molte città europee – tra cui Berlino, Barcellona, Edimburgo, Bruxelles, Parigi e altre ancora – hanno già dimostrato che istituire una città 30 non comporta un allungamento dei tempi di percorrenza per gli automobilisti: anzi, in tutti questi posti si è avuto un sostanziale decongestionamento del traffico.
Per città 30 si intende solo in senso stretto una città in cui quasi tutte le strade abbiano un limite di velocità di 30 chilometri orari: più in generale è un’iniziativa che punta a riequilibrare lo spazio pubblico, riducendo le aree della strada dedicate alle auto con l’inserimento di piste ciclabili e l’allargamento dei marciapiedi, in modo da creare spazi più vivibili per le persone.
Avere marciapiedi più larghi significa avere più spazio per panchine e alberi, solo per fare due esempi, con tutti i benefici che comporterebbe anche per l’ambiente. «Significa permettere agli anziani di fare più passeggiate perché possono sedersi, ai bambini di andare a piedi o in bici a scuola da soli», dice Matteo Dondé, urbanista esperto in pianificazione della mobilità ciclistica e nella moderazione del traffico.
«Il modello-automobile ci ha fatto pensare che tutto lo spazio dovesse essere dedicato alle auto, ma non è necessariamente così», dice Dondé, che spiega come spesso in Italia l’80 per cento della strada, tra carreggiata e parcheggi, sia dedicato alle auto. Eppure le automobili sono per la maggior parte del tempo vuote e ferme, e anche quando sono in movimento vengono usate per viaggi di pochi chilometri dal solo conducente.
Invece «se l’automobile va piano», dice Dondé, «posso dedicargli meno spazio, e quindi guadagnarne di più per altre funzioni: alberi, tavolini di bar e ristoranti, eccetera. Vuol dire lavorare sullo spazio pubblico senza considerarlo solo l’asse di scorrimento del traffico».
Questo perché c’è una stretta correlazione tra lo spazio concesso alle automobili e la velocità: innanzi tutto dal punto di vista della psicologia del conducente, che è più portato ad andare veloce se non ha ostacoli visivi davanti a sé, spiega Dondé. Poi da un punto di vista più fisico e pratico, perché se c’è meno spazio un automobilista deve necessariamente rallentare più spesso: fare carreggiate più strette, per esempio, significa anche che le auto avranno meno spazio per fare le curve, e che quindi dovranno necessariamente rallentare agli incroci, che sono statisticamente il posto della strada in cui avvengono più incidenti.
Altri interventi infrastrutturali per fare una zona 30, e più in grande una città 30, sono per esempio dossi e cuscini berlinesi (quei dossi di forma quadrata che occupano quasi tutta la carreggiata), attraversamenti pedonali rialzati, alternanza dello spazio dedicato ai parcheggi tra un lato e l’altro della strada (in modo che non ci siano mai contemporaneamente entrambi i lati occupati dalla sosta delle auto), rotatorie, isole di traffico rialzate, segnaletica orizzontale molto vistosa.
Sono solo alcuni dei moltissimi interventi infrastrutturali possibili, inseriti generalmente nelle linee guida nazionali sulla moderazione del traffico di molti paesi, ma che secondo chi studia la materia in Italia non vengono applicate a sufficienza: «Il nostro è uno dei pochissimi paesi in Europa a non avere linee guida sulla moderazione del traffico: chi costruisce le strade lo fa pensando solo alle auto e disinteressandosi della sicurezza», dice Dondé.
Fare una strada in cui le auto non abbiano la priorità è il principio dei woonerf, le zone inventate inizialmente nei Paesi Bassi ma poi diffuse anche altrove, in cui pedoni e ciclisti hanno la precedenza. In Italia qualcosa di simile esiste solo nelle zone pedonali e nei centri storici, ma per fare in modo che venga accettato anche in altri quartieri serve avviare campagne di comunicazione in grado di spiegare realmente di cosa si stia parlando.
Marco Mazzei, il consigliere comunale di Milano primo firmatario dell’ordine del giorno sulla “città 30”, spiega che l’intenzione della proposta era «riaprire la discussione su cosa intendiamo fare per le strade», sapendo che ci vorrà tempo per far capire l’utilità del progetto alle persone. «Tra le cose che un’amministrazione può fare velocemente, con costi relativamente bassi e che può avere un impatto immediato sulle abitudini della città, la riduzione della velocità è solo la prima», spiega Mazzei. «Una volta che si è diminuita la velocità in ambito urbano si può cominciare a pensare a molte altre cose».
In effetti nelle città che hanno sperimentato progetti simili gli effetti si sono visti piuttosto in fretta: Bruxelles per esempio è diventata una città 30 all’inizio del 2021, e dopo un anno aveva il 20 per cento in meno di incidenti per le strade e la metà dei morti rispetto all’anno precedente, con un aumento del 20 per cento del numero di ciclisti. È molto aumentato il numero di chilometri percorsi giornalmente dalle persone, ma contemporaneamente è molto diminuita la quantità di persone che si spostano in auto (dal 64 al 49 per cento nei primi 6 mesi del 2022, rispetto al semestre precedente).
Edimburgo ha iniziato il progetto nel 2018 dopo averlo sperimentato in alcune zone tra il 2016 e il 2018: gli effetti concreti nel breve periodo hanno riguardato un minor numero di incidenti e morti, mentre non si sono ancora avuti risultati notevoli su un’eventuale diminuzione delle persone che si muovono in auto. In generale però gli abitanti si sono dimostrati soddisfatti, e sul sito della città vengono invitati periodicamente a dire la loro sul tema.
A Barcellona invece la riduzione del traffico nelle zone 30 è stata sostanziale, con quasi il 15 per cento in meno. Anche a Berlino, dove progetti simili esistono già da tempo, si è avuto un decongestionamento del traffico e una diminuzione dei livelli di inquinamento. L’abbassamento del limite di velocità ha portato ovunque anche un certo risparmio dei soldi spesi per gli incidenti: non sono mai cifre enormi (l’esempio migliore è il Galles, dove il limite è praticamente nelle zone residenziali di tutto il paese), ma è comunque qualcosa.
Il fatto che le persone scelgano di muoversi meno in auto, che è anche una conseguenza della maggiore sicurezza per pedoni e ciclisti, è alla base delle ragioni per cui nelle città 30 non si notano sostanziali differenze nei tempi di percorrenza dei tragitti: se ci sono meno auto c’è anche meno traffico. Non serve che tutti rinuncino a usarla, ma che tutti la usino solo quando è davvero necessaria.
Realizzare la città 30 peraltro non significa applicare il limite di 30 chilometri orari a tutte le strade, senza nessuna esclusione. Ogni città in cui sono stati fatti progetti di questo genere ha adattato il concetto seguendo le proprie caratteristiche urbanistiche: a Barcellona per esempio ci sono le cosiddette “superilles” (“superblocchi” in catalano): cioè pezzi di città composti da nove isolati ciascuno, dove sostanzialmente le auto non sono benvenute. L’obiettivo è permettere la circolazione delle auto quasi solo lungo il perimetro delle superilles, mentre all’interno la priorità è data ad altre forme di mobilità e agli spazi verdi pubblici.
In generale in tutta la Spagna nel 2021 è entrata in vigore una legge che limita la velocità a 30 chilometri orari su tutte le strade del paese con una sola corsia, e a 20 quando il marciapiede è al livello della strada o se ci sono due singole corsie a senso alternato. Il limite di 50 chilometri orari è rimasto solo nelle strade con almeno due corsie per senso di marcia, che intanto in città come Barcellona sono rimaste solo fuori dalle zone residenziali.
C’è già chi ha fatto notare che a Milano si potrebbe fare qualcosa di simile mantenendo il limite di 50 chilometri orari nella circonvallazione e in altre ampie strade a scorrimento veloce.
A Milano e in altre città italiane Matteo Dondé è stato promotore e realizzatore di alcuni progetti di zone 30 “dal basso”, cioè sperimentazioni con interventi temporanei (definiti di “urbanismo tattico”): in tutti casi la popolazione locale ha poi chiesto che gli interventi fossero mantenuti, sperimentandone da vicino il funzionamento. Per eliminare la sosta illegale delle auto sui marciapiedi, per esempio, sono stati inseriti nuovi elementi, come panchine, tavoli per mangiare, vasi con i fiori, tavoli da ping pong. Le carreggiate sono state ridotte utilizzando colori vistosi, così come il raggio di curvatura nei punti più veloci per costringere gli automobilisti a rallentare. È un modo per «creare città più belle, più civili, più democratiche», dice Dondé.
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