Lo strato di ozono si sta riformando
Un nuovo rapporto prevede che entro pochi decenni il “buco” potrebbe chiudersi, grazie al successo di un trattato internazionale
Secondo un nuovo rapporto realizzato da Nazioni Unite, Unione Europea e Stati Uniti, lo strato di ozono che avvolge la Terra si sta rigenerando, in particolare sopra l’Antartide dove a metà anni Ottanta ne era stata rilevata una preoccupante riduzione poi nota popolarmente come “buco nell’ozono”. I risultati recenti sono dovuti a un importante trattato internazionale che fu sottoscritto a Montreal, in Canada, nel 1987. Il rapporto da poco pubblicato dice che, se si continuerà a rispettare i termini dell’accordo, entro poche decine di anni la fascia di ozono potrebbe tornare a livelli normali con importanti benefici per l’ambiente.
L’ozono è un gas che avvolge la Terra e che la protegge dai raggi ultravioletti dannosi del Sole. In quantità eccessive, questi possono causare seri problemi di salute a noi e alle altre specie animali, a cominciare da un aumentato rischio di sviluppare alcuni tipi di tumori, e hanno effetti anche sulle piante e di conseguenza sulle coltivazioni. Intorno al 1985, un gruppo di ricerca aveva scoperto che a 22 chilometri di altezza sopra i ghiacci dell’Antartide l’ozono si era fortemente rarefatto, comportando la formazione di una sorta di “buco” dal quale filtravano molto più facilmente le radiazioni solari dannose. Negli anni seguenti, ulteriori analisi avrebbero rilevato una riduzione dello strato di ozono al Polo Nord e in numerose altre aree del pianeta, seppure con una portata inferiore rispetto a quanto osservato in Antartide.
Studi e analisi consentirono di identificare piuttosto rapidamente i colpevoli: i clorofluorocarburi (CFC), sostanze sviluppate a partire dagli anni Trenta del Novecento e molto utilizzati come refrigeranti nei frigoriferi e nei condizionatori d’aria, ma anche come gas da impiegare all’interno delle bombolette spray. Avevano avuto un grande successo perché non erano infiammabili ed erano molto meno tossici delle sostanze impiegate in precedenza. Da alcuni studi era però emerso come un eccessivo accumulo di CFC nell’atmosfera potesse incidere sui livelli di ozono. Le prime ricerche in tema risalivano agli anni Sessanta e Settanta, ma la prospettiva di rinunciare ai CFC non piaceva a numerosi settori industriali, di conseguenza il loro impiego continuò ancora per qualche anno.
Grazie alle insistenze da parte dei ricercatori e alle pressioni degli attivisti, alla fine degli anni Settanta in paesi come Stati Uniti, Canada, Norvegia, Svezia e Danimarca furono approvati i primi regolamenti che limitavano o vietavano del tutto l’impiego dei CFC. Una decina di anni dopo, il trattato di Montreal portò a un importante accordo per regolare la produzione e l’utilizzo dei CFC in tutto il mondo, con la prospettiva di eliminarli del tutto insieme agli idroclorofluorocarburi (HCFC), altre sostanze dannose per l’ozono. Furono sostituiti con gli idrofluorocarburi (HFC), innocui per l’ozono, ma che si sarebbe poi scoperto contribuiscono all’effetto serra e per questo sono ora in fase di abbandono.
– Ascolta anche: La storia del buco nell’ozono, raccontata in “Ci vuole una scienza”
Negli anni successivi all’accordo di Montreal, l’assottigliamento dello strato di ozono iniziò a ridursi in buona parte del pianeta, mentre sopra l’Antartide iniziò a farlo solamente a partire dal 2000. Secondo il nuovo rapporto, agli attuali ritmi di ripristino, in una ventina di anni i livelli di ozono dovrebbero tornare ai valori dei primi anni Ottanta in tutto il mondo, fatta eccezione per le aree polari. L’area di ozono sull’Artico impiegherà qualche anno in più, almeno fino al 2045, mentre per quella sopra l’Antartide occorrerà attendere il 2066.
Good news from #AMS2023: The ozone layer is on track to recover within four decades.
Press release ➡️ https://t.co/htPbNDJ9VU
Executive summary ➡️ https://t.co/yO6o2dVOd3
Partners 🤝🏽 @UNEP, @NOAA, @NASA, @EU_Commission pic.twitter.com/03FY2TQHPo
— World Meteorological Organization (@WMO) January 9, 2023
Il rapporto ricorda che i risultati raggiunti sono molto importanti, ma che i progressi delle nuove previsioni non devono essere dati per scontati. Negli scorsi anni è accaduto più volte che fossero rilevate tracce di CFC e altri gas dannosi per l’ozono nell’atmosfera. Queste emissioni possono derivare dall’impiego di vecchi impianti refrigeranti ancora dotati di CFC, ma anche da attività industriali che prevedono l’impiego di gas refrigeranti.
Un aumento preoccupante era stato rilevato alcuni anni fa in Cina, portando la comunità internazionale a fare pressioni nei confronti del governo cinese per applicare più severamente i divieti. Vicende di questo tipo hanno portato a un lieve rallentamento nel processo di ripristino dei corretti livelli di ozono, ma non lo hanno comunque messo completamente a rischio.
La perdita di ozono è rischiosa a causa della maggiore quantità di radiazione solare che filtra attraverso l’atmosfera, ma non ha un effetto diretto particolare per quanto riguarda il riscaldamento globale. Tuttavia, varie ricerche e analisi hanno mostrato come il trattato di Montreal abbia contribuito a eliminare l’impiego di altri gas con un marcato effetto serra. L’accordo è inoltre la dimostrazione della capacità della comunità internazionale di affrontare un problema globale ed è spesso segnalato come un esempio virtuoso da seguire nello sviluppo delle politiche internazionali per affrontare la crisi climatica.