Le proteste in Iran per cercare di fermare due esecuzioni
Due uomini coinvolti nelle proteste contro il regime e condannati a morte dalla Corte suprema sono stati trasferiti in isolamento
Nella notte tra domenica 8 e lunedì 9 gennaio decine di persone hanno manifestato fuori da una prigione iraniana vicino alla capitale Teheran dopo che si è diffusa la notizia che due uomini arrestati durante le proteste erano stati trasferiti in isolamento. Spesso, il trasferimento in isolamento è il passaggio che precede l’esecuzione.
Dall’inizio delle proteste, cominciate a metà settembre a causa della morte di Mahsa Amini, una donna di 22 anni morta in carcere il 16 settembre dopo essere stata arrestata dalla polizia religiosa per non aver indossato correttamente il velo, sono state eseguite le condanne a morte di quattro persone, tutte ritenute colpevoli del reato di moharebeh, traducibile come «inimicizia contro Dio».
Nelle ultime ore, i manifestanti e le manifestanti si sono riuniti fuori dalla prigione
di Rajaei-Shahr a Karaj, una città di un milione e mezzo di abitanti a poche decine di chilometri da Teheran, in sostegno di Mohammad Ghobadlou e Mohammad Boroughani, due uomini di 22 e 19 anni la cui condanna a morte è stata confermata dalla Corte suprema del paese lo scorso 24 dicembre.
About an hour ago, in front of Rajai Shahr Prison to save the lives of #MohamadBroghani and #MohammadGhobadlu
“Until Mullahs are removed,
This motherland will not be ours”pic.twitter.com/JjEcJcgfR9— +1500tasvir_en (@1500tasvir_en) January 9, 2023
Mohammad Ghobadlou è stato accusato di aver investito con un’auto un gruppo di poliziotti durante una protesta a Teheran e di averne ucciso uno. Durante il presidio fuori dal carcere, la madre ha chiesto pubblicamente clemenza per il figlio sostenendo che sia innocente, che soffra di un disturbo bipolare e dicendo che cinquanta medici hanno firmato una petizione per chiedere alla magistratura di istituire un comitato per esaminare la salute mentale dell’uomo. Mohammad Boroughani è stato processato insieme a Ghobadlou ed è stato a sua volta condannato per «inimicizia contro Dio». È stato accusato di aver incendiato un edificio del governo, di aver ferito un agente e di aver «incoraggiato» sui social altre persone a partecipare alle proteste.
Per ora le condanne a morte di Mohammad Ghobadlou e di Mohammad Boroughani non sono state eseguite e un collettivo di attivisti contro il regime iraniano ha dichiarato che le impiccagioni erano state temporaneamente fermate proprio dal presidio di protesta fuori dal carcere.
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Finora, i manifestanti coinvolti nelle proteste che sono stati condannati a morte e poi uccisi per impiccagione sono quattro. Il primo era stato arrestato con l’accusa di aver bloccato una strada a Teheran e di aver aggredito e ferito un agente di polizia; il secondo di aver accoltellato e ucciso due membri delle forze di sicurezza iraniane. Altri due manifestanti sono stati impiccati sabato, causando proteste in tutto il mondo e condanne da parte di diversi paesi tra cui Germania, Francia, Danimarca, Belgio, Paesi Bassi e Norvegia.
Da metà settembre, secondo l’organizzazione non governativa HRANA, l’agenzia di stampa gestita dagli attivisti per i diritti umani in Iran, sono stati uccisi almeno 519 manifestanti. Più di 19 mila persone sono invece state arrestate e incriminate per aver partecipato alle proteste: tra loro sarebbero 111 quelli che rischiano un’imminente condanna a morte.
Le persone già condannate a morte sono invece diciassette, secondo un calcolo fatto dall’agenzia di stampa AFP. Tre di loro, Saleh Mirhashemi, Majid Kazemi e Saïd Yaghoubi, sono stati condannati a morte in primo grado nelle ultime ore e potranno dunque ricorrere in appello: sono accusati di essere coinvolti nella morte di tre membri delle forze di sicurezza durante le manifestazioni di protesta nella provincia centrale di Isfahan. Nello stesso processo, altre due persone sono state condannate al carcere: una di loro è un calciatore professionista di 26 anni e dovrà restare in prigione per sedici anni.
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