Per fare la storia servono anche i filmati di famiglia
A Bologna un archivio raccoglie e digitalizza migliaia di vecchie pellicole, donate da chi le ritrova tra i ricordi di nonni e bisnonni
di Viola Stefanello
Grazie alla possibilità di documentare qualsiasi cosa in tempo reale, praticamente gratis e senza la necessità di sviluppare una foto per poterla poi riguardare, oggi qualsiasi smartphone è un archivio che raccoglie meticolosamente i momenti quotidiani che ci sembrano più rilevanti. La tendenza a filmare e fotografare le cose che ci circondano ogni giorno si è consolidata negli ultimi dieci anni, ma l’abitudine di riprendere ore e ore della propria vita quotidiana esiste per molte persone da quando negli anni Ottanta diventò possibile registrare su nastro magnetico, sulle classiche videocassette VHS, e poi in digitale.
Prima c’erano le pellicole cinematografiche, ovvero i nastri perforati su cui venivano impresse delle sequenze di immagini fotografiche in rapida successione grazie a una macchina da presa. Le pellicole non potevano essere sovrascritte ed erano costose abbastanza da richiedere di prendere delle decisioni ragionate sui momenti che si decideva di immortalare.
Del periodo del secolo scorso in cui la pellicola era l’unico materiale su cui era possibile girare filmati, tra gli anni Venti e gli anni Settanta, rimangono quindi molti meno filmati amatoriali – i cosiddetti home movies o film di famiglia, girati normalmente con l’intenzione di preservare un ricordo di un’attività familiare, una vacanza o un evento speciale – rispetto a quelli che è stato possibile girare dopo l’arrivo delle videocassette. Quelli che esistono ancora perché non sono stati buttati via dalle generazioni successive sono spesso inutilizzabili, perché chi li possiede non sa usare o non ha gli strumenti necessari per proiettarli. Per recuperare, restaurare, catalogare e digitalizzare pellicole di questo tipo che andrebbero altrimenti perdute, a Bologna lavora da vent’anni l’Archivio Nazionale dei Film di Famiglia.
È nato nel 2002, e dal 2005 si trova in centro, in uno dei tantissimi edifici porticati che caratterizzano Bologna: quello che ospita anche l’istituto storico Parri Emilia-Romagna, dove vengono conservati decine di migliaia di volumi dedicati alla storia italiana. Lo spazio è stato assegnato dal Comune nel 2005: al primo piano una serie di stanzette costituisce la sede operativa e il laboratorio dell’Associazione, dove vengono catalogati, restaurati e digitalizzati i video con dei sistemi per il trasferimento dalla pellicola al digitale, ma anche organizzati gli eventi, gestite le richieste di materiale che arrivano da documentaristi e case di produzione cinematografica. Sopra alle librerie troneggiano cineprese di vari colori, formati, epoche, a partire dagli anni Venti, quando cominciarono ad essere commercializzate le prime macchine da presa.
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Sotto terra, in una grande stanza che viene tenuta ad una temperatura costante di 16 gradi e un tasso di umidità del 40 per cento, c’è l’archivio vero e proprio. Scaffali e scaffali di bobine, racchiuse per lo più in piccole scatole di metallo ed etichettate a mano. Nella calligrafia di centinaia di cineamatori diversi, o su ordinate targhette stampate: S. Comunione Silvia, Matrimonio Vanna, Primo Maggio a Mosca, Giro della Sicilia, Parata auto defile riviera, Crociera Raffaello, GERMANIA 1984, Courmayeur, Elefanti Ammaestrati. In tutto, l’Archivio preserva circa 30 mila elementi, ma molti altri devono ancora essere catalogati e digitalizzati.
«Spesso, questi filmati non vengono visti da decenni: magari sono stati guardati un paio di volte negli anni Venti e poi completamente dimenticati, perché il proiettore diventava obsoleto e le persone non erano più in grado di utilizzarlo. Quando li recuperiamo, è veramente una riscoperta» dice Mirco Santi, uno dei fondatori.
A cominciare a fare questo lavoro nei primi anni Duemila fu un gruppo di persone che, da studenti di Storia o di Arti, Musica e Spettacolo, si erano accorte che all’estero i film di famiglia cominciavano già ad essere considerati una fonte preziosa di memoria storica. «Fuori dall’Italia stavano nascendo pubblicamente delle istituzioni pubbliche per conservare questo materiale in formati ridotti e valorizzarlo, e ci eravamo resi conto che da noi c’era una lacuna, che nessuno se ne stava occupando», racconta Santi. «Così abbiamo messo insieme le nostre competenze: c’è chi aveva esperienza di cinema, produzione e montaggio, chi ne sapeva di storia. La nostra missione non era di diventare un archivio di riferimento: l’importante era lavorare sul concetto stesso di film di famiglia, perché ci sembrava che mancasse proprio un ragionamento al riguardo».
L’Archivio non è più il solo in Italia a fare questo lavoro: a Torino, per esempio, c’è Superottimisti, archivio regionale di film di famiglia il cui obiettivo è «il recupero e la salvaguardia della memoria privata attraverso la raccolta di home movies, pellicole amatoriali in formato ridotto 8mm, 9,5mm, super8 e 16mm». Ma quello di Bologna è l’unico ad avere vocazione nazionale, ed è sicuramente il più grande: nel 2011, il ministero della Cultura l’ha dichiarato archivio d’interesse storico particolarmente importante.
I primi filmati presenti in archivio risalgono al 1923, esattamente cent’anni fa. Il 1923 è l’anno in cui cominciano ad essere vendute le prime pellicole amatoriali, quelle in formato 9,5mm Pathé Baby, prodotta dall’azienda francese Pathé-Frères, e Eastman Kodak 16mm. Fatte per la prima volta di un materiale che, al contrario del precedente nitrato di cellulosa, non era facilmente infiammabile e quindi era sicuro da tenere in casa, queste pellicole potevano comunque ospitare pochi minuti di filmato ed erano molto costose: sarebbero stati formati commercializzati nel dopoguerra, come l’8 e il 16mm, a rendere più accessibile questo hobby e a trasformare il possesso di una cinepresa in una sorta di simbolo di status per la classe media.
Per festeggiare il centesimo anniversario della pellicola più vecchia l’associazione Home Movies, che gestisce l’archivio, ha creato un progetto che promette di pubblicare online per ogni giorno del 2023 un filmato dall’archivio girato esattamente quel giorno nell’arco dello scorso secolo, per condividere immagini inedite dell’Italia fascista, dei giorni della Liberazione, degli anni del boom economico, delle rivolte studentesche e della Guerra fredda.
«I momenti privati – come matrimoni, nascite, battesimi – comunque si collegano alla Storia: spesso, mentre uno si sposa o fa la comunione, c’è una guerra da qualche parte, c’è una legge razziale che viene passata», spiega Paolo Simoni, un altro dei fondatori dell’associazione. «La cosa importante sul piano della memoria storica non sono tanto i singoli eventi: abbiamo filmati che immortalano la Liberazione, vari eventi sportivi, l’elezione di Papa Paolo VI, e tantissimi dell’eclissi del 15 febbraio 1961, quando il paese intero si è fermato per guardare la luna. Ma la storia è anche nei momenti di vita quotidiana, e spesso le cose più interessanti si trovano non nei filmati che riprendono i momenti eclatanti, quanto nelle grandi trasformazioni storiche di cui le persone non si sono accorte nel momento in cui le stavano filmando».
Come racconta Simoni, «ci sono dei casi – non italiani – di film di famiglia che mostrano famiglie ebraiche che continuano a vivere la propria quotidianità durante le persecuzioni della Seconda guerra mondiale fino al momento in cui vengono deportati, o filmati dei vicini di casa che mostrano le persone che venivano portate via perché capivano che era una cosa che era necessario testimoniare. Ci sono video di persone che vivevano a pochi chilometri dai campi di concentramento e che mostrano la vita di tutti i giorni. La cinepresa in un certo senso è come una penna stilografica, con cui si possono prendere anche appunti sulla realtà».
Non a caso, negli ultimi anni questo genere di materiali sta tornando particolarmente utile a chi vuole girare non solo documentari ma anche film e serie tv ambientati nel Novecento, per comprendere meglio quale atmosfera si respirava in un dato periodo, quali vestiti venivano indossati, che aspetto avessero le città. Netflix, ad esempio, ha attinto dall’Archivio dei film di famiglia sia per la sua serie-documentario SanPa – Luci e tenebre di San Patrignano, sia per la recente Vatican Girl, sulla scomparsa di Emanuela Orlandi, per contestualizzare la Roma dei primi anni Ottanta.
«Questi video possono dare il sapore di un’epoca al di là della rappresentazione ufficiale dei media. È chiaro che è diverso vedere un cinegiornale Luce ufficiale e un film dal basso girato da un cineamatore negli anni Trenta e Quaranta: anche se si trattasse di un aderente al fascismo, è un film che sfugge al controllo dall’alto», dice Simoni.
I film di famiglia, poi, possono essere utili a ricostruire la storia dei rapporti di genere di un paese, mostrando da vicino interazioni interne alle famiglie che normalmente sfuggono agli storici. «Questi filmati avevano la funzione di consolidare i rapporti familiari, nel senso che sono riprese di momenti condivisi che poi vengono riguardati e raccontati dalle persone che li guardano: essendo muti, stimolano il dialogo e invitano ad esprimere i propri sentimenti e ricordi con gli altri», spiega Simoni.
«Sicuramente l’uomo era quello con la cinepresa, benché il film di famiglia sia molto basato sul passaggio di mano in mano della cinepresa e spesso ci si filmi a vicenda. Ma avere in mano la cinepresa è un po’ avere il dominio, e se fin dall’inizio le pubblicità puntano molto sull’immagine della donna che filma, è soprattutto per mandare il messaggio che le macchine da presa erano talmente semplici da usare che poteva farlo pure una donna». In contrasto con questa rappresentazione, negli anni Sessanta e Settanta le femministe si appropriano delle cineprese come parte del processo di emancipazione: nell’Archivio c’è anche un po’ di questo.
L’Archivio raccoglie film provenienti da tutto il territorio nazionale, e si concentra principalmente sul patrimonio audiovisivo inedito e privato, ovvero sui filmati creati senza alcuno scopo commerciale né documentaristico, che restituiscono informazioni sul modo in cui, durante il secolo scorso, le famiglie italiane si autorappresentavano riprendendo ciò che ritenevano importante ricordare e tramandare, i loro rituali, il loro sguardo sul momento storico che si trovavano a vivere. Da qualche anno si è però ampliato ad accogliere anche materiali filmici indipendenti realizzati in modo professionale: nell’Archivio si può trovare la storia di uno dei circhi più celebri degli anni del boom economico, quello di Darix Togni, ma anche le opere sperimentali del regista bolognese Mauro Mingardi e una collezione di video sulla ricerca medica girati dal neuroscienziato Vincenzo Neri.
Concretamente, l’Associazione Home Movies chiede a chiunque di inviare quelle pellicole in piccolo formato che spesso si trovano nelle soffitte dei parenti più anziani o tra i ricordi di famiglia. I formati di cui si occupa sono principalmente 9,5 millimetri, 16mm, 8mm o super8: l’associazione offre una guida per identificare il formato e la durata delle pellicole e poi se ne prende carico, utilizzando scanner professionali per digitalizzare i film in alta definizione.
Nell’arco di qualche mese, la versione digitalizzata viene restituita alle famiglie in cambio di una partecipazione ai costi di lavorazione e conservazione del materiale, anche se l’associazione sottolinea che «per pellicole di particolare interesse storico e archivistico, ci riserviamo tuttavia la facoltà di acquisire i film anche in assenza di contributo economico, impegnandoci a destinare delle risorse su materiali a forte rischio di dispersione». Oltre alle donazioni dei privati, alcuni materiali arrivano anche grazie a progetti organizzati in collaborazione con comuni, enti e fondazioni, che lanciano degli appelli pubblici con lo scopo di raccogliere le memorie di una determinata zona geografica.
Per permettere al pubblico di conoscere i materiali presenti in archivio, dal 2007 l’associazione organizza Archivio Aperto, una rassegna annuale di film amatoriali, sperimentali e indipendenti, oltre che di documentari creati con i film di famiglia. Dal 2019, poi, il sito Memoryscapes permette a chiunque di vedere una parte del materiale d’archivio online.
«Oggi creiamo talmente tanto materiale e immagini che c’è il rischio di perdersi, che sentiamo quasi il bisogno di disintossicarci», dice Simoni. «Ma quando ti rivolgi al passato, ti rivolgi sempre a qualcosa che in partenza è perduto, di cui tu puoi solo recuperare un frammento. Quello che si riesce a salvare è un patrimonio che altrimenti sarebbe andato perso. Salviamo il salvabile di un’epoca scomparsa».