Il settore nucleare del Giappone non riesce a ripartire dopo Fukushima
Il governo vuole riaccendere altri 16 reattori fermati dopo l'incidente del 2011, ma mancano ingegneri nucleari, aziende e materiali
A oltre dieci anni di distanza dall’incidente di Fukushima, quando la centrale nucleare della città fu gravemente danneggiata da uno tsunami, l’industria nucleare giapponese sta incontrando molte difficoltà a recuperare i livelli precedenti al 2011 e a rinnovarsi, nonostante le intenzioni dell’attuale governo. In risposta all’aumento dei costi dell’energia e alle difficoltà di approvvigionamento, il primo ministro Fumio Kishida ha avviato un piano per rimettere in funzione parte dei 45 reattori che erano stati fermati per controlli di sicurezza dopo il disastro di Fukushima.
L’industria nucleare giapponese al momento si trova a fronteggiare una carenza di ingegneri nucleari, di aziende specializzate e di materiali, che rendono il ritorno all’operatività complesso. In più l’opinione pubblica sul tema è molto divisa e varie comunità locali stanno opponendo resistenze alla riattivazione dei reattori.
Il Giappone attualmente importa circa il 90 per cento dell’energia di cui ha bisogno. Prima del 2011 otteneva dai suoi 54 impianti nucleari circa il 30 per cento del fabbisogno elettrico, con una prospettiva di arrivare al 40 per cento nel 2017. Ma l’11 marzo del 2011 si verificò l’incidente nucleare di Fukushima, che fu il secondo incidente al mondo considerato “catastrofico” in base a una scala internazionale approvata dall’Agenzia internazionale per l’energia atomica, oltre a quello di Chernobyl.
Fu causato dallo tsunami che seguì un terremoto, e portò alla parziale fusione dei noccioli di tre reattori della centrale. Le successive esplosioni diffusero polveri radioattive per chilometri attorno alla centrale e costrinsero decine di migliaia di persone ad abbandonare le proprie case per anni.
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Dopo quel disastro tutte le centrali nucleari giapponesi furono fermate per effettuare controlli e adeguare i protocolli di sicurezza. Da allora dieci reattori sono stati rimessi in funzione (il primo nel 2015), altri 33 sono considerati potenzialmente utilizzabili e per 16 è in corso, in vari stadi, un processo di approvazione della riaccensione (nove sarebbero dovuti rientrare in funzione entro la fine dell’inverno). Oggi le centrali nucleari forniscono meno del 10 per cento dell’energia elettrica necessaria al paese: il governo vorrebbe riportare questa quota intorno al 20 per cento entro il 2030.
Il processo di ottenimento dei permessi da parte dell’autorità nazionale nucleare (NRA) può però essere complesso, specie per impianti che sono fermi da un decennio, mentre a livello locale sono nati numerosi comitati di opposizione al nucleare. Fra i requisiti richiesti dall’NRA ci sono la protezione dagli tsunami, un dettagliato programma di sicurezza, alti standard anti-sismici, una revisione della disposizione delle varie parti della centrale secondo una pianta più razionale.
Anche qualora questi ostacoli fossero superati, per il Giappone il maggiore problema relativo alla capacità di generare energia da fonte nucleare è la profonda crisi del settore, che dopo il 2011 ha visto l’uscita dal mercato di oltre 20 imprese specializzate, fra cui la Kawasaki Heavy Industries e la Sumitomo Electric Industries. I progetti del governo prevedono la creazione di centrali di nuova generazione, ma allo stato attuale anche la riparazione e la sostituzione di componenti di quelle esistenti è un problema di difficile soluzione. Il fallimento della Zirco Products nel 2017, ad esempio, ha reso introvabili sul mercato nazionale i tubi protettivi che all’interno dei reattori limitano la diffusione delle radiazioni.
Inoltre secondo le associazioni di settore gli ingegneri nucleari ora in attività sono diminuiti del 45 per cento dal 2011, mentre gli studenti della facoltà di ingegneria nucleare nello stesso periodo sono scesi del 14 per cento.
Secondo il governo però il grande aumento dei prezzi dell’energia e gli impegni presi per ridurre l’impatto dei combustibili fossili impongono al paese la costruzione di reattori di nuova generazione.
Alcune aziende, come Mitsubishi Heavy Industries, Hitachi e Toshiba, stanno investendo nel settore e in particolare su reattori con più alti standard di sicurezza o su piccoli reattori modulari. I primi però non saranno pronti per essere commercializzati prima del 2035, i secondi potrebbero diventare operativi nel 2040. Sono quindi soluzioni tutt’altro che immediate: gli attuali problemi dell’industria nucleare giapponese potrebbero limitare per almeno un decennio la capacità del paese di produrre energia.