La storia dell’antico regno di Lo, nel nord del Nepal
Per secoli la posizione isolata, al confine col Tibet, favorì la conservazione della sua cultura: ora le cose stanno cambiando
Nella parte settentrionale della regione di Mustang, alle pendici dell’Himalaya, nel nord del Nepal, c’era un antico reame che rimase a lungo isolato e protetto per via della sua posizione remota: è il regno di Mustang, o regno di Lo, che nacque alla fine del Trecento e nei secoli successivi si sviluppò grazie alla rotta commerciale che collegava la Cina al subcontinente indiano, attraverso l’altopiano del Tibet.
Il regno di Lo fu una dipendenza del Nepal dal 1795, continuò a rimanere inaccessibile per gran parte del Ventesimo secolo e con la trasformazione del paese in repubblica, nel 2008, cessò formalmente di esistere. Adesso che la Cina sta puntando a ripristinare l’antica via di collegamento che passa per l’Himalaya ci si chiede se la sua particolare cultura continuerà a essere tutelata, e in che modo il territorio potrà adattarsi a nuove forme di commercio e turismo.
Gli abitanti di quello che fu il regno di Mustang (conosciuto in inglese anche come Upper Mustang) sono i loba, o lopa, un gruppo etnico autoctono di agricoltori e pastori buddisti. Il suo territorio semi-arido e isolato si estendeva lungo la valle del fiume Kali Gandaki, tra la settima montagna più alta del mondo (il Dhaulagiri) e il massiccio dell’Annapurna; il suo nome derivava da una parola tibetana che significa “pianura delle aspirazioni”, un probabile riferimento alle ricchezze che è possibile trovarvi.
Per quanto fosse isolato, tra Quattrocento e Cinquecento infatti il regno diventò un centro importante per il commercio di sale, lana, cereali, gemme, spezie e animali o parti di animali tra l’India e il Tibet. Prima ancora, era stato un luogo frequentato dai monaci buddisti e dai pellegrini che attraversavano l’Himalaya. Nel tempo gli insegnamenti buddisti si fusero con le pratiche animiste delle popolazioni locali. Con le tasse fatte pagare ai mercanti si finanziò poi la costruzione dei templi e dei monasteri della cultura locale, molto più simile a quella tibetana che a quella del resto del Nepal.
La protezione garantita dal regno del Nepal da fine Settecento in cambio di una certa autonomia e del pagamento di tasse annuali permise al regno di Lo di rimanere sostanzialmente intatto anche dopo l’invasione cinese del Tibet, cominciata nel 1950. Negli anni Sessanta il regno fu la base di un gruppo di guerriglieri tibetani che si opponevano all’occupazione (il gruppo era sostenuto dalla CIA), ma per il resto continuò a rimanere assai isolato. Smise di esistere quando nacque la Repubblica federale del Nepal, fondata nel 2008, dopo dieci anni di guerra civile.
Ancora oggi il territorio dove si trovava l’antico regno è così isolato che chi ci vuole andare deve calcolare il viaggio in giorni anziché in chilometri, scrive il sito specializzato International Traveller. Ci sono pochissimi villaggi e centri abitati, e anticamente per raggiungerli da altre zone del Nepal ci volevano settimane di viaggio a piedi o comunque diversi giorni con cavalli o yak. Anche adesso che è stata aperta una strada percorribile da mezzi a motore, per andare dalla capitale nepalese Katmandu a quella dell’antico regno, Lo Manthang, ci vogliono tre giorni di viaggio: in linea d’aria distano circa 300 chilometri, ma la strada è stretta e tortuosa e spesso è interrotta dalle frane. Lo Manthang ha circa 1.300 abitanti, si trova a 3.800 metri sul livello del mare e sta a circa 15 chilometri dal confine con il Tibet.
– Leggi anche: Morto il Dalai Lama se ne farà un altro?
Nonostante la figura del re non abbia alcuna autorità o alcun potere, a livello informale esiste ancora, più che altro per presiedere le cerimonie e mantenere la pace tra le varie comunità.
Il leader della regione si chiama Jigme Singhi Palbar Bista, è il figlio di quello che fu l’ultimo re di Mustang (Jigme Dorje Palbar Bista, morto nel 2016) ed è il 26esimo nella linea di successione della stessa famiglia. È ancora rispettato e venerato dagli abitanti e, come ha raccontato di recente per un reportage del National Geographic, una delle sue preoccupazioni principali è quella di preservare la cultura e la tradizione del posto.
Nella valle del Kali Gandaki e fra le gole del territorio ci sono vari templi e monasteri, alcuni dei quali ancora in uso. Molti di questi edifici contengono pitture, sculture e figurine di bronzo, oro e pietre preziose. Ci si trovano inoltre molte abitazioni scavate nella roccia che si pensa possano risalire anche a 8-10mila anni fa: in alcune di queste sono state trovate migliaia di manoscritti buddisti, ma anche dipinti, iscrizioni e insegnamenti ancora più antichi. Tra le cerimonie più popolari del posto c’è il Tiji, un festival di tre giorni che si tiene in estate, durante il quale i monaci ballano indossando maschere che ricordano bestie feroci per celebrare il trionfo del bene sul male.
Il fatto che dopo molti secoli di isolamento sia stata costruita una strada che arriva fino a Lo Manthang non è un caso. Ha a che fare con la cosiddetta “nuova via della seta”, l’ambizioso progetto annunciato nel 2013 del presidente cinese Xi Jinping per collegare in senso più ampio l’Europa e l’Asia con nuove infrastrutture controllate proprio dalla Cina.
– Leggi anche: La Cina vuole costruire la centrale idroelettrica più grande del mondo
National Geographic racconta che la Cina ha già costruito una strada che arriva fino al confine con il Nepal e che a sua volta è collegata alla rete autostradale che porta fino alla Cina centrale. Quella che manca adesso è una strada che la colleghi alla regione di Mustang per ripristinare i commerci. Da un lato, questo potrebbe contribuire a far sviluppare il turismo e aiutare l’economia del posto; dall’altro però secondo alcuni abitanti potrebbe favorire la contaminazione della cultura locale, e in qualche misura rischiare di farle perdere le sue peculiarità.
Fino al 1992 il remoto regno di Mustang fu inaccessibile alle persone straniere per via della volontà del Nepal di preservarne le tradizioni. Ancora adesso comunque per visitarla i turisti devono avere un permesso che costa l’equivalente di circa 470 euro per dieci giorni (e ogni anno ne vengono concessi pochi). Esistono hotel e strutture turistiche, ma sono molto poco frequentate. Oggi la gran parte dei turisti che scelgono di visitare il Nepal tendenzialmente ci va per le spedizioni sull’Everest, ha osservato Jigme; secondo lui però con lo sviluppo delle nuove infrastrutture cinesi, nel giro di qualche anno, il turismo «crescerà enormemente». «Per salvare la nostra cultura ci serve il turismo, e per avere il turismo ci serve la strada», ha commentato.
Tra l’altro nel 2014 proprio nella parte settentrionale della regione di Mustang fu scoperto un grande giacimento di uranio, un metallo che tra le altre cose può essere usato come combustibile per la produzione di energia elettrica nelle centrali nucleari, e che si pensa potrà essere un’altra fonte di ricchezza per il territorio.
Le proibitive condizioni climatiche della zona permettono di visitarla solo in un certo periodo dell’anno: in inverno le tubazioni delle case gelano a causa del freddo, mentre in estate le piogge monsoniche provocano spesso frane che bloccano la strada per settimane. Un altro problema è cercare di evitare che le persone del posto migrino altrove per cercare opportunità migliori, un fenomeno che in parte è già cominciato e che Jigme pensa si possa aggravare. In ogni caso, tutelare la cultura del posto sembra già un’operazione piuttosto complessa, a partire dagli stessi edifici.
Un esempio concreto è quello della città fortificata di Lo Manthang, che fa parte della lista dei potenziali siti patrimonio dell’umanità UNESCO dal 2008. Secondo la tradizione, il palazzo reale che ospita fu costruito nel 1441 dal figlio di Ame Pal, il leggendario re che fondò il regno nel 1380: l’edificio fu danneggiato dal disastroso terremoto del 2015 in Nepal e il clima sempre più umido sta compromettendo la solidità delle pareti, costruite con mattoni di terra e fango. In vari templi ed edifici l’umidità sta anche facendo sbriciolare le pitture murali al loro interno.
– Leggi anche: I problemi dell’archeologia misteriosa