Perché è un problema che le navi delle ong sbarchino ad Ancona e non nel sud Italia
In breve, perché porta nuove sofferenze per le persone soccorse, e morte per chi naufragherà in un tratto di mare senza navi
Da qualche settimana il governo guidato da Giorgia Meloni sta cercando in vari modi di ostacolare il lavoro delle ong che soccorrono le persone nel Mediterraneo centrale. Oltre ad avere approvato un decreto con un nuovo, stringente e controverso codice di condotta che sono tenute a seguire, negli ultimi giorni sta indicando loro di sbarcare in porti molto lontani dalla zona dove tradizionalmente soccorrono le persone, fra la Sicilia e la Libia, per rendere più costose e complesse le operazioni di salvataggio, e in questo modo sperare di scoraggiarle.
Sabato due navi gestite da ong, la Geo Barents di Medici Senza Frontiere e la Ocean Viking di SOS Méditerranée, avevano soccorso in tutto un centinaio di persone nel Mediterraneo centrale: poco dopo il governo ha indicato loro di dirigersi verso il porto di Ancona, a circa 1.500 chilometri e quattro giorni di navigazione. L’indicazione è vincolante: il nuovo decreto prevede che le navi si dirigano verso il porto di sbarco dopo la prima operazione effettuata, quindi senza potersi fermare per altri eventuali soccorsi a meno di emergenze lungo la rotta.
Nel diritto internazionale ci sono varie norme che proteggono i diritti dei naufraghi, e vincolano chi li ha salvati e gli stati che devono occuparsene a non prolungare le loro sofferenze, per esempio tenendoli in mare più a lungo del necessario: ed esistono varie indicazioni date dall’Organizzazione marittima internazionale, un istituto dell’ONU, secondo cui nell’assegnare il porto di sbarco alle navi gli stati dovrebbero prendere in considerazione le esigenze dei naufraghi e di chi li ha soccorsi.
In questi casi viene molto citato l’articolo 98 della Convenzione dell’ONU sul diritto del mare, del 1982, che in caso di soccorso in mare vincola l’equipaggio che ha compiuto l’operazione a informare i naufraghi del «più vicino porto di scalo». L’agenzia ONU per i rifugiati interpreta questa norma come un’indicazione di portare i naufraghi nel porto più vicino dove i loro diritti e la loro sicurezza possano essere garantiti.
Per questi motivi le ong che soccorrono le persone nel Mediterraneo sostengono che le indicazioni del governo di sbarcare ad Ancona violino le convenzioni internazionali. Juan Matías Gil, capo missione della Geo Barents, ha fatto notare al Manifesto che «un porto a 1.500 km con le pessime condizioni meteo previste nelle prossime ore non è la soluzione migliore per i sopravvissuti che abbiamo a bordo».
Ma oltre a violare potenzialmente alcune norme internazionali, l’indicazione del governo ha degli effetti molto concreti e immediati. Su tutte, il prolungamento della sofferenza delle persone soccorse, già traumatizzate dal naufragio e in moltissimi casi reduci da mesi di torture e violenze nei centri di detenzione libici. «L’esposizione ripetuta a cattivo tempo durante un viaggio prolungato può essere dannosa e rappresentare un rischio significativo per la loro salute, nei prossimi giorni», ha fatto sapere SOS Méditerranée in una serie di tweet.
1/2 #OceanViking asked Italian maritime authorities for closer safe port to disembark the 37 survivors aboard. Repeated exposure to poor weather during a prolonged journey could be detrimental to their well-being & could pose a significant risk to their health in the coming days pic.twitter.com/Q06NZU85zp
— SOS MEDITERRANEE (@SOSMedIntl) January 7, 2023
«Il ministro dell’Interno ha rifiutato la nostra richiesta di un luogo sicuro più vicino per lo sbarco dei 73 sopravvissuti a bordo della Geo Barents. La nave si sta dirigendo verso nord», ha fatto sapere domenica mattina un portavoce di Medici Senza Frontiere.
L’altra conseguenza concreta è che mandare le navi delle ong a un porto così lontano, mentre i porti della Sicilia e della Calabria sarebbero distanti soltanto un giorno di navigazione, comporta che le navi saranno assenti per più tempo dalla zona dove di solito avviene la maggior parte dei naufragi. Significa che più persone moriranno senza che nessuno abbia la possibilità di soccorrerle: diversi studi hanno dimostrato che le partenze dalla Libia dipendono soprattutto dal meteo, e non dalla presenza o assenza delle navi delle ong.
In questo momento nel Mediterraneo centrale il tempo è pessimo, quindi dalle coste libiche e tunisine non stanno partendo imbarcazioni con a bordo migranti. Nel caso il tempo migliorasse nelle prossime ore, però, la Geo Barents e la Ocean Viking – le uniche due navi delle ong che erano in quel tratto di mare, nei giorni scorsi – si troverebbero troppo a nord per compiere un soccorso tempestivo.
L’assegnazione di un porto molto distante, unita all’indicazione contenuta nel nuovo decreto-legge di compiere una sola operazione di soccorso, potrebbe limitare molto le attività delle ong in futuro, e portare a molti più morti in quel tratto di mare. Per fare un esempio, la donna che a inizio dicembre aveva partorito sulla Geo Barents era stata soccorsa nella seconda operazione di soccorso di quella missione.
Procedere verso Ancona e poi tornare indietro nel Mediterraneo centrale comporterà anche un aumento di costi notevole per le ong. Medici Senza Frontiere spiega che per far funzionare la Geo Barents servono circa 10mila litri di carburante al giorno quando la nave si muove a velocità spedita: significano circa 14mila euro di carburante, ai prezzi di oggi. Allungare di sei giorni il proprio tragitto (tre all’andata e tre al ritorno) significa spendere 80mila euro in più per ogni missione. Cifre importanti anche per una ong internazionale.