Negli Stati Uniti il Partito Repubblicano non riesce a eleggere lo speaker della Camera
Kevin McCarthy, il candidato principale, non ha ottenuto la maggioranza nemmeno alla sesta votazione
Mercoledì la Camera statunitense rinnovata dopo le elezioni di metà mandato di novembre ha votato per la quarta, la quinta e la sesta volta per eleggere il suo nuovo speaker, ovvero il suo presidente. Come già successo nelle tre votazioni di martedì, a causa di profonde divergenze interne il Partito Repubblicano, che alle elezioni aveva ottenuto una maggioranza risicata, non è riuscita a eleggere uno speaker.
In queste prime votazioni, il candidato considerato favorito era il Repubblicano Kevin McCarthy, che per essere eletto avrebbe dovuto ottenere almeno 218 voti. In ognuna delle cinque votazioni ne ha ottenuti però appena più di 200.
McCarthy ha 57 anni ed un politico Repubblicano di lungo corso che da tempo fa parte della leadership del partito e negli ultimi anni si è avvicinato molto alle posizioni di Donald Trump. Dal 2014 ad oggi è stato inoltre leader del partito alla Camera. Nonostante McCarthy sia considerato un candidato trumpiano e tutt’altro che moderato, c’è un gruppo di Repubblicani radicali secondo cui il Partito Repubblicano va riformato per essere ancora più estremista, e che di conseguenza si oppone a McCarthy, di fatto considerato non abbastanza estremista.
In tutte le prime votazioni i Democratici, che alla Camera statunitense sono in minoranza, hanno sempre votato in modo compatto per il capogruppo Hakeem Jeffries; alcuni Repubblicani (in genere 20 di loro) hanno votato invece per un candidato Repubblicano diverso da McCarthy, di fatto impedendone così l’elezione.
Secondo la Costituzione americana, l’elezione dello speaker è il primo atto di una nuova Camera, e come in molti altri paesi è necessaria al proseguimento di tutto il resto: senza uno speaker, per esempio, i nuovi deputati non possono nemmeno fare la cerimonia di giuramento (anche se sono già attivi). Per questo, se la prima votazione non porta ad alcuna elezione, la si ripete finché non c’è consenso su un candidato. Tra un’elezione e un’altra i deputati hanno facoltà di parlare a favore dei loro candidati preferiti, ed è possibile che qualcuno si ritiri o che vengano fatti nomi nuovi. L’ultima volta che la Camera non era riuscita a eleggere il nuovo speaker fu nel 1923: allora ci vollero nove votazioni, nel corso di tre giorni.