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  • Mercoledì 4 gennaio 2023

La pandemia in Italia, oggi

A distanza di tre anni la situazione è relativamente stabile e per ora non sono segnalati rischi dovuti alla situazione critica in Cina

(Vittorio Zunino Celotto/Getty Images)
(Vittorio Zunino Celotto/Getty Images)

In seguito al rapido aumento di contagi in Cina, nei giorni intorno a Natale la pandemia è tornata a essere il tema principale sulle prime pagine dei giornali italiani, con titoli allarmati sul rischio di un peggioramento della situazione anche in Italia. Una certa pressione da parte dei mezzi di comunicazione ha contribuito a spingere il ministero della Salute a diffondere una circolare alla fine dell’anno, integrata subito dopo Capodanno con un nuovo testo, con indicazioni per prepararsi a un eventuale «inverno con possibile aumento di impatto assistenziale». Dopo alcune giornate di grandi attenzioni, la pandemia è poi scomparsa dalle prime pagine dei quotidiani, facendo sorgere qualche dubbio sui toni utilizzati intorno a Natale e qualche domanda sull’effettiva situazione in Italia.

I dati
A tre anni dai primi contagi di coronavirus in Cina, la situazione in Italia appare relativamente stabile, almeno stando agli ultimi dati ufficiali pubblicati dal governo. Nella settimana che si è conclusa il 30 dicembre, i contagi rilevati sono stati circa 122mila, in lieve diminuzione rispetto alla settimana precedente e quasi la metà rispetto al picco rilevato alla fine di novembre.

È bene ricordare che in questa fase della pandemia molte meno persone si sottopongono ai tamponi, quando stanno male, per confermare se i loro sintomi siano dovuti a un’infezione da coronavirus. Chi effettua i test preferisce spesso fare una verifica con un tampone fai-da-te, che non viene quindi registrato come avviene invece per i test effettuati in farmacia. L’ultima settimana di dicembre è inoltre coincisa con un periodo di festa e, come era emerso in situazioni analoghe negli anni passati, i dati forniti dalle regioni sono sicuramente parziali e incompleti, di conseguenza da prendere con ulteriore cautela.

Queste considerazioni valgono non solo per i nuovi contagi rilevati, ma anche per i decessi segnalati dalle regioni. Secondo i dati ufficiali, nell’ultima settimana del 2022 sono morte 706 persone a causa del coronavirus, quasi cento in meno rispetto alla settimana precedente che aveva fatto registrare il picco dei decessi nell’ultimo periodo.

Come in altre fasi della pandemia, tra i dati più affidabili ci sono quelli sui ricoveri per COVID-19 in terapia intensiva, che consentono di farsi un’idea sulla proporzione di casi gravi nelle varie regioni. La situazione è relativamente sotto controllo nella maggior parte dell’Italia, anche se in Abruzzo, Calabria e Umbria le percentuali di posti occupati in terapia intensiva per COVID-19 sono tra il 7 e l’8 per cento. La soglia di attenzione fissata dal ministero è del 10 per cento, ma ora ha meno rilevanza di un tempo.

Varianti
La nuova ondata di contagi in Cina aveva fatto sollevare alcune preoccupazioni sul rischio dell’emersione di nuove varianti, considerato che il coronavirus aveva iniziato a diffondersi in una popolazione solo parzialmente immunizzata, a causa dei numerosi lockdown della strategia zero-COVID (ora abbandonata) e della scarsa quantità di persone con almeno un richiamo dopo il primo ciclo di vaccinazione. In queste condizioni, la maggior circolazione del coronavirus avrebbe potuto comportare la nascita di nuove varianti, ma al momento questo non sembra essere stato il caso.

Nel mese di dicembre, la Cina ha condiviso sulla principale piattaforma (GISAID EpiCoV) che raccoglie le evoluzioni del coronavirus quasi 600 sequenziamenti, con le informazioni genetiche essenziali per comprendere quali varianti siano in circolazione in una determinata popolazione. Da questi sequenziamenti, effettuati quasi tutti nell’ultima settimana di dicembre su campioni raccolti nelle prime tre settimane dello stesso mese, sono emerse solo versioni del coronavirus legate a omicron, la variante che ormai da un anno è dominante in buona parte del mondo.

Impatto
Sulla base di questi dati, il Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie (ECDC) ha detto: «Le varianti in circolazione in Cina sono già presenti nell’Unione Europea e non costituiscono quindi una particolare sfida per la risposta immunitaria dei cittadini europei. Inoltre, questi hanno livelli relativamente alti di immunizzazione sia naturale sia derivante dalla vaccinazione». Per questo motivo, sempre secondo l’ECDC, non ci sono elementi per ritenere che l’aumento dei casi in Cina abbia un particolare impatto sulla situazione in Europa.

Insieme ad altre istituzioni sanitarie internazionali, l’ECDC ha comunque segnalato come le informazioni fornite dal governo cinese continuino a essere parziali e lacunose. Stando ai dati ufficiali, il picco della nuova ondata si è verificato in Cina il 2 dicembre scorso, ma considerato che poco dopo è stata drasticamente ridotta la quantità di test e sono state rimosse praticamente tutte le limitazioni ci sono sicuramente moltissimi casi non segnalati.

Oltre alla mancanza di dati affidabili sui nuovi casi di COVID-19, mancano informazioni precise sui ricoveri in ospedale, sui decessi e sui livelli di occupazione delle terapie intensive. L’alto numero di contagi ha inoltre comportato e continuerà a comportare per settimane un maggiore stress per gli ospedali cinesi, ma anche in questo caso le informazioni sono molto parziali.

(AP Photo/Andy Wong)

Test in ingresso
È in parte per questi motivi che il ministero della Salute italiano ha deciso di imporre i test con tampone a tutte le persone che tornano dalla Cina, considerato che dal prossimo 8 gennaio il paese aprirà nuovamente i propri confini e ci saranno quindi più possibilità di persone in viaggio e positive al coronavirus. La decisione del governo ha comunque ricevuto critiche, visto che non ci sono elementi per ritenere che in Cina siano in circolazione varianti diverse da quelle in Europa, senza contare che in altre aree del mondo potrebbero ugualmente svilupparsi altre varianti, che passerebbero inosservate visto che non sono previsti test per la maggior parte dei paesi di provenienza.

I campioni raccolti dai passeggeri provenienti dalla Cina dovranno essere inoltre sequenziati, un procedimento più lungo e articolato che può essere svolto solamente in laboratorio, per verificare che non sia in arrivo una nuova variante.

Circolare
Anche per questi motivi il ministero della Salute ha pubblicato il 2 gennaio una nuova circolare, che riprende e integra il testo di quella diffusa lo scorso 29 dicembre, che conteneva varie indicazioni su precauzioni e cautele da assumere per ridurre i rischi di una nuova ondata. La circolare di lunedì segnala nelle proprie conclusioni che:

Sebbene l’evoluzione della pandemia sia allo stato attuale imprevedibile, il nostro Paese deve prepararsi ad affrontare un inverno in cui si potrebbe osservare un aumentato impatto assistenziale attribuibile a diverse malattie respiratorie acute, prima fra tutte l’influenza, e alla possibile circolazione di nuove varianti di SARS-CoV-2, determinato anche dai comportamenti individuali e dallo stato immunitario della popolazione. Si evidenzia la necessità di intensificare il sequenziamento al fine di raggiungere una numerosità sufficiente a identificare l’eventuale circolazione di nuove varianti, anche in relazione alla recente diffusione dell’infezione nella Repubblica Popolare Cinese.

La circolare ricorda inoltre che fino al prossimo 30 aprile sarà mantenuto l’uso delle mascherine per i lavoratori e i visitatori delle strutture sanitarie, socio-sanitarie, socio-assistenziali, le residenze per le persone anziane e non autosufficienti. È stato inoltre prorogato l’impiego delle mascherine negli ambulatori e negli studi medici.

Oltre alle raccomandazioni agli ospedali di mantenere i protocolli COVID-19, compresi quelli per i ricoveri, il ministero della Salute ha indicato che potrebbe essere necessario tornare a utilizzare le mascherine negli ambienti chiusi in generale, e non solo in ambito sanitario. Ha inoltre citato nuovamente lo smart working e la «limitazione delle dimensioni degli eventi che prevedono assembramenti» per ridurre il rischio di nuovi contagi. In alcuni passaggi, la circolare riflette un approccio molto più cauto rispetto a quello mantenuto pubblicamente da vari esponenti del governo di Giorgia Meloni.

Vaccinazioni e protezione
Stando ai dati più recenti, in Italia l’84,4 per cento della popolazione ha completato il primo ciclo vaccinale e c’è un 1,5 per cento in attesa di effettuare la seconda dose. La terza dose, cioè il primo richiamo al di fuori del ciclo primario, è stato effettuato dal 68,2 per cento della popolazione, mentre solo il 9,5 per cento ha effettuato la quarta dose. Se si considerano le persone con più di 12 anni, la percentuale di propriamente vaccinati è del 90,4 per cento.

Questa condizione, insieme al fatto che molte persone hanno poi avuto almeno una volta il coronavirus nei mesi dopo la vaccinazione, fa sì che la maggior parte della popolazione abbia sviluppato capacità adeguate per contrastare un’infezione e ridurre i rischi di sviluppare forme gravi di COVID-19. Secondo il direttore generale dall’Agenzia italiana per il farmaco (AIFA), intervistato da Repubblica, grazie al successo della campagna vaccinale ottenuto soprattutto durante il governo Draghi «non c’è confronto tra noi e la Cina. Siamo vaccinati di più e meglio, anche se dalla Cina non arrivano dati affidabili. Però in Italia ci sono buchi importanti nelle fasce sopra ai 60 anni. Alle persone a rischio suggerisco di andarsi a vaccinare in massa. Un richiamo, soprattutto durante l’inverno, è importante».

A seconda delle regole scelte da ogni regione, ci sono numerose possibilità di accesso ai vaccini e le dosi non mancano. Attualmente l’Italia dispone di circa 16 milioni di dosi, distribuite dall’Unione Europea tramite il sistema di acquisto condiviso. Sono vaccini aggiornati alle varianti omicron in circolazione in questa fase e offrono quindi ulteriore protezione contro le forme gravi della malattia.

Un rapporto da poco diffuso dall’Istituto Superiore di Sanità (ISS) ha confermato che la migliore protezione contro le formi gravi di COVID-19 è stata rilevata in presenza di una sorta di immunità ibrida, che comprende quindi quella indotta dalla vaccinazione e quella dovuta a una infezione da coronavirus. Al di là dell’infezione, comunque, i vaccini si sono mostrati molto importanti nel ridurre il rischio di malattia grave. Il rischio di avere forme gravi di COVID-19 è 80 volte maggiore tra le persone non vaccinate e che non hanno mai avuto una diagnosi di infezione da coronavirus.

Come era già emerso in precedenti studi e rilevazioni, l’effetto protettivo tende a ridursi con il passare del tempo, sia nel caso di infezione vera e propria sia di vaccinazione. La perdita è più evidente in generale nella protezione contro l’infezione, mentre è meno marcata per quanto riguarda la malattia grave.

Ondate
Un anno fa proprio in questo periodo in Italia la quantità dei contagi rilevati stava iniziando ad aumentare sensibilmente a causa della diffusione della variante omicron, che in poche settimane avrebbe portato all’ondata più grande nel nostro paese in termini di contagi. Furono proprio i vaccini, l’immunità maturata dalle precedenti infezioni e caratteristiche diverse della variante omicron a mantenere relativamente contenuti i decessi, che nella fase di picco furono meno della metà rispetto alla prima ondata nel 2020.

Occorreranno ancora alcuni giorni per confermare la fine dell’attuale ondata, enormemente più contenuta rispetto alle precedenti, prendendo per buoni i dati a disposizione e le stime fornite dagli epidemiologi. Come ha ricordato il direttore generale dell’OMS, Tedros Adhanom Ghebreyesus, l’ultimo mese in Cina ha comunque mostrato come la pandemia sia ancora presente e abbia le potenzialità per interessare grandi porzioni del nostro pianeta.