Avremo dati migliori sulla violenza maschile contro le donne
Grazie a una legge approvata dal parlamento italiano lo scorso anno che ha cominciato ora ad essere applicata, almeno in parte
Istituzioni, gruppi e movimenti che si occupano di violenza maschile contro le donne ripetono da tempo che la raccolta di dati è fondamentale per comprendere e monitorare meglio il fenomeno. Ma i dati sono anche uno strumento importante per capire quali sono gli interventi politici più efficaci, per fare scelte consapevoli e informate su prevenzione e contrasto e per orientare con efficacia anche i fondi a disposizione (se la maggior parte delle violenze avviene in ambito domestico, ad esempio, gli interventi più efficaci non sono quelli in materia di sicurezza e ordine pubblico, ma per la creazione di case rifugio).
La necessità di avere informazioni statistiche ufficiali sulla violenza subita dalle donne con maggiore continuità, qualità e completezza è stata raccomandata più volte non solo dalla rete dei centri antiviolenza e dai movimenti femministi, ma anche dalle istituzioni europee. Lo scorso anno il parlamento aveva approvato una legge per colmare almeno in parte questa carenza. E dal primo gennaio di quest’anno parte di quella legge ha cominciato a essere applicata.
La legge numero 53 intitolata “Disposizioni in materia di statistiche in tema di violenza di genere” era stata approvata nel maggio del 2022. Era stata presentata da un gruppo di senatrici e senatori che facevano parte della Commissione parlamentare di inchiesta sul femminicidio.
La legge aveva imposto, entro sei mesi dalla sua entrata in vigore, alcuni obblighi generali di rilevazione dei dati sulla violenza di genere a uffici, enti, organismi e soggetti pubblici e privati che partecipano all’informazione statistica ufficiale, all’Istituto nazionale di statistica (ISTAT), ai ministeri dell’Interno, della Giustizia e della Sanità. Stabilisce innanzitutto che tutti i soggetti che partecipano all’informazione statistica ufficiale debbano, in generale, elaborare e diffondere i dati relativi alle persone disaggregati per uomini e donne.
Alcuni obblighi riguardano invece direttamente l’Istituto nazionale di statistica (ISTAT) a cui si chiede, tra le altre cose, di realizzare un’indagine campionaria interamente dedicata alla violenza contro le donne ogni tre anni: un’indagine che produca stime anche sulla parte sommersa dei diversi tipi di violenza, cioè violenza fisica, sessuale, psicologica, economica e stalking. Altri obblighi sulla raccolta e comunicazione dei dati riguardano il ministero della Sanità e, in particolare, tutte le unità operative di pronto soccorso. Altri obblighi sono stati infine imposti al ministero dell’Interno e a quello della Giustizia.
Dando seguito a parte di questa legge, agli obblighi previsti si è intanto adeguato il ministero della Giustizia. Dal primo gennaio di quest’anno è stata infatti modificata la rilevazione dei dati relativi ai procedimenti giudiziari in ambito penale attraverso l’introduzione, nei sistemi informativi, di nuove sezioni che serviranno a fornire dati fondamentali che prima non erano richiesti per monitorare il fenomeno della violenza di genere.
Le nuove informazioni dovranno essere fornite al momento della compilazione del PNdR (il Portale delle Notizie di Reato) e del PDP (il Portale del Deposito degli atti Penali).
Il Portale delle Notizie di Reato viene utilizzato dalla polizia giudiziaria quando deve trasmettere le notizie di reato agli uffici della procura di competenza, che poi provvederà ad aprire il fascicolo penale e a gestire le fasi procedurali che ne conseguiranno. Per comunicare in modo più specifico e preciso le informazioni sui fatti che rientrano nei casi di violenza di genere, nel PNdR sono state inserite alcune nuove sezioni: qual è la relazione tra vittima e autore del reato (coniuge/convivente, ex coniuge/ex convivente, altro parente, collega/datore di lavoro, e così via); qual è il luogo dove la violenza è avvenuta (in casa o al lavoro, ad esempio); se questo luogo è legato alla vittima o all’autore del reato, se alla violenza commessa erano presenti i figli e figli di chi, se per commettere tale violenza sono state usate armi e se sì di quale tipo.
Le stesse informazioni saranno d’ora in poi richieste anche agli avvocati e alle avvocate durante la compilazione e il deposito di una denuncia o di una querela da inviare alle cancellerie tramite il PDP (il Portale del Deposito degli atti Penali).
Queste nuove procedure permetteranno di rendere più veloce e efficiente il processo di acquisizione e di lavorazione delle informazioni presso le cancellerie delle procure, permettendo, in seguito, la trasmissione dei dati relativi alla violenza di genere all’ISTAT.
Negli ultimi anni, la necessità di avere dati e statistiche complete, regolari, pubbliche e di qualità sulla violenza di genere è stata raccomandata all’Italia dall’Istituto europeo per l’uguaglianza di genere (European Institute for Gender Equality, EIGE) a cui l’Italia riesce a fornire gli indicatori sulla Intimate Partner Violence, cioè sulla violenza commessa da un «partner intimo», solo per i femminicidi ma non per tutte le altre forme di violenza.
Ma la questione della raccolta dei dati è poi un criterio stabilito anche dall’articolo 11 della Convenzione di Istanbul, il testo più avanzato e il primo strumento internazionale giuridicamente vincolante per la prevenzione e il contrasto della violenza contro le donne. L’Italia l’ha ratificato nel 2013 e questo significa che è obbligata ad adeguare le proprie leggi interne alle regole previste dal testo dell’accordo.
Nell’ultimo rapporto del 2020 del Group of Experts on Action against Violence against Women and Domestic Violence (GREVIO) del Consiglio d’Europa, cioè il Gruppo di esperte sulla violenza contro le donne che si occupa di monitorare l’applicazione della Convenzione di Istanbul nei vari paesi, si esortavano «vivamente le autorità italiane» a migliorare la raccolta dei dati: si doveva garantire che i dati raccolti da tutti gli enti istituzionali (in particolare le forze dell’ordine, le autorità giudiziarie e i servizi sanitari e sociali) venissero disaggregati con riferimento al genere della vittima e dell’autore, alla relazione tra loro e che venissero specificate le informazioni relative alla presenza di bambini testimoni e vittime di tali episodi; si chiedeva poi di armonizzare la raccolta dei dati tra forze dell’ordine e autorità giudiziarie per consentire una valutazione dei tassi di condanna, di archiviazione e di recidività, e si chiedeva, tra le altre cose, di estendere la raccolta dei dati affinché includessero ad esempio le misure di protezione, come le ingiunzioni di allontanamento dalla casa familiare.
La legge approvata lo scorso anno va quindi in questa direzione e risponde direttamente ad alcune delle raccomandazioni del GREVIO.
Linda Laura Sabbadini, statistica e direttrice di un dipartimento dell’ISTAT, dice che la legge «è una grossa svolta perché ha dato pari dignità alle statistiche sulla violenza di genere rispetto a tutti gli altri tipi di statistiche, soprattutto economiche, che erano già regolamentate per legge, e in particolare da regolamenti europei». Il precedente parlamento aveva approvato questa legge all’unanimità, dando un segnale molto preciso: «Per poter monitorare adeguatamente il fenomeno abbiamo bisogno di una rilevazione sistematica dei dati, sia sommersi che non».
La legge, prosegue Sabbadini, «dà precisi compiti a ogni istituzione per aggiornare i propri sistemi informativi, soprattutto per rilevare una questione fondamentale che prima non esisteva e cioè la relazione tra autore e vittima. Prima non sapevamo se l’autore era il partner, l’ex o altro. Ma la legge ha stabilito anche che l’indagine dell’ISTAT sulla violenza di genere che misura il sommerso venga condotta ogni tre anni, quindi più frequentemente». Per ora, conclude Sabbadini, si è mosso il ministero della Giustizia che dal primo gennaio rileva ciò che è richiesto dalla legge: «Ora dovranno fare la loro parte anche il ministero della Salute che è a buon punto e soprattutto il ministero dell’Interno».
Elena Biaggioni, avvocata di D.i.Re – Donne in Rete contro la violenza, che riunisce più di cento centri antiviolenza indipendenti che soddisfano i requisiti richiesti dalla Convenzione di Istanbul, ha spiegato che le modifiche introdotte dalla legge sono molto positive. Ma ha anche aggiunto che resta un enorme problema che invece la legge non affronta: «Non è prevista la raccolta dati in ambito civile. D’ora in poi noi avremo moltissimi dati relativi ai procedimenti penali che hanno a che fare con la violenza maschile alle donne, sapremo in quanti casi tali reati sono commessi alla presenza di minori e da partner. Ma continueremo a non sapere nulla di quel che accade a queste stesse donne quando chiedono al Tribunale civile una separazione da un marito violento o la regolamentazione dei rapporti genitoriali. Non sapremo, in fin dei conti, se quell’uomo violento continuerà ad essere considerato un buon padre come troppo spesso accade oggi».
Biaggioni spiega che quando la Commissione parlamentare sul femminicidio aveva realizzato la propria indagine sulla risposta giudiziaria alla violenza contro le donne in Italia, l’aveva fatta in parte a campione consultando manualmente i fascicoli: «Non esiste un registro su quanti ordini di protezione sono stati emessi (pochi, questo lo sappiamo), non sappiamo quanti casi di separazione siano legati a motivi di violenza domestica. E soprattutto non abbiamo dati di come la violenza incida sulle decisioni giudiziarie in sede civile».
Maria Virgilio, avvocata penalista del foro di Bologna, ex consulente della Commissione parlamentare sul femminicidio e presidente dell’associazione nazionale “GIUdIT – Giuriste d’Italia”, spiega a sua volta che le modifiche introdotte dalla legge sono molto significative, ma che fanno riferimento solo a una prima fase, quella cioè delle denunce: «Sarebbe importantissimo cogliere il fenomeno nel suo insieme e seguire tutto l’iter del processo in modo sistematico: sapere ad esempio quante di queste denunce vengono archiviate, quante vanno a giudizio, quante arrivano all’appello o in Cassazione. Solo così, attraverso anche questo tipo di conoscenze, si potranno prendere, in futuro, delle decisioni efficaci».