È stato infine chiuso il numero 1500
Oltre 500 lavoratori che davano informazioni sulla pandemia sono rimasti senza lavoro: è una delle crisi occupazionali più significative in Italia
Il 31 dicembre è stato l’ultimo giorno del 1500, il numero di pubblica utilità attivato nel 2020 dal ministero della Salute per rispondere ai dubbi delle persone in merito all’emergenza coronavirus. Dall’1 gennaio i 523 operatori che ogni giorno rispondevano alle telefonate sono senza lavoro: nelle ultime settimane gli incontri organizzati tra il ministero e i sindacati non sono serviti a evitare una delle più grosse crisi occupazionali presenti al momento in Italia.
La maggior parte degli operatori lavorava in Sicilia, ed era stata assunta da Almaviva Contact, che per anni è stata la più grande azienda italiana di call center. Alla fine di gennaio del 2020, all’inizio dell’emergenza coronavirus, il ministero della Salute affidò ad Almaviva Contact il servizio 1500, un numero che chiunque poteva chiamare 24 ore al giorno, tutti i giorni. L’azienda spostò al nuovo servizio parte dei suoi dipendenti che fino ad allora lavoravano ad altre commesse, come l’assistenza clienti di Wind e Vodafone. Al numero 1500 iniziarono a lavorare 220 operatori nella sede di Palermo, 200 a Catania e altri tra Milano, Napoli e Rende, in provincia di Cosenza.
Fino alla fine del 2021 gli operatori rispondevano a migliaia di chiamate ogni giorno. Nel periodo delle restrizioni, hanno raccontato i lavoratori, le persone chiedevano soprattutto informazioni relative ai divieti di spostamenti: se si poteva andare a fare la spesa, incontrare parenti e amici, a che distanza da casa si poteva arrivare camminando, se si poteva andare all’estero o rientrare in Italia. Con l’allentamento graduale delle restrizioni, le persone chiamavano prevalentemente per avere informazioni in merito alla campagna vaccinale. Negli ultimi mesi le telefonate sono via via diminuite. Inizialmente la scadenza del contratto tra il ministero della Salute e Almaviva Contact era stata fissata al 31 ottobre, poi il ministero ha comunicato una proroga fino al 31 dicembre.
La scorsa settimana il ministero della Salute ha inviato una comunicazione per confermare la chiusura del servizio. In una lettera di tre righe, il ministero ha ringraziato lavoratrici e lavoratori per il «proficuo lavoro svolto» e ha augurato loro un sereno 2023. «Se non si trattasse di una mail ufficiale di un ministero e non fossimo davanti al dramma che vivranno 500 famiglie, verrebbe il dubbio di trovarsi su Scherzi a parte», hanno scritto i sindacati per criticare le espressioni infelici scelte dai funzionari del ministero.
Dal primo gennaio gli operatori sono in cassa integrazione a zero ore: significa che non lavorano più, ma continuano a ricevere l’80 per cento dello stipendio fino alla fine del periodo in cui Almaviva Contact può accedere ai cosiddetti ammortizzatori sociali, cioè le misure che hanno l’obiettivo di offrire sostegno economico ai lavoratori che hanno perso il posto di lavoro. Il grosso problema è che la scadenza degli ammortizzatori sociali è piuttosto ravvicinata: alla fine di febbraio, se non saranno trovate soluzioni, i 523 operatori saranno licenziati.
La chiusura del servizio da parte del ministero fa venir meno anche la clausola sociale, una delle tutele più importanti previste per chi lavora nei call center. La clausola sociale, introdotta nel 2016 anche per i privati, prevede che nel caso in cui il committente decida di cambiare gestore di call center, il nuovo gestore deve assumere gli operatori che lavoravano al precedente appalto e deve farlo nel territorio in cui già lavoravano. Questo obbligo garantì stabilità a quello che fino a pochi anni prima era considerato un “lavoretto”.
Nel caso del 1500 non si tratta di un cambio di gestione, ma di una chiusura di servizio. La clausola sociale, quindi, non può essere fatta valere. Per gli operatori si tratta di una beffa: nel 2020 Almaviva Contact, data l’importanza del servizio, spostò al numero 1500 molti dei lavoratori più esperti. Negli ultimi due anni molti dei loro colleghi, rimasti al lavoro su altre commesse, hanno usufruito della clausola sociale e sono riusciti a mantenere il posto di lavoro.
Nonostante la scadenza del contratto fosse nota, negli ultimi mesi non è stata trovata una soluzione alla crisi occupazionale. A giugno, quando era stata decisa la penultima proroga del servizio 1500, il ministero della Salute aveva chiesto ad Almaviva Contact l’elenco degli operatori assegnati alla commessa in vista di una nuova gara per un servizio definito di “post emergenza”, poi mai attivato.
All’inizio di dicembre, in seguito a un incontro tra il ministero e i sindacati, sembrava che ci fosse l’intenzione di mantenere almeno in parte il numero 1500 per un servizio dedicato alle campagne vaccinali. Alle rassicurazioni, tuttavia, non sono seguite decisioni concrete. «È inaccettabile che lavoratrici e lavoratori che nel pieno dell’emergenza sanitaria, con professionalità ed abnegazione, hanno rappresentato la “voce” dello Stato per i cittadini italiani vengano abbandonati dallo Stato stesso», hanno scritto i sindacati. «Non lasceremo intentata alcuna strada, a partire dal chiedere l’intervento dei massimi rappresentanti dello Stato». L’11 gennaio è stato convocato un nuovo incontro, stavolta non al ministero della Salute, ma al ministero delle Imprese e del Made in Italy. Secondo i sindacati, è difficile che venga trovata una soluzione in così poco tempo.
Negli ultimi mesi Almaviva Contact ha offerto agli operatori incentivi all’esodo da diecimila a venticinquemila euro a seconda della qualifica. Ad alcuni lavoratori è stato proposto lo spostamento ad altro servizio, altri 130 stanno seguendo corsi di formazione professionale per la gestione di reti cloud e sicurezza informatica.
L’obiettivo di questo corso, piuttosto avanzato, è dare agli operatori la possibilità di acquisire nuove capacità e in questo modo trovare un nuovo posto di lavoro anche all’interno del gruppo Almaviva, che da sempre si occupa anche di information technology, cioè lo sviluppo di servizi informatici per le aziende. Trovare una nuova occupazione nel mercato dei call center, infatti, è complicato per via dello sviluppo tecnologico che ha consentito alle aziende di sostituire buona parte degli operatori con servizi di assistenza via app e chatbot, ovvero software che simulano le conversazioni umane rispondendo alle richieste delle persone.
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