È morto Antonio Pallante, l’autore dell’attentato a Palmiro Togliatti del 1948

Antonio Pallante durante il processo, nel giugno del 1949
(ANSA/WIKIPEDIA)
Antonio Pallante durante il processo, nel giugno del 1949 (ANSA/WIKIPEDIA)

È morto a 98 anni Antonio Pallante, noto per essere stato l’autore dell’attentato contro Palmiro Togliatti, segretario del Partito Comunista Italiano, il 14 luglio del 1948. Pallante è morto il 6 luglio del 2022 a Catania, ma la notizia è stata comunicata solo oggi dai familiari alla stampa.

L’attentato a Togliatti fu uno dei momenti più critici dell’immediato Dopoguerra in Italia. Erano passati tre mesi dalle prime elezioni politiche della storia repubblicana, in cui la Democrazia Cristiana aveva sconfitto i comunisti e i socialisti, e il clima politico e sociale in Italia era molto teso. Alle 11:45 del 14 luglio 1948 Pallante sparò tre colpi di pistola a Togliatti fuori da Montecitorio, il palazzo di Roma dove ha sede la Camera dei deputati. Togliatti sopravvisse, ma l’attentato ebbe comunque grosse conseguenze: in tutta Italia furono organizzati scioperi e cortei di protesta e per qualche giorno sembrò che stesse per iniziare una guerra civile, o una rivoluzione comunista. Nei giorni successivi ci furono violenti scontri tra la polizia e i manifestanti: morirono in tutto 30 persone e altre 800 furono ferite.

All’epoca dell’attentato Pallante era uno studente di Giurisprudenza e viveva in Sicilia. Durante la campagna elettorale per le elezioni del 18 aprile 1948 aveva militato per il Blocco Democratico Liberal Qualunquista, un piccolo partito nato da una scissione del movimento antipolitico Fronte dell’Uomo Qualunque, quello da cui deriva il termine “qualunquismo”. Anni dopo, raccontando dell’attentato, Pallante disse che in quel periodo era animato da un «nazionalismo portato all’estremo».

Dopo l’attentato fu immediatamente arrestato e un anno dopo fu processato per tentato omicidio volontario: fu condannato e scontò cinque anni e tre mesi di carcere, grazie a riduzioni della pena e a un’amnistia nel 1953. Negli anni successivi non si pentì mai dell’attentato, e ribadì sempre di aver agito di sua iniziativa.

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