Si è insediato il governo più di destra della storia di Israele
È guidato da Benjamin Netanyahu, al suo sesto mandato da primo ministro, e preoccupa per le sue posizioni radicali su molte questioni
Giovedì il governo di Benyamin Netanyahu ha ottenuto la fiducia dal parlamento israeliano e si è quindi insediato ufficialmente. Per Netanyahu è il sesto mandato da primo ministro, seppur non consecutivo: lo ha ottenuto dopo aver vinto le elezioni parlamentari dello scorso novembre con la coalizione di destra guidata dal suo partito, il Likud. Il nuovo governo di Netanyahu sarà il più di destra nella storia di Israele: nella coalizione che ha vinto le elezioni ci sono infatti anche partiti di estrema destra e ultra-ortodossi, a cui sono stati affidati ministeri molto importanti.
La maggioranza è composta da Likud, Shas (conservatore, che rappresenta gli ebrei ortodossi di origine nordafricana e mediorientale), Ebraismo della Torah unito (conservatore e ultra-ortodosso), Potere ebraico, Sionismo religioso e Noam (tre partiti di estrema destra). In tutto avrà 64 seggi su 120 nella Knesset, il parlamento israeliano. Tra i partiti di opposizione quello che avrà più seggi è Yesh Atid, il partito del primo ministro uscente Yair Lapid, che conterà su 24 parlamentari. Yesh Atid è stato anche il secondo partito più votato in assoluto alle elezioni di novembre, dopo il Likud, ma nel complesso la coalizione di partiti progressisti ha preso meno voti di quella di destra.
Nel nuovo governo i nomi più controversi e su cui ci sono state più discussioni nelle ultime settimane sono quelli di Itamar Ben-Gvir, Bezalel Smotrich e Avi Maoz, rispettivamente leader di Potere ebraico, Sionismo religioso e Noam.
Ben-Gvir, che è uno strenuo sostenitore dell’occupazione illegale di Israele della Cisgiordania ed è noto per le sue posizioni razziste nei confronti dei palestinesi e dei cittadini arabi-israeliani, è stato nominato ministro della Pubblica sicurezza. Avrà il controllo della polizia nazionale, ma anche quello della polizia di frontiera tra Israele e Cisgiordania (territorio che è in parte sotto il controllo dell’Autorità palestinese e in parte sotto quello di Israele) che finora era dato in delega al ministero della Difesa.
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Smotrich, noto per il suo sostegno all’espansione degli insediamenti israeliani in Cisgiordania e alla sua annessione a Israele, sarà ministro delle Finanze, ma gli è stata assegnata anche l’agenzia del ministero della Difesa che si occupa della gestione degli affari civili in Cisgiordania. Tra le altre cose, quindi, Smotrich si occuperà della costruzione di nuovi insediamenti israeliani nei territori occupati, un tema sempre molto centrale nel dibattito politico nazionale e internazionale (gli insediamenti sono considerati illegali dall’ONU, tra gli altri).
A Maoz, che invece è noto per le sue posizioni omofobe e sessiste, ha proposto di vietare il Gay Pride a Gerusalemme ed è contrario all’integrazione delle donne nell’esercito, non è stato affidato un ministero ma il ruolo di viceministro nell’ufficio del primo ministro. Sarà responsabile dell’“identità nazionale ebraica” di Israele e avrà il compito di supervisionare i programmi extracurricolari nel sistema educativo, una funzione che in precedenza spettava al ministero dell’Istruzione: questo gli darà la possibilità, per esempio, di vietare che organizzazioni che si occupano di diritti LGBT+ svolgano incontri formativi di educazione sessuale nelle scuole.
La svolta ultraconservatrice di Israele preoccupa molto per le possibili conseguenze sui rapporti con i palestinesi: i partiti della coalizione rifiutano infatti nettamente l’idea della soluzione a “due stati” per il conflitto israelo-palestinese, una formula sostenuta a livello internazionale che prevede uno stato palestinese indipendente in Cisgiordania, accanto a Israele, con Gerusalemme come capitale condivisa.
Questa soluzione è stata ribadita anche dagli Stati Uniti, il principale alleato occidentale di Israele. Giovedì il presidente americano Joe Biden, congratulandosi con Netanyahu per la formazione del nuovo governo, ha detto che «gli Stati Uniti continueranno a sostenere la soluzione dei due stati e ad opporsi alle politiche che ne mettono in pericolo la realizzazione».
Oltre che per la questione palestinese, ci sono preoccupazioni per una proposta di riforma dei partiti della coalizione di governo che hanno detto di voler dare ai parlamentari il potere di annullare le decisioni della Corte suprema, il più importante tribunale israeliano. Secondo i partiti di opposizione, una riforma del genere minerebbe le basi democratiche dello stato d’Israele. La coalizione di governo ha anche fatto capire di voler approvare alcune riforme per mettere fine ai processi in cui è imputato Netanyahu: il primo ministro israeliano è infatti sotto processo per tre intricatissimi casi di corruzione e frode che dovrebbero concludersi in via definitiva tra almeno tre anni.