I dubbi sulle nuove regole per l’accesso all’eutanasia e al suicidio assistito in Canada
Potranno accedervi anche le persone con problemi di salute mentale, e secondo alcuni sono in generale troppo permissive
Nel marzo del 2023 in Canada entrerà in vigore una modifica riguardo alla legge che consente l’accesso all’eutanasia e al suicidio assistito nel paese: di fatto sarà un allargamento della norma già esistente, che consentirà di ricorrere a queste pratiche anche alle persone che hanno problemi di salute mentale. Ci sono molte preoccupazioni per questa modifica e per il rischio che possa essere applicata in modo improprio, anche perché non è la prima volta che l’accesso a eutanasia e suicidio assistito viene esteso in Canada: era già successo nel 2021, quando una modifica alla legge esistente aveva incluso gli adulti con sofferenze, indipendentemente dal fatto che fossero terminali.
Secondo alcuni, il rischio è che la nuova modifica aiuti a morire chi, pur in assenza di determinate condizioni mediche o di una malattia terminale, si trovi in una situazione di particolare vulnerabilità che adeguate politiche sociali potrebbero risolvere: per esempio le persone indigenti.
Nella legislazione del Canada si parla di “assistenza medica alla morte” (MAiD). È un’espressione che comprende sia l’eutanasia attiva, che avviene quando il medico interviene direttamente somministrando il farmaco necessario a morire, sia il suicidio assistito, cioè la procedura con la quale la persona malata assume autonomamente il farmaco per morire.
In Canada l’assistenza medica alla morte fu depenalizzata nel 2016 dopo una sentenza della Corte Suprema che ne aveva dichiarato incostituzionale il divieto.
A seguito della sentenza, fu istituita una commissione parlamentare speciale per studiare la questione, che presentò delle linee guida piuttosto ampie. Ma la legge che alla fine fu approvata era più restrittiva. I criteri per l’accesso alla pratica, che doveva essere approvata da almeno due medici, prevedevano: la maggiore età, una grave condizione dovuta a malattia o a disabilità che fosse a uno stadio di declino avanzato e irreversibile delle proprie facoltà, una sofferenza duratura e insostenibile che non potesse essere alleviata in un modo accettabile per le persone coinvolte e che queste ultime fossero consapevoli e consenzienti. La loro morte doveva essere infine «ragionevolmente prevedibile».
Nel 2021, una nuova legge abrogò il requisito del «ragionevolmente prevedibile» e quello dell’applicabilità a condizioni terminali, ampliando notevolmente il numero di persone ammissibili alla pratica.
I dati dicono che dal 2016 ad oggi più di 30mila canadesi sono morti facendo ricorso a eutanasia o suicidio assistito, più di 10mila nel 2021, pari al 3,3 per cento dei decessi totali nel paese di quell’anno. La stragrande maggioranza di loro era stata giudicata comunque vicina alla morte “naturale”.
A partire da marzo dell’anno prossimo entrerà in vigore un ulteriore allargamento dei casi consentiti: potranno accedere all’assistenza medica alla morte anche le persone la cui unica condizione di sofferenza è la malattia mentale. Dovranno comunque essere ritenute idonee da due medici che dovranno determinare se la condizione sia irrimediabile, se causi una sofferenza intollerabile e se sia presente la capacità di intendere e di volere.
Questo nuovo ampliamento renderà il Canada non solo uno dei sei paesi al mondo in cui una persona che soffre di una malattia mentale e che non è vicina alla morte naturale può ottenere un medico che la aiuti a morire, ma anche il paese con la legislazione in materia forse più permissiva.
I critici però sono parecchi. Alcuni psichiatri hanno sostenuto come sia impossibile stabilire se una malattia mentale sia “incurabile”. Altri dicono più in generale che il sistema in vigore dal 2021 già oggi non funzioni in modo accettabile. In altre parole, le questioni che pone la legislazione canadese non avrebbero tanto a che fare con quelle etiche più classiche, ma andrebbero oltre: sarebbero soprattutto di carattere sociale, economico e politico.
Nell’aprile del 2022 il settimanale inglese Spectator aveva pubblicato un articolo intitolato «Perché il Canada sta sopprimendo i poveri?». Dal 2021, diceva l’articolo, «la legge canadese ha permesso sia ai ricchi che ai poveri di uccidersi se sono troppo poveri per continuare a vivere dignitosamente. In effetti, il sempre generoso stato canadese pagherà anche per la loro morte. Quello che non farà è spendere soldi per permettere loro di vivere invece di uccidersi».
Secondo lo Spectator, la modifica della legislazione del 2021 aveva portato ad ammettere all’eutanasia o al suicidio assistito anche persone in condizione di estrema sofferenza ma dovuta alla povertà, una condizione che potrebbe essere alleviata con adeguate politiche sociali. Ma, scriveva lo Spectator, «il Canada ha una delle spese sociali più basse tra i paesi industrializzati, le cure palliative sono accessibili solo a una minoranza e i tempi di attesa nel settore sanitario pubblico possono essere insopportabili, al punto che nel 2005 la stessa Corte Suprema che ha legalizzato l’eutanasia dichiarò quei tempi di attesa una violazione del diritto alla vita».
In questi ultimi mesi i giornali, e non solo quelli canadesi, hanno presentato diversi casi piuttosto controversi di accesso alla morte assistita. Le storie più raccontate riguardano alcune persone con disabilità che non avevano ottenuto un sufficiente sostegno governativo e vivevano in condizioni di indigenza e la storia di due donne, entrambe con una diagnosi di sensibilità chimica multipla (Mcr).
L’Mcr è un disturbo cronico reattivo all’esposizione a sostanze chimiche comuni, come quelle presenti nel fumo o nei detersivi per bucato: può causare nausea, vertigini, depressione e, in casi estremi, shock anafilattico. Una di queste donne aveva ottenuto l’accesso al suicidio assistito lo scorso febbraio. L’altra è vicina all’approvazione definitiva. Entrambe ricevevano un sussidio di 1.169 dollari canadesi al mese, cifra che le inquadrava al di sotto della soglia di povertà ma che non era sufficiente per la loro condizione. Entrambe avevano fatto richiesta di un alloggio più adeguato (con un flusso d’aria controllato) a un prezzo accessibile, senza però riuscire ad ottenerlo.
Questi e diversi altri casi (molti dei quali sono stati riportati in lunga inchiesta di Associated Press dello scorso agosto) sono stati raccontati con molta enfasi, ma diversi esperti canadesi ne hanno denunciato una copertura mediatica semplificata, avvertendo che il sensazionalismo intorno a qualche caso estremo non descriveva la realtà delle cose e veniva anzi sfruttato dai gruppi contrari a prescindere all’assistenza medica alla morte, che hanno come unico obiettivo quello di ridimensionare la legislazione esistente.
Chantal Perrot, medica che fornisce l’assistenza alla morte, ha spiegato al Guardian che in Canada non è così semplice accedere alla pratica come alcune persone o alcuni casi singoli sembrerebbero dimostrare. L’alloggio inadeguato, ad esempio, «non è uno dei criteri di ammissibilità per l’assistenza medica alla morte»; concedere un alloggio adeguato avrebbe potuto fornire alle due donne un sostegno, ma non avrebbe comunque potuto essere una soluzione per la loro condizione cronica, che rende «praticamente impossibile vivere una vita ordinaria».
Jocelyn Downie, docente di diritto alla Dalhousie University e esperta in politiche di fine vita, ha detto che nel sistema attualmente in vigore nel paese sono presenti ampi meccanismi di protezione dalle possibili storture: «Devono essere soddisfatti rigorosi criteri di ammissibilità. E essere poveri e non avere una casa, o una casa adatta, non rende idonei». Per Downie i casi maggiormente raccontati dai giornali negli ultimi mesi evidenziano i fallimenti della società, ma non quelli della legge sulla morte assistita.
Da uno studio del 2020 condotto da alcuni ricercatori di Ottawa su più di 2mila persone residenti nell’Ontario che avevano avuto accesso alla pratica tra il 2016 e il 2018, risultava che il ricorso all’eutanasia e al suicidio assistito non dipendesse da fattori come la povertà, l’isolamento o la mancanza di accesso a cure palliative adeguate. Uno degli autori, James Downar, aveva concluso che i dati mostravano come la scelta dell’assistenza medica alla morte non fosse insomma determinata dalla «vulnerabilità socioeconomica».
Nel 2021, tre esperti di diritti umani delle Nazioni Unite avevano comunque espresso una «grave preoccupazione» sulla legislazione canadese: pensavano che non offrisse le tutele necessarie e che spingesse anzi medici e operatori sanitari a suggerire la procedura a coloro che altrimenti non avrebbero nemmeno potuto o dovuto prenderla in considerazione.
I paesi che nel mondo consentono l’eutanasia e il suicidio assistito hanno stabilito diverse regolamentazioni intorno alle pratiche, ma il Canada è tra loro un’eccezione.
A differenza di Belgio e Paesi Bassi, per esempio, il Canada non ha delle commissioni che si riuniscono mensilmente per esaminare i casi potenzialmente preoccupanti o controversi; ai medici belgi viene poi suggerito di evitare di menzionare l’eutanasia ai propri pazienti poiché potrebbe essere interpretata erroneamente come un consiglio medico. Lo stato australiano di Victoria vieta queste comunicazioni tra medico e paziente, mentre in Canada non ci sono tali restrizioni; anzi, l’associazione degli operatori sanitari canadesi che forniscono l’assistenza medica alla morte ha stabilito di presentarla ai pazienti come una delle possibili «opzioni di assistenza». Infine, i pazienti canadesi non sono tenuti ad aver esaurito tutte le alternative terapeutiche prima di richiedere l’assistenza medica alla morte, come invece avviene in Belgio e nei Paesi Bassi.