La Camera ha usato la “ghigliottina” per approvare il decreto sui “raduni pericolosi”
La discussione è stata interrotta per procedere al voto ed evitare l'ostruzionismo: era successo solo un'altra volta, nel 2014
Venerdì pomeriggio la Camera ha approvato in via definitiva la conversione in legge del decreto-legge sui cosiddetti “raduni pericolosi”, l’espressione usata dal governo di Giorgia Meloni per riferirsi ai “rave party”, cioè le feste di musica techno organizzate senza permessi. Oltre che dei “raduni pericolosi” si occupa anche di molte altre cose, dalla riforma dell’ergastolo ostativo alla sospensione delle sanzioni per chi non si è vaccinato. Il decreto era stato molto criticato per la sua formulazione originaria, e successivamente modificato dal governo in diversi punti. Per approvarlo il presidente della Camera Lorenzo Fontana, della Lega, ha fatto ricorso alla cosiddetta “ghigliottina”, uno strumento eccezionale che permette di interrompere l’esame di un testo e di approvarlo così com’è, senza che possano essere discussi e approvati altri ordini del giorno.
È uno strumento che serve principalmente a evitare l’ostruzionismo dei partiti, e che nella storia della Repubblica italiana era stato usato solo in un’altra occasione: nel gennaio 2014, per decisione della presidente della Camera Laura Boldrini (di Sinistra Ecologia Libertà), nel corso della conversione in legge di un decreto sull’abolizione della seconda rata dell’IMU sulla prima casa e sulla rivalutazione delle quote della Banca d’Italia. In quel momento al governo c’era Enrico Letta (PD), mentre la destra e il M5S erano all’opposizione.
La “ghigliottina” non è presente nei regolamenti della Camera, e la sua adozione è affidata al presidente di turno. Per questo motivo nel 2014 Boldrini fu molto criticata dalle opposizioni, e altrettante critiche sono state mosse adesso a Fontana.
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In quest’ultimo caso il ricorso alla “ghigliottina” si è reso necessario perché il decreto sui “raduni pericolosi” era stato approvato dal Consiglio dei ministri il 31 ottobre, e come tutti i decreti-legge doveva essere convertito in legge entro 60 giorni: c’era tempo quindi fino alla fine della giornata di oggi, venerdì 30 dicembre, per non farlo decadere.
I partiti di opposizione avevano annunciato che avrebbero fatto ostruzionismo, proponendo centinaia di ordini del giorno per allungare i tempi e andare oltre la scadenza. Per evitarlo, era stata inizialmente convocata la cosiddetta “seduta fiume”, ovvero la prosecuzione ininterrotta dell’esame del testo fino ad approvazione (che però alla fine sarebbe risultato approvato nel giorno di inizio della seduta). La seduta era cominciata alle 19 di giovedì ma venerdì mattina la maggioranza che sostiene il governo si è resa conto che i tempi erano comunque troppo limitati e c’era il rischio di andare oltre la scadenza.
Alle 8 di mattina c’erano infatti ancora 81 iscritti a intervenire, con il diritto di parlare per 10 minuti ciascuno. Mettendo in conto ritardi, pause, tempi morti e altri possibili rallentamenti, nella maggioranza c’era quindi il fondato timore di non riuscire ad approvare la legge in tempo. In mattina a quegli 81 la maggioranza ha quindi deciso di aggiungere gli interventi di altri suoi 38 deputati: in questo modo c’era la certezza matematica che non ci sarebbe stato il tempo per far parlare tutti e approvare la legge.
È sulla base di questo presupposto che il presidente della Camera Lorenzo Fontana ha annunciato il ricorso alla “ghigliottina”: gli interventi in programma sono stati tagliati e nel primo pomeriggio c’è stata la votazione, che si è conclusa con 183 voti favorevoli, 116 contrari e 1 astenuto.