Il primo incontro ufficiale tra Siria e Turchia in oltre 10 anni
I due ministri della Difesa si sono incontrati a Mosca: potrebbero esserci conseguenze per i curdi e per i profughi siriani in Turchia
Mercoledì a Mosca, in Russia, c’è stato un incontro molto importante tra ministri e funzionari dell’intelligence di Turchia e Siria: è stato il primo ufficiale di alto livello in oltre dieci anni, cioè dall’inizio della guerra in Siria, durante la quale i due paesi, che condividono un lungo confine, facevano parte di due schieramenti diversi. L’incontro è stato il risultato di colloqui informali durati mesi, molto probabilmente accelerati dal governo turco desideroso di trovare una soluzione al problema dei curdi, che abitano sia il sud della Turchia sia il nord della Siria e che il governo turco considera una minaccia terroristica. La normalizzazione dei rapporti potrebbe però andare molto al di là della questione curda, e riguardare anche i quattro milioni di profughi siriani presenti in Turchia.
All’incontro hanno partecipato i ministri della Difesa dei due paesi, il turco Hulusi Akar e il siriano Ali Mahmoud Abbas, e i capi delle due rispettive intelligence, alla presenza del ministro della Difesa russo Sergei Shoigu. È stato organizzato a Mosca molto probabilmente per i rapporti assai stretti tra Siria e Russia: i due paesi diventarono effettivamente alleati nel 2015, quando l’esercito russo intervenne nella guerra siriana a fianco del presidente siriano Bashar al Assad, garantendo la sopravvivenza del suo regime in un momento di grande difficoltà.
Nella stessa guerra, la Turchia appoggiò invece alcuni gruppi ribelli siriani che volevano rovesciare Assad. La priorità turca però era un’altra, ed è rimasta la stessa fino ad oggi: la Turchia era preoccupata della presenza dei curdi siriani nel nord della Siria, soprattutto dopo l’appoggio che i curdi siriani avevano ottenuto dagli Stati Uniti per formare una coalizione e combattere contro l’ISIS (a quel tempo l’ISIS controllava buona parte della Siria e dell’Iraq). Per la Turchia era un problema perché i curdi siriani avevano legami strettissimi con i curdi turchi del PKK, organizzazione che il governo turco considera terroristica e che tra le altre cose ha accusato di essere dietro l’attentato compiuto il 14 novembre a Istanbul, in Turchia, in cui sono state uccise sei persone. Il timore turco era quindi che i curdi siriani, con l’appoggio dei curdi turchi, creassero uno stato indipendente curdo ai confini con la Turchia.
Per questa ragione, durante la guerra in Siria, la Turchia fece diverse incursioni militari nel nord della Siria ufficialmente per combattere l’ISIS, in realtà per rosicchiare pezzi di territorio che erano finiti sotto il controllo curdo. L’idea era quella di creare una specie di “zona cuscinetto” al confine settentrionale della Siria controllata dai turchi e dai loro alleati, tenendo lontani i curdi.
Di gruppi terroristici si è parlato anche durante l’incontro di mercoledì a Mosca. A riunione conclusa, il ministero della Difesa russo ha detto infatti che un punto di discussione era stato il contrasto ai «gruppi estremisti presenti in territorio siriano», senza però dare altri dettagli. Esperti e analisti che seguono le vicende curde da anni non hanno avuto troppi dubbi, individuando nella categoria citata i curdi siriani.
Secondo il giornalista di Bloomberg Onur Ant, esperto di Turchia, il governo turco si sarebbe rivolto alla Siria perché frustrato dal rifiuto del governo americano di interrompere il proprio sostegno ai curdi siriani (sostegno che come detto era iniziato durante la guerra contro l’ISIS). Avrebbe quindi tentato di affrontare la “questione curda” in altro modo, cioè rivolgendosi allo stato più coinvolto, la Siria, nonostante l’intensa inimicizia sviluppata dalle due parti negli anni della guerra siriana.
L’incontro è stato importante non solo perché ha cambiato “ufficialmente” i rapporti tra i due paesi, con conseguenze politiche che si vedranno probabilmente già nelle prossime settimane, e perché potrebbe influenzare le politiche turche nei confronti dei curdi. Gli effetti potrebbero farsi sentire anche sui quattro milioni di profughi siriani che durante la guerra furono costretti a lasciare le proprie case e scappare in Turchia. Alcuni di loro sono rimasti bloccati in territorio turco dopo la chiusura di fatto dei confini esterni dell’Unione Europea, in particolare dopo il blocco della cosiddetta “rotta balcanica”, quella che dalla Turchia risaliva i Balcani fino ad arrivare in Europa occidentale.
Le preoccupazioni per i profughi siriani riguardano il fatto che di recente la Turchia ha accelerato gli sforzi per favorire i cosiddetti “ritorni volontari”, cioè il ritorno dei profughi nei loro paesi di partenza. La decisione è stata presa per ragioni di opportunità politica e in vista delle elezioni presidenziali previste per giugno del 2023: il governo turco vorrebbe infatti poter rivendicare un successo nella gestione dei profughi, rimpatriandone il più possibile, in un momento in cui l’economia turca se la passa molto male anche a causa di decisioni sui tassi d’interesse considerate scellerate e prese del presidente turco Recep Tayyip Erdogan.
Un accordo con il governo siriano renderebbe più facile per la Turchia perseguire la sua politica, che a differenza di quanto sostiene il governo non sembra per nulla basata sul principio di volontarietà. L’organizzazione Human Rights Watch ha infatti raccolto dati e testimonianze per mostrare come centinaia di profughi siano stati arrestati nelle loro case, nei loro posti di lavoro, per strada, e siano stati costretti a firmare dei documenti che attestavano la loro volontà di farsi rimpatriare. Per molti di loro tornare in Siria potrebbe essere molto pericoloso, perché potrebbero essere oggetto di ritorsioni da parte del regime di Assad.