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  • Giovedì 29 dicembre 2022

La Xylella continua a fare danni

L'epidemia che da anni colpisce gli olivi pugliesi non si è fermata: nel 2022 sono stati abbattuti oltre 1.400 ulivi e la produzione di olio si è dimezzata

ulivi distrutti dalla xylella
Ulivi distrutti dalla Xylella (Janos Chiala/Getty Images)
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Il 24 dicembre l’osservatorio fito-sanitario della Puglia ha confermato di aver individuato due nuovi ulivi infettati dalla Xylella fastidiosa, un batterio che negli ultimi anni ha causato la morte e l’abbattimento di milioni di esemplari, soprattutto in Salento. Gli ulivi infetti sono stati scoperti in un campo coltivato a Castellana Grotte, in provincia di Bari, e la notizia ha causato una certa preoccupazione tra gli agricoltori della zona perché nei due mesi precedenti non c’erano state segnalazioni di nuove infezioni. La calma apparente, in realtà, era dovuta all’interruzione della campagna di osservazione a causa di problemi amministrativi. Gli ultimi ritrovamenti hanno riportato produttori e amministratori alla realtà: la Xylella non è stata debellata, anzi continua a fare molti danni.

Dall’inizio dell’anno sono stati individuati 242 ulivi infetti, di cui alcuni in aree precedentemente indenni dal batterio. In totale sono state esaminate 170mila piante, il 60 per cento di quelle previste dal piano di contenimento. Le misure di contrasto all’infezione, che impongono la rimozione di tutti gli ulivi a meno di 50 metri da quello infettato, hanno portato all’abbattimento di 1.454 piante. Negli ultimi anni il piano ha contribuito a rallentare l’avanzata del batterio, ma non a fermarla. Le ultime stime sull’impatto complessivo dell’epidemia sono state diffuse nel 2019 dalla Coldiretti, e dicono che sono morti in totale 21 milioni di ulivi in un’area di 7.500 chilometri quadrati, con danni per 1,2 miliardi di euro.

Secondo uno studio realizzato da scienziati italiani, francesi e americani, diffuso dalla rivista scientifica Microbial Genomics, il batterio Xylella fastidiosa arrivò in Italia per la prima volta nel 2008, trasportato da una piantina di caffè proveniente dal Costa Rica. Riuscì ad adattarsi agli ulivi del Salento, ma la sua presenza in Puglia, e quindi in Europa, venne riscontrata soltanto nel 2013. I ricercatori italiani se ne accorsero notando un’incidenza più alta del “disseccamento rapido dell’ulivo”, una malattia che porta gli alberi a non produrre più olive e a morire in poco tempo. La causa fu identificata nella presenza della Xylella.

Il batterio si diffonde quando vengono trasportate piante infette o, più velocemente, tramite gli insetti che si nutrono della loro linfa. Non esiste una cura: una volta che una pianta viene infettata non può essere recuperata. Non tutti gli ulivi che ospitano il parassita però presentano i sintomi di disseccamento, motivo per cui non basta sradicare o bruciare solo questi per arrestare la diffusione del batterio.

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All’epoca fu quindi consigliata la distruzione di tutti gli ulivi malati per evitare pericolose contaminazioni, un intervento radicale e particolarmente sofferto nella regione che da sola ospita quasi il 32% di tutta la superficie nazionale coltivata a ulivi e l’8% di tutta quella dell’Unione Europea.

Nel 2015 furono organizzate grandi proteste, da parte di coltivatori e associazioni, contrari alla distruzione di piante in alcuni casi secolari (seppure oggettivamente malate). Vennero anche diffuse online alcune tesi complottiste che coinvolgevano la Monsanto, un’azienda multinazionale che si occupa di biotecnologie agrarie e ogm (organismi geneticamente modificati).

Secondo queste teorie, Monsanto avrebbe diffuso volontariamente il batterio in Puglia: una volta che gli ulivi fossero stati infettati, Monsanto avrebbe promosso la loro sostituzione con degli ulivi ogm immuni dal batterio. I sostenitori di questa teoria facevano notare come nel 2008 la Monsanto avesse acquisito una società, l’Allelyx, il cui nome è Xylella letto al contrario. Gli ulivi ogm però non esistono, la Monsanto non stava cercando di crearli e la coltivazione di ogm non è comunque permessa dalla legge italiana. Anche nel nome Allelyx non c’è nulla di oscuro: l’Allelyx fu fondata nel 2002 da un gruppo di ricercatori brasiliani che avevano studiato insieme il genoma del batterio Xylella.

ulivi abbattuti in provincia di Lecce

Ulivi abbattuti in provincia di Lecce (Janos Chiala/Getty Images)

Della Xylella si occupò anche l’autorità giudiziaria, prima quella amministrativa poi quella ordinaria. In seguito ai ricorsi presentati da alcuni agricoltori, il tribunale amministrativo regionale (TAR) del Lazio bloccò l’abbattimento degli alberi. Il caso passò poi alla Corte di Giustizia europea perché il piano di contenimento applicava protocolli europei: una sentenza della Corte confermò gli abbattimenti. Ma alla fine del 2015 la procura di Lecce aprì un’inchiesta per indagare sui ricercatori che avevano scoperto il batterio in Puglia, alcuni funzionari statali e regionali e il commissario straordinario per la Xylella Giuseppe Silletti. I magistrati ipotizzarono una serie di reati, dalla diffusione colposa di malattie all’inquinamento ambientale, fino a reati meno gravi come il getto pericoloso di cose. L’inchiesta fu archiviata nel 2019.

Nel frattempo, nel 2017, la Commissione Europea pubblicò un rapporto piuttosto severo nei confronti dell’Italia, accusata di non avere fatto abbastanza per contenere la diffusione della Xylella fastidiosa. Il rapporto confermò le critiche mosse da esperti, divulgatori e osservatori: la scarsa efficacia degli interventi rischia di far diffondere la Xylella oltre le coltivazioni in Puglia, raggiungendo altre aree del sud Italia e con il rischio che si possa diffondere anche a nord.

Nel settembre del 2019, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea condannò l’Italia per non aver rispettato le direttive della Commissione Europea sulla gestione della Xylella, che prevedevano la rimozione di tutte le piante infette e di tutte le piante in un raggio di 100 metri da quelle infette, per evitare la diffusione del batterio.

Negli ultimi anni la Regione Puglia, grazie agli studi dell’osservatorio fito-sanitario, ha portato avanti un complesso lavoro di osservazione e contenimento dell’epidemia. L’ultimo piano di azione è stato approvato lo scorso marzo ed è stato aggiornato il 27 dicembre: l’obiettivo generale è di anticipare l’evoluzione della malattia evitando tentativi inutili di salvare aree dove ormai non è più possibile eliminare il batterio.

Per bloccare l’avanzata della Xylella sono state individuate zone ormai infette e zone chiamate “cuscinetto”. A seconda della gravità dell’infezione, tenuta d’occhio grazie all’esame di quasi 300mila piante in un anno, vengono disposte misure di eradicazione o di contenimento: nel primo caso viene abbattuto l’ulivo infetto e quelli a meno di 50 metri di distanza, nel secondo caso invece viene abbattuta soltanto la pianta infetta e attivata una sorveglianza di quelle vicine. «Più cerchi la Xylella e più la trovi», ha detto Salvatore Infantino, il direttore dell’osservatorio fito-sanitario a Repubblica Bari. «Sicuramente non corre come quando era in Salento».

Infantino ha detto che per fermare l’avanzamento è importante che gli agricoltori rispettino le misure di prevenzione come la lavorazione del terreno: «In questo modo si abbatte significativamente il rischio che la malattia si diffonda, dato che distruggi il vettore (l’insetto, ndr): questo si posa sulle piante erbacee, come quelle incolte, e poi volando va sugli ulivi, trasmettendo la malattia». Per avere un’informazione aggiornata e condivisa sulla situazione dell’infezione, la Regione Puglia ha pubblicato una sorta di catasto delle aree sottoposte a sorveglianza. Grazie a questo strumento chiunque può controllare lo stato di salute di ogni pianta sorvegliata.

Uno dei problemi delle indagini è la lentezza degli esami indispensabili per individuare l’infezione. Recentemente il ministero delle Politiche agricole ha finanziato un progetto proposto dall’università di Bari in collaborazione con l’università di Brescia, dal Consiglio nazionale delle ricerche (CNR) e dall’istituto agronomico mediterraneo. Attraverso l’installazione di alcuni sensori elettronici, è possibile trovare il batterio prima che ne siano visibili gli effetti sulla pianta. Finora le analisi sono state fatte attraverso test da eseguire in laboratorio: la soluzione trovata dai ricercatori consentirebbe di rilevare il batterio in circa 30 minuti e direttamente sul campo.

Fermare l’epidemia è l’unico modo per salvare la produzione di olio extravergine di oliva, che finora è riuscita a sopravvivere al batterio. Nell’ultimo anno alle conseguenze della Xylella si sono aggiunte quelle della grave siccità e la crescita dei costi dell’energia che hanno ulteriormente danneggiato il settore. Secondo le ultime stime dell’Ismea, l’Istituto di Servizi per il Mercato Agricolo Alimentare, nel 2022 la produzione di olio extravergine d’oliva pugliese si è dimezzata. I costi delle aziende olivicole sono aumentati in media del 50 per cento: quasi un’azienda su 10 lavora in perdita e rischia di chiudere.

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