Ci sono brodi che non finiscono mai e vengono cotti per anni
Gli stufati perpetui sono una tradizione cinese e francese e possono essere tramandati anche per secoli, con alcune accortezze
Nelle tradizioni culinarie di alcuni paesi esiste la pratica di conservare brodi per anni, decenni e in alcuni casi secoli. Questi “brodi perpetui” sono cotti ripetutamente aggiungendo ogni volta acqua e nuovi ingredienti, mantenendo così sapori per generazioni.
Le radici di questa tecnica, conosciuta anche come pot-au-feu, oppure stufato perpetuo, brodo senza fine, zuppa “per sempre”, stufato del cacciatore e brodo madre, si ritrovano in Francia e in Cina. Oggi la tecnica è usata da cuochi in diversi continenti e i ristoranti che la propongono sono ricercati da clienti appassionati ed esperti, ma devono talvolta affrontare le resistenze di un pubblico più ampio, spaventato da una conservazione così prolungata.
Lo stufato perpetuo era piuttosto comune nelle locande medioevali, ma le prime testimonianze della pratica si trovano nella cucina cinese delle regioni Canton e Fujian, dove veniva preparato un “brodo madre”, utilizzato per brasare o bollire le carni: la pentola in cui era cotto non veniva mai svuotata o il brodo gettato, ma alimentato, conservato e tramandato di generazione in generazione, anche per alcuni secoli.
Una pratica simile era comune in Francia nella cucina popolare: un grosso calderone veniva utilizzato per cuocere carni di vario genere, condito con ingredienti di stagione e raramente o mai svuotato. Era una soluzione dettata dalla praticità, ma contribuiva a sommare e miscelare i sapori. Ci sono racconti di brodi durati tre secoli, mentre un pentolone a Perpignan è stato alimentato dal 1400 fino alla Seconda Guerra mondiale, quando la tradizione fu interrotta dai bombardamenti.
La guerra bloccò anche la cottura dell’oden, un brodo tradizionale giapponese che può contenere gli ingredienti più vari, da uova e tofu fino a ogni genere di carne, ma anche polpette di pesce e lingua di balena: lo storico ristorante Otafuku, nel quartiere Asakusa di Tokyo, lo conservava da oltre un secolo. La tradizione è ripartita dopo la guerra, mentre più recente è quella di un ristorante thailandese, il Wattana Panich, che alimenta il brodo alla base delle sue zuppe da 45 anni. Ogni sera viene filtrato, conservato e poi riutilizzato il giorno seguente.
Secondo cuochi ed estimatori, il “brodo perpetuo” con il suo sovrapporsi di gusti e aromi diventa qualcosa di speciale. Michael Colameco, ex chef del Ritz Carlton di New York e protagonista di alcuni programmi televisivi statunitensi, dice: «non è più semplicemente brodo, è la nota di base che dà intensità a piatti complessi». Secondo lo stesso chef deve assumere un sapore lievemente piccante e acidulo, segno di un principio di fermentazione. Una caratteristica che però può spaventare consumatori meno abituati alle sperimentazioni culinarie.
Atlas Obscura, sito americano che racconta e organizza viaggi verso destinazioni inusuali, spiega come portare avanti in modo “sicuro” questa pratica. Per essere conservato il brodo deve essere portato a ebollizione: a temperature più basse i batteri potrebbero sopravvivere. Il brodo non “in cottura” deve essere conservato in frigorifero o congelato in freezer, ma la sua conservazione non presenta particolari problemi, tanto che la pratica è precedente all’invenzione dei moderni elettrodomestici. Altre accortezze suggerite da chi si occupa di mantenere brodi perpetui sono di togliere lo strato di grasso che si raccoglie sulla superficie del brodo quando si raffredda o di eliminare, filtrando il brodo, residui solidi di verdure e carni dopo alcuni cicli di cotture.
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