I grandi ritardi della sanatoria per i lavoratori stranieri
Da oltre due anni migliaia di persone aspettano una risposta dalle prefetture che non riescono a smaltire le domande presentate nel 2020
Migliaia di persone straniere sono in attesa da oltre due anni di una risposta dalle prefetture in merito alla cosiddetta sanatoria per i lavoratori irregolari decisa nel maggio del 2020 dal governo guidato da Giuseppe Conte. L’obiettivo iniziale era di far emergere “dal nero”, cioè dall’irregolarità, lavoratori e lavoratrici straniere attraverso un provvedimento di regolarizzazione, cioè la presentazione di una domanda per ottenere il permesso di soggiorno.
I dati dicono che il provvedimento riscosse una certa attenzione da parte dei lavoratori e dei loro datori di lavoro, perché in pochi mesi furono presentate 207mila domande. I problemi, piuttosto, ci sono stati nella gestione amministrativa lenta e farraginosa di tutte queste pratiche: il risultato è che circa un quarto delle domande – 51mila – ha ritardi significativi, con conseguenze rilevanti per i lavoratori e i loro datori di lavoro.
Secondo i dati ottenuti dal Sole 24 Ore, 124.389 procedimenti si sono conclusi positivamente con la richiesta dei permessi di soggiorno, 28.231 istanze sono state rigettate, 4.231 sono invece le rinunce da parte dei richiedenti.
La sanatoria fu introdotta durante l’emergenza coronavirus, sostenuta in particolare dall’allora ministra delle Politiche agricole Teresa Bellanova per far emergere il lavoro nero nell’agricoltura, un settore in cui si fa spesso ricorso a lavoratori stranieri irregolari, senza documenti, e quindi privi di contratti. Nelle intenzioni del governo, il provvedimento sarebbe inoltre servito a contrastare il fenomeno del caporalato, cioè lo sfruttamento di lavoratori stranieri per mezzo di intermediari (i cosiddetti “caporali”), e avrebbe aiutato il tracciamento di eventuali contagi da coronavirus tra i “non censiti”.
Inizialmente il governo pensò di coinvolgere tutti i settori, ma a causa della perplessità del Movimento 5 Stelle e delle critiche dell’opposizione fu trovato un compromesso escludendo l’edilizia, la ristorazione e la logistica, nei quali il lavoro nero è molto presente. Alla fine furono presentate 207mila domande, l’85 per cento arrivò dal settore dell’assistenza alla persona e in quello del lavoro domestico, e solo il 15 per cento dal settore agricolo.
La maggior parte è stata presentata in Lombardia, in particolare in provincia di Milano (26.202 domande), ma anche nelle altre grandi province: Napoli è seconda con 19.270 domande e Roma terza con 17.373.
La pratica per ottenere la regolarizzazione costava 500 euro. In passato, per altre sanatorie, il costo era stato anche di mille euro. Ma il punto considerato più critico è un altro: doveva essere, nella maggioranza dei casi, il datore di lavoro a chiedere la regolarizzazione. In un settore come quello agricolo, ancora spesso governato dal caporalato, è stato un grosso limite che ha molto ridotto la possibilità di far emergere le irregolarità. Un datore di lavoro, infatti, difficilmente pagherebbe 500 euro, cioè circa un mese di stipendio di un bracciante, per fargli ottenere una retribuzione dignitosa e in generale più diritti.
Ad avere difficoltà nel rispondere alle richieste per la regolarizzazione dei lavoratori sono però anche i moltissimi piccoli imprenditori o famiglie che non hanno niente a che fare con il caporalato, ma che faticano comunque ad adempiere ad alcuni dei requisiti richiesti.
I provvedimenti attuativi della sanatoria hanno previsto due canali per la presentazione della domanda. Il primo caso (comma 1 dell’articolo 103 del decreto-legge del 19 maggio 2020) è quello che prevedeva la nuova assunzione di un cittadino straniero o in alternativa la regolarizzazione di un rapporto di lavoro informale già esistente. La procedura doveva essere attivata esclusivamente dal datore di lavoro, che non doveva avere condanne ed era tenuto a dichiarare una capacità economica sufficiente, stabilita a seconda del settore lavorativo.
Un rischio segnalato da diverse associazioni che si occupano dei diritti dei lavoratori stranieri è che il datore di lavoro potesse ricattare una persona straniera, chiedendo lavoro in più in cambio della presentazione della richiesta. Tra le altre cose, sono stati segnalati diversi casi in cui i datori di lavoro hanno chiesto al lavoratore di pagare i 500 euro della domanda.
Il secondo canale per la regolarizzazione prevedeva invece che un cittadino straniero, se titolare un permesso di soggiorno scaduto dopo il 31 ottobre 2019, potesse presentare autonomamente domanda per ottenere un nuovo permesso per “ricerca lavoro” della durata di sei mesi.
La richiesta era subordinata a una serie di condizioni. Innanzitutto, il richiedente doveva dimostrare di aver lavorato in passato in uno dei tre settori contemplati dalla sanatoria. Chi può farlo, perché dispone di estratti conto previdenziali, cedolini o certificazioni dei Centri per l’impiego, è una minoranza. Inoltre, chi presentava richiesta attraverso questo secondo canale doveva automaticamente rinunciare all’eventuale richiesta di protezione internazionale. Tutti i richiedenti dovevano poi dimostrare di essere sul territorio italiano da prima dell’8 marzo 2020, data del DPCM che istituì il primo lockdown in Italia.
Un altro punto critico delle norme attuative emerse nell’ottobre 2020. I richiedenti dovevano presentare, tra i documenti per la Prefettura, anche il certificato di idoneità alloggiativa. Dovevano cioè dimostrare di avere un alloggio di una certa metratura, specificare il numero di stanze, l’altezza dell’appartamento, l’ampiezza delle finestre, il tipo di riscaldamento.
Nonostante le molte segnalazioni e denunce fatte da associazioni negli ultimi due anni, i problemi sono sempre gli stessi: la macchina burocratica è lentissima, nonostante il provvedimento per l’emersione dal lavoro nero fosse stato deciso soprattutto per intervenire rapidamente durante l’emergenza coronavirus. Per esaminare le domande sono stati assunti 1.200 lavoratori nelle prefetture e nelle questure, ma quasi tutti con contratti di somministrazione, precari e di breve durata.
L’associazione Ero Straniero, di cui fanno parte tra gli altri Radicali, ActionAid e ASGI, ha raccolto diverse testimonianze di lavoratori che continuano a lavorare nell’irregolarità o, nel peggiore dei casi, hanno perso la possibilità di mettersi in regola per il venir meno della disponibilità di chi voleva assumerle. «Io sto ancora aspettando. Ma nel frattempo la signora è morta», ha detto un’assistente famigliare che lavora in provincia di Milano. «E tante lavoratrici sono nella mia situazione. La signora è morta quest’estate, io ho trovato lavoro con un’altra famiglia, sempre al nero, nella mia situazione non è cambiato niente, tranne che mi sento presa in giro. Facciamo un lavoro duro, e ci hanno prese in giro».
In attesa di regolarizzazione, poi, non è permesso al lavoratore o alla lavoratrice allontanarsi dall’Italia. Ero Straniero ha segnalato che le conseguenze di questi ritardi e delle regole previste dalla sanatoria sono emerse in particolare durante le prime settimane della guerra in Ucraina, quando migliaia di lavoratrici ucraine, preoccupate per i loro figli e altri familiari rimasti in patria, si sono trovate impossibilitate ad andare a prenderli per metterli in salvo, pena l’esclusione dalla procedura di emersione. Dopo le sollecitazioni dell’associazione è stata introdotta una deroga, ma solo per le persone di nazionalità ucraina.
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