L’orfanotrofio ucraino che ha cambiato un paese delle valli bergamasche
A Rota d'Imagna da nove mesi 90 minori fuggiti dalla guerra si sono aggiunti ai 900 abitanti, con qualche tensione
di Valerio Clari
Rota d’Imagna è un paese a circa 700 metri di altitudine, in mezzo alle montagne nell’omonima valle, in provincia di Bergamo. Una cinquantina d’anni fa era luogo di villeggiatura e colonie estive, oggi ha 900 abitanti, divisi su più frazioni. A questi, da marzo, si sono aggiunti un centinaio di bambini e ragazzini ucraini: sono arrivati in 115, accompagnati da 9 connazionali adulti. Oggi sono 93, fra gli otto e i diciotto anni. Provengono tutti dallo stesso orfanotrofio, quello di Berdyansk, città portuale sul mar Nero ora occupata dall’esercito russo.
I ragazzi di Rota sono un caso unico in Italia: non c’è un altro gruppo così grande che sia stato lasciato unito. Il loro inserimento in un comune tanto piccolo è diventato, oltre che un’ammirevole risposta emergenziale di accoglienza, una sorta di esperimento sociale: le criticità e qualche tensione con la comunità locale non mancano, ma i 93 bambini e ragazzi costretti a fuggire dalla guerra hanno trovato in Valle Imagna un rifugio sicuro, scuole pronte ad accoglierli, una rete di operatori e volontari che provano a rispondere alle loro esigenze, non solo primarie.
Secondo i dati del ministero del Lavoro e delle Politiche sociali, in Italia sono presenti 5.033 minori ucraini non accompagnati, cioè arrivati nel nostro paese senza i genitori: la maggior parte, circa 4.200, sono ospitati da famiglie.
Nonostante il concetto di “non accompagnati” sia legalmente molto stretto, si parla per lo più di bambini e ragazzi che hanno raggiunto parenti, amici, comunità di connazionali già risiedenti in Italia: hanno insomma una casa in cui essere accolti. In altre occasioni si parla di minori collocati in famiglie affidatarie, in altri ancora in strutture e case famiglia, che salvo eccezioni d’emergenza non superano i dieci ospiti.
Dopo i numerosi arrivi della scorsa primavera, nelle settimane successive all’invasione russa, il numero di minori ucraini è rimasto per lo più stabile. Sono ucraini circa il 27 per cento dei minori stranieri non accompagnati presenti in Italia.
Superata la fase di risposta all’emergenza, il loro inserimento è stato in tutto e per tutto uguale a quello dei ragazzi provenienti da altri paesi: Egitto, Tunisia, Albania, Pakistan, Bangladesh, soprattutto. Rispetto a loro, però, i minori non accompagnati ucraini hanno avuto una presenza più stabile, grazie a un numero minore di arrivi e partenze, un’età media inferiore e a un maggior bilanciamento fra i due sessi: il gran numero di minori non ucraini sono ragazzi maschi dai 15 ai 18 anni, spesso in transito o stagionali.
A Rota oggi ci sono 26 bambini in età da scuola primaria (le elementari), 31 da secondaria (le medie), 34 che seguono corsi di formazione professionale e tre maggiorenni che seguono corsi online dell’Università ucraina.
A marzo Zlaghoda, associazione ucraina di Bergamo, aveva accolto l’appello dell’orfanotrofio di Berdyansk, i cui responsabili cercavano un posto dove spostare i minori ospitati dalla struttura. Una cosa simile, uno spostamento forzato, era già avvenuta otto anni prima: fino al 2014, infatti, la sede dell’orfanotrofio era nel Donbass, la regione orientale dell’Ucraina dove proprio quell’anno era iniziata una guerra tra esercito ucraino e milizie separatiste filorusse e appoggiate dalla Russia. Anche quella volta gli ospiti dell’orfanotrofio erano stati spostati altrove.
Grazie all’aiuto di Zlaghoda, e a una mobilitazione collettiva degli abitanti del posto, a marzo i ragazzi e i bambini erano stati trasferiti con due bus e tre pulmini dalla Polonia, dove erano in precedenza arrivati, in Valle Imagna, che aveva offerto alcune strutture per ospitarli tutti.
Zaccheo Moscheni, oggi delegato del Comune di Rota per le attività di ospitalità, racconta che a Rota c’era un albergo, l’Hotel Posta, vuoto e inutilizzato: il Comune lo ha offerto senza avere una reale prospettiva sui tempi. «Non si sapeva se sarebbe stata una cosa temporanea o stabile, ma c’era bisogno e ci siamo buttati». I ragazzi sono rimasti nell’albergo sette mesi, i bambini più piccoli sono stati trasferiti nei comuni di Bedulita e Pontida, ma in 93, con 8 operatori ucraini, si sono stabiliti lì.
Ad aprile il tribunale dei minori di Brescia, d’accordo con la prefettura di Bergamo, ha stabilito che la soluzione preferibile nell’interesse dei minori fosse tenerli tutti insieme, considerando valida la tutela legale di tutti gli ospiti per la vicedirettrice della struttura ucraina.
Altri tribunali in questi mesi su casi simili hanno deciso in maniera diversa: ci sono state dispute sulla validità dei documenti ucraini e sulla necessità di un tutore legale diverso da quello ucraino. Ad aprile con un volo speciale altri 63 orfani, provenienti sempre dalla zona sud-orientale dell’Ucraina, erano stati portati in Sicilia dall’associazione comunità Papa Giovanni XXIII, che se ne occupa da allora ma facendoli stare in varie case-famiglia “classiche” in diverse città siciliane.
Definite le prime questioni legali, per Rota d’Imagna si è trattato di organizzare la vita quotidiana dei 93 ospiti. «In fondo – racconta il sindaco Giovanni Locatelli – il nostro lavoro è simile a quello di una famiglia: devi pensare alla scuola, al doposcuola, ai trasferimenti, alle attività sportive e ai compiti. Solo che i figli sono 93 e i genitori o i nonni sempre tre o quattro».
Il Comune di Rota ha tre dipendenti, oltre a sindaco e vicesindaco. Oggi sono stati messi sotto contratto 12 operatori, di cui 4 lavorano part-time: sono per la maggior parte universitari, scelti soprattutto perché parlano il russo (bambini e ragazzi sono russofoni).
Zaccheo Moscheni, 73 anni, in pensione a Rota dopo quarant’anni di lavoro a Milano nel campo dei servizi sociali, spiega che la lingua è stata da subito il problema principale: «Nei primi tempi andavamo avanti con le app di traduzione e grazie a una ragazza bielorussa che è stata il vero tramite. Ora con gli operatori bilingue è più facile, anche se forse hanno rallentato un po’ l’apprendimento dell’italiano da parte dei ragazzi». All’inizio l’unica interprete era Uliana, 24 anni: una parte della sua famiglia era rimasta a Rota dopo un primo contatto post-Chernobyl, quando famiglie bielorusse venivano ospitate durante le vacanze per “soggiorni di risanamento” dopo l’esposizione alle radiazioni in seguito al catastrofico incidente alla centrale nucleare, avvenuto nel 1986.
Il problema più pressante, al momento, è invece il rapporto con la comunità: all’iniziale benevolenza pian piano si è sostituita un po’ di stanchezza, perché l’emergenza si è trasformata in una situazione stabile, e perché gli ospiti sono molto numerosi in rapporto ai residenti. In più c’è qualche problema con un gruppo ridotto di adolescenti ospitati, per quello che viene definito un «rapporto problematico con il rispetto delle regole». In otto sono stati allontanati dalle scuole della zona che li avevano accolti, e sono stati segnalati piccoli furti e incidenti con i vicini.
Il sindaco Locatelli dice che tutti gli abitanti del paese hanno il suo numero e quando squilla il telefono teme che sia qualcuno che si lamenta: «Incontro la gente per strada e mi dicono “I tuoi ne hanno combinata un’altra”. È un problema che abbiamo provato a risolvere in mille modi, ora ci devono aiutare prefettura e console ucraino, se no rischia di compromettere tutto il resto che invece funziona e potrebbe forse diventare un modello».
«Tutto il resto» è un gruppo di ragazzi che è stato inserito nelle scuole della zona. In ogni classe ce ne sono tre, quattro o cinque, e studiano grazie a un aiuto linguistico garantito dagli operatori. Il gruppo vive nella Casa Stella Mattutina, una struttura dell’Azione Cattolica normalmente dedicata a campus estivi.
In un’ala della struttura ci sono i più piccoli, in camerate da una quindicina di letti, in un’altra le stanze dei più grandi, da quattro posti. La casa ha ampi cortili che in stagioni meno fredde potranno essere molto utilizzati. Un salone funziona come zona giochi e zona cinema, un altro da mensa. Tra le 7 e le 8 del mattino si fa colazione tutti insieme; per pranzo sono stati organizzati due turni, alle 13:30 e alle 14:30, a seconda degli orari dei rientri da scuola.
Ogni giorno partono da qui tre autobus dedicati, diretti alle tre diverse scuole: ritornano il pomeriggio, quando i ragazzi fanno i compiti, giocano (i tre computer sono sempre occupati, altri ne arriveranno), svolgono alcune attività sportive spesso offerte da associazioni.
Nei weekend e durante le festività gli 8 operatori ucraini, i 12 italiani e qualche volontario cercano di organizzare attività e gite che comportano impegni e spese supplementari. Durante le vacanze di Natale sono 17 i giorni senza scuole e alcuni operatori torneranno a casa: sono previsti interventi degli scout e dell’associazione di Giocoleria di Bergamo, ma sarà importante inventarsi qualche attività per non far annoiare bambini e ragazzi.
Il finanziamento economico di una comunità di queste dimensioni non è semplice. Nella prima fase d’emergenza sono arrivate molte donazioni in denaro e soprattutto di beni come vestiti, cibo, prodotti per l’igiene, giochi. I fondi stanziati dal governo prevedono un rimborso fino a 100 euro al giorno per ogni ospite: tutte le spese vanno rendicontate. A Rota al momento si attende il rimborso dei primi tre mesi (aprile, maggio, giugno) per una cifra vicina ai 60 euro a bambino.
Finora sono stati determinanti un prestito di 400 mila euro dal Consorzio BIM (Bacino Imbrifero Montano) di Bergamo e un ampliamento dell’anticipo di cassa, cioè un debito a breve termine, concesso dalla banca BPER. Le spese maggiori sono quelle di vitto e alloggio, stimabili in 48 euro per ogni ospite al giorno, a cui vanno aggiunte quelle per i trasporti (i bus), per il personale, per il parrucchiere, per le attività extra e per le piccole esigenze quotidiane.
Le donazioni coprono una buona parte delle esigenze di vestiti e beni d’uso comune, ma qualcosa manca sempre, dalle scarpe invernali del numero giusto ai piumoni per i letti: ciò che manca e non può arrivare in regalo viene comprato da benefattori.
La parrocchia di Rota d’Imagna ha aperto anche una sottoscrizione. Se n’è occupata la parrocchia perché affidarla al Comune avrebbe comportato più necessità burocratiche per spendere i fondi raccolti: i soldi che arrivano servono per le esigenze “last minute” difficilmente rendicontabili o anche per mini-paghette, dell’ordine di un paio di euro, in cambio di piccoli compiti svolti all’interno della struttura. In questo modo si favorisce la collaborazione e si permette ai ragazzi di avere un minimo di fondi per piccole esigenze personali (non ne hanno altri).
Per tutte le spese continuative che nel corso di un anno superano i 5.000 euro la legge prevede di istituire una gara d’appalto, che rende i processi più lenti e complessi. Non è una situazione che si verifica solo per grandi lavori: per esempio, può riguardare anche il dentista.
Yuliia Chernikova è la vicedirettrice dell’orfanotrofio trasferito. Orfanotrofio non è un termine improprio: in Ucraina le strutture così definite erano oltre 600, anche se non accoglievano solo orfani, ma anche bambini allontanati dalle famiglie per vari problemi economici (è il caso di quello di Berdyansk). Organizzazioni non governative internazionali avevano stimato in quasi centomila i minori ospitati nel paese.
Chernikova vive con i ragazzi nella Casa Stella Mattutina. Dice che difficilmente avrebbero potuto trovare un’accoglienza migliore altrove, ma che ovviamente la situazione è più complessa rispetto alla realtà di Berdyansk prima della guerra: non solo per la lingua, ma anche perché in Ucraina il personale era molto più numeroso e l’orfanotrofio aveva una scuola, uno studio medico e palestre all’interno, oltre che rapporti più stretti con la comunità. A una situazione comunque già complessa si è poi aggiunto il trauma della guerra: per alcuni dei minori è stato necessario attivare un sostegno psicologico.
Un’altra questione riguarda il futuro a lungo termine dei ragazzi di Rota, così come degli altri minori ucraini in Italia: ogni decisione è ovviamente sospesa e legata agli sviluppi della guerra.
Le adozioni internazionali sono bloccate in tempo di guerra, a meno che i processi non siano stati avviati in precedenza e avallati dal governo ucraino. È il caso di un paio di bambini che a giorni torneranno in Ucraina, adottati da una famiglia, o di altri per cui è stato avviato un procedimento, già partito prima della guerra, per un programma di “vacanze” in famiglia negli Stati Uniti, con prospettive a lungo termine di adozione.
C’è poi il caso dei “quasi maggiorenni”, che possono essere richiamati dalle autorità ucraine per il servizio militare: fonti del ministero segnalano che in alcuni casi sono già partite da Kiev richieste ufficiali di informazioni sui ragazzi in età da leva (non è il caso di quelli di Rota). Se poi il soggiorno italiano dovesse prolungarsi, magari per anni, bisognerà valutare se l’inserimento in questa nuova realtà non sia preferibile per bambini e ragazzi che in patria hanno pochi legami. Stefania Congia, dirigente del Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali, dice che bisognerà valutare caso per caso, in base alle normative internazionali, ma considerando sempre come prioritario l’interesse del minore.