Quindi ci basterà il gas per l’inverno?
Sembra di sì, soprattutto grazie al risparmio energetico: ma le industrie stanno riducendo le produzioni, e questo avrà un costo
Da quando è iniziata la guerra in Ucraina, una grave preoccupazione per l’Europa è stato il rischio concreto di non avere abbastanza gas per affrontare l’inverno e in generale per soddisfare la domanda di energia. Quasi la metà delle importazioni di gas provenivano dalla Russia, che in questi mesi ha ridotto consistentemente le sue forniture come ritorsione verso le sanzioni occidentali.
I governi dell’Unione europea hanno lavorato intensamente per sostituire i flussi di gas importati dalla Russia con quelli di altri fornitori, in modo da sottrarsi alla dipendenza energetica da un fornitore ostile e inaffidabile. In gran parte ci sono riusciti, ma in pochi mesi non è stato possibile sostituire del tutto una fornitura così rilevante. Si temeva che il gas non sarebbe bastato, ma grazie a temperature più miti nella prima parte dell’autunno e a piani di riduzione dei consumi ci sono buone probabilità che invece alla fine sarà sufficiente.
Cosa hanno fatto i governi, in pratica
Prima della guerra l’Unione europea importava il 40 per cento del suo gas dalla Russia: affrancarsi anche solo in parte da questa fornitura ha significato poter imporre sanzioni togliendo (seppur solo marginalmente) alla Russia la capacità di usare la materia prima come arma di ricatto e soprattutto tentare di garantire la sicurezza energetica ai cittadini europei e alle imprese.
Il gas ha bisogno di infrastrutture per essere trasportato: di gasdotti, se viene venduto in forma gassosa, o di rigassificatori, se viene venduto sotto forma di gas naturale liquefatto e trasportato via nave. Si tratta di impianti che non si costruiscono in pochi mesi.
Quello che hanno cercato di fare i governi europei, compreso quello italiano, è stato di potenziare al massimo gli accordi con i partner già esistenti, come l’Algeria e la Norvegia, che usano gasdotti già in funzione, e di importare molto più gas naturale liquefatto rispetto al passato, che può viaggiare via mare e via terra come le merci tradizionali e che ci è stato fornito principalmente dagli Stati Uniti. Ma anche a capienza massima i gasdotti e i rigassificatori rischiavano di non riuscire a procurare all’Unione europea tutto il gas di cui aveva bisogno. La situazione rischiava di farsi particolarmente seria per quei paesi che ancora utilizzano molto il gas per produrre energia, come l’Italia e la Germania.
Quindi a luglio i paesi dell’Unione europea si erano impegnati a ridurre del 15 per cento il consumo di gas naturale fino a marzo del 2023. L’obiettivo dell’accordo era soprattutto di evitare di arrivare in inverno in una situazione di emergenza, con le scorte al limite per fornire energia e riscaldamento ai cittadini europei. Quell’impegno è stato attuato in vari modi dai governi dei singoli paesi. Molti governi hanno per esempio deciso di illuminare di meno le attrazioni turistiche di notte e di ridurre le temperature degli uffici pubblici. Ma le misure con un impatto potenziale maggiore sono quelle volte a disincentivare l’uso di gas tra la popolazione. Per esempio, tra le altre cose in Italia è stata ritardata l’accensione del riscaldamento ed è stata ridotta la temperatura massima consentita nelle abitazioni.
Inoltre, durante l’estate i governi hanno cercato di riempire il più velocemente possibile gli stoccaggi di gas, ossia vecchi giacimenti di gas esauriti che ora fungono da “deposito”. In Italia sono operativi 13 punti di stoccaggio di gas e queste riserve hanno un ruolo chiave per la sicurezza energetica, perché garantiscono l’approvvigionamento e consentono di bilanciare il mercato tra domanda e offerta. Il ricorso agli stoccaggi in tempi normali serve per attingere alla materia prima che è stata pagata meno rispetto ai prezzi correnti di mercato, soprattutto durante i picchi di consumo dell’inverno quando le quotazioni tendono a essere più alte.
In teoria, il complesso delle scorte potrebbe offrire oltre un terzo del consumo invernale (pari a circa 50 miliardi di metri cubi di gas), ma in condizioni normali si usano per non più del 25-28 per cento del fabbisogno. La restante parte è garantita dalle importazioni (che continuano anche durante tutto l’inverno) e dalla produzione nazionale, la quale però è residuale e pari circa al 4 per cento del fabbisogno.
I calcoli sul fabbisogno
Secondo calcoli dell’ISPI di ottobre, mese in cui l’Italia ha importato pochissimo gas dalla Russia, in mancanza di un concreto calo dei consumi durante l’inverno sarebbero potuti mancare fino a 3 miliardi di metri cubi, a fronte di un fabbisogno annuale tipico di 76, e sarebbe stato il caso di attingere alle riserve strategiche, ossia quella quota degli stoccaggi di ultima istanza che rappresenta quindi la soglia di allerta.
Sembra però che alla fine non sarà necessario e che il mix esistente di importazioni, stoccaggi e produzione nazionale riuscirà a soddisfare tutto il fabbisogno.
🇮🇹🥶 Crisi del gas, "buone" notizie.
La situazione stoccaggi è quasi completamente ribaltata rispetto a settembre: solo in casi improbabili saremo costretti a mettere mano alle riserve strategiche.Un'impresa titanica.
Che ha i suoi costi.Breve thread. 🧵 pic.twitter.com/okCOG7pRr3
— Matteo Villa (@emmevilla) December 12, 2022
Non solo riuscirà a non attingere alle riserve strategiche, ma l’Italia potrebbe addirittura ritrovarsi alla fine dell’inverno con un livello degli stoccaggi molto più alto della media degli ultimi anni.
🇮🇹 Crisi del gas in Italia: scenario stoccaggi completamente invertito rispetto a settembre.
Se le condizioni di alte importazioni e bassi consumi dovessero proseguire, arriveremo a fine inverno con il livello di stoccaggi più alto degli ultimi 10 anni.
Un'impresa titanica. pic.twitter.com/D16O5JntKl
— Matteo Villa (@emmevilla) December 20, 2022
La prima ragione di questo miglioramento è data dal contributo positivo delle importazioni di gas dalla Russia, tornate nuovamente a salire. Il problema è che si tratta di un flusso piuttosto inaffidabile. Come si è visto negli scorsi mesi, la Russia ha utilizzato la sua fornitura di gas all’Unione europea come arma di ricatto e non è detto che non tornerà a farlo prossimamente.
🇪🇺🇷🇺 Crisi del gas: una buona notizia.
Si è esaurita la spinta della strategia che aveva messo l'UE con le spalle al muro.
A dicembre, crescono le esportazioni di gas russo verso i Paesi europei. Ormai o Gazprom pompa più gas, o le entrate di Mosca crollano. pic.twitter.com/WjctwMYNlz
— Matteo Villa (@emmevilla) December 15, 2022
Ma il motivo principale per cui il gas sarà sufficiente per l’inverno è legato soprattutto alla riduzione generale dei consumi.
I primi effetti si erano già visti a settembre e ottobre, quando la domanda di gas era leggermente diminuita rispetto allo stesso periodo negli anni scorsi, ma il mese più atteso era quello di novembre, con l’inizio del freddo, e il conseguente aumento generale dell’uso dei sistemi di riscaldamento nelle abitazioni.
In realtà poi anche nella prima metà di novembre il clima è stato molto mite, cosa che ha probabilmente contribuito a ridurre i consumi. Solo nelle ultime settimane le temperature si sono adeguate alle medie storiche.
Secondo i risultati preliminari di una ricerca dell’ICIS, centro di analisi sull’uso delle materie prime, a novembre la domanda di gas da parte dei paesi europei è diminuita del 24 per cento rispetto alla media degli ultimi cinque anni. In Germania e in Italia, i due paesi che consumano più gas naturale nell’Unione europea, la domanda è diminuita rispettivamente del 23 e del 21 per cento a novembre, analogamente in Francia e Spagna mentre nei Paesi Bassi di poco più di un terzo.
A questo risultato hanno contribuito varie cose. Il clima mite dell’autunno ha fatto certamente la sua parte. La seconda ragione per cui la domanda di gas è più bassa è che le aziende hanno davvero iniziato a consumarne molto meno e a operare politiche di razionamento.
Tornando all’Italia, uno degli effetti principali è che i consumi di gas dell’industria italiana registrati dalla società energetica Snam attualmente sono circa il 20 per cento in meno rispetto all’anno scorso. A questi livelli di prezzo della materia prima le industrie cosiddette energivore, come quelle della carta, del vetro e della ceramica, hanno spesso più convenienza a fermare la produzione che altrimenti sarebbe in perdita. Questa scelta delle imprese ha però un prezzo, perché le aziende producono di meno. Secondo i dati Istat, la produzione industriale a ottobre è risultata in calo per il secondo mese consecutivo, soprattutto nei settori dove l’uso di energia è più intensivo. Produrre di meno implica vendere di meno e impiegare meno forza lavoro, con la conseguenza che le aziende e i lavoratori si impoveriscono.
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