Correre in bici sulla neve
Si fa nel ciclocross, uno sport strano e spesso fangoso, la cui tappa italiana di Coppa del Mondo è diversa dalle altre
di Gabriele Gargantini
Nel ciclismo, perlopiù, si pedala. Per pochi minuti o per parecchie ore; da soli o in gruppo, con pendenze di ogni tipo e su superfici varie, naturali o artificiali. Talvolta sotto la neve, ma quasi mai sopra. Correre, anche se i ciclisti furono chiamati fin da subito anche corridori, è assai inconsueto, spesso conseguenza di un qualche problema.
Il 17 dicembre a Vermiglio, in Trentino, c’è stata però un’importante gara di ciclocross, la disciplina del ciclismo in cui è normale dover correre, oltre che pedalare. Una gara che ha avuto la peculiarità, prevista fin dall’inizio, di essere tutta sulla neve, anche per l’ambizione di far diventare il ciclocross uno sport olimpico invernale. Tra gli altri c’era l’olandese Mathieu van der Poel, che sta al ciclocross come il Valentino Rossi dei tempi migliori stava alla MotoGP: la notizia è che non ha vinto e nemmeno è arrivato vicino al podio.
La prima cosa da dire è che di solito anziché il bianco della neve il colore dominante del ciclocross è decisamente il marrone del fango, in tutte le sue sfumature, consistenze e granulometrie. La seconda è che sebbene sia diffuso e in crescita anche in Italia, il paese in cui gioca in casa è senz’altro il Belgio, che sta al ciclocross come gli Stati Uniti stanno al basket: è dove ci sono più gare, più atleti, più competenze, più premi e più possibilità, per i migliori, di farne un lavoro.
Le gare di ciclocross durano non più di un’ora, in cui si parte tutti insieme per percorrere alcuni giri di un percorso di due o tre chilometri: quanti giri fare lo decide la giuria dopo i primi due, in base ai tempi e alle condizioni del terreno, che a seconda di temperatura, umidità e pioggia possono cambiare tanto anche in pochi minuti.
I percorsi hanno salite, discese, contropendenze, curve a gomito fatte apposta per far quasi fermare ciclocrossisti e ciclocrossiste che devono poi ricominciare a pedalare. Ci sono anche dossi e ostacoli messi lì apposta per far scendere di sella chi pedala, ma che qualcuno ha imparato a saltare con il bunny hop, il “salto del coniglio”. A volte, ci sono perfino vere e proprie scalinate su cui è necessario portarsi la bici in spalla.
Per il ciclismo, il ciclocross è qualcosa di simile a quello che per l’atletica sono le corse campestri: non è una passeggiata e spesso lo si finisce parecchio stanchi e parecchio sporchi. Esiste anche l’aggettivo ciclocampestre, ma ormai nessuno lo usa davvero.
Il ciclocross nacque a inizio Novecento, diversi decenni prima che si inventassero le mountain bike, probabilmente in gare in cui ci si sfidava a partire da un paese e arrivare a un altro in bicicletta senza dover però per forza di cose passare da una strada.
Ancora oggi, il ciclocross si pratica con biciclette specifiche che somigliano però non poco, almeno a occhi inesperti, a quelle da corsa. Se estrapolate dal contesto, certe foto di ciclocross sembrano foto di ciclisti da strada che si sono persi andando per campi.
Le bici da ciclocross hanno però pedali e movimenti centrali più alti, così da allontanarsi per quanto possibile dal fango, dai dossi e dal contatto con il terreno in caso di curve strette. Tra ruote e forcelle c’è inoltre più spazio che nelle bici da corsa, così che il fango non finisca col bloccare la ruota. Cambiano anche posizione e inclinazione di sella e manubrio, tra le altre cose per facilitare i movimenti di chi ci deve saltare su e giù nel minor tempo possibile.
I pedali sono fatti per agganciarsi con più facilità alle scarpe, che spesso hanno appositi tacchetti per evitare che chi le indossi scivoli troppo. I copertoni non possono essere più larghi di 33 millimetri: li si controlla prima della partenza con un apposito strumento.
Le bici da ciclocross non hanno borracce e relativi portaborracce perché nelle gare non c’è tempo per bere (e comunque sarebbero piene di fango) e soprattutto per facilitare la presa della bicicletta quando si deve correre anziché pedalare.
Nel ciclocross i piedi a terra si mettono spesso: a volte uno, altre volte entrambi. Per correre con la bicicletta in spalla, oppure per tirarsela o spingersela accanto in attesa di risalirci. L’azione della corsa è parte integrante del ciclocross e spesso torna peraltro comoda per muovere un po’ i piedi, che in molti casi sono gelidi e fradici. È però sempre uno sport di biciclette: quindi in una gara di ciclocross come si deve la corsa deve essere una minima parte del tutto, qualcosa a cui ricorrere giusto poche volte ogni giro.
Quasi fin da subito il ciclocross si affermò come l’alternativa autunnale e soprattutto invernale al ciclismo su strada e, più di recente, alla mountain bike. Un modo per allenarsi gareggiando in un’attività che richiede agilità e potenza muscolare e che permette inoltre di affinare non poco le capacità di guida e di controllo della bicicletta.
Il ciclocross è quindi una pratica invernale perché si fa prevalentemente in inverno, ma non è mai stato considerato uno sport invernale, come lo sci di fondo, il curling o il pattinaggio su ghiaccio, perché nella sua storia la presenza della neve era stata quasi sempre un accidente meteorologico, mai una scelta ponderata. E nella Carta olimpica, il documento che contiene le regole di base dei giochi olimpici, è scritto chiaro e semplice che «sono considerati sport invernali solo gli sport praticati sulla neve o sul ghiaccio».
È parte del motivo per cui, per il secondo anno consecutivo, in un fine settimana di dicembre la Coppa del Mondo di ciclocross ha fatto tappa a Vermiglio, un paese di nemmeno duemila abitanti della Val di Sole, lungo la strada che da Trento sale verso i 1.884 metri del Passo del Tonale, il valico alpino che sta sul confine tra Lombardia e Trentino-Alto Adige. La gara di Vermiglio è quella più in alto nella storia della Coppa del Mondo di ciclocross, che esiste dagli anni Novanta, e l’unica fatta appositamente sulla neve.
La Val di Sole (nome ingannevole, che pare derivare da Sulis, divinità celtica delle acque) sa il fatto suo quando si parla di ciclismo: ha ospitato più volte importanti gare di mountain bike, trial e downhill, per la sua posizione non è insolito che ci passi il Giro d’Italia e se in inverno è un’ottima meta per il fondo, d’estate lo è per il ciclismo.
Da queste premesse, chi già in Val di Sole si era occupato di altre gare ciclistiche ha organizzato la gara sulla neve insieme a Flanders Classics, società belga che organizza molti importanti eventi del ciclismo, compresa la Coppa del Mondo di ciclocross. Nel 2021 si corsero quindi le prime due gare sulla neve: quella femminile fu vinta dall’olandese Fem van Empel e quella maschile dal belga Wout van Aert, il ciclista più completo al mondo, capace di stare tra i migliori in quasi ogni tipo di corsa, dal ciclocross alla Milano-Sanremo, dalla Parigi-Roubaix alle salite del Tour de France.
Andò bene: nonostante le temperature sotto zero (nella parte della Val di Sole in cui si svolge la gara il sole si vede giusto per un paio d’ore e nemmeno su tutto il percorso) ci furono circa quattromila spettatori e, dopo aver vinto, Van Aert disse: «È stato puro ciclocross».
Nonostante il precedente, il giorno prima della gara a Vermiglio c’era una certa curiosità durante le prove libere del percorso, in vista della gara di sabato. Come la Formula 1, anche il ciclocross prevede infatti prove libere, che a in Val di Sole sono state il venerdì e il sabato mattina, per impratichirsi e testare i materiali. In particolare, c’è da scegliere il tipo di tassellatura dei copertoni e la pressione a cui gonfiarli. Nel ciclocross è in genere bassa e su neve è di poco più di un bar: bassissima, per avere più aderenza sul terreno.
Nelle prove del ciclocross maschi e femmine girano insieme: c’è chi fa giri interi per prendere il ritmo, chi prova e riprova determinate salite, discese o curve, talvolta confrontandosi con altri su come affrontarle. Si studiano approcci, traiettorie, convenienze o controindicazioni nel cercare di inserirsi nei solchi segnati da ruote altrui, eventualità di sganciare o meno un piede dai pedali per poi procedere spingendosi “a monopattino”.
Durante le prove a Vermiglio in molti hanno guardato quanto bene e quanto forte pedalava Van der Poel, il grande favorito, anche vista l’assenza di Van Aert, impegnato altrove, su strada. «Questa lui la faceva» ha detto un tifoso — riferendosi a Van der Poel — ai ciclocrossisti italiani intenti a provare una salita particolarmente ostile.
«Adesso riesci, domani ciao: il primo la fa, ma dal secondo in poi si scende», aggiunge un allenatore presumendo che il primo sarà sempre Van der Poel e prevedendo che in gara, con i ciclisti uno dietro l’altro, sarà ancora più difficile restare in sella su quella salita.
Le prove e i ragionamenti del venerdì, un giorno nebbioso e in parte piovoso, fatti su un tracciato battuto ma comunque con neve piuttosto fresca e recente, vanno però in gran parte a farsi benedire la mattina di sabato, a poche ore dalla partenza delle gare.
Martino Fruet ha 45 anni e da più di venti fa gare di ciclocross: è a Vermiglio per commentare le gare, ma si è portato comunque la bici e venerdì ha provato il percorso, per capirlo meglio e per confrontarsi con il passo dei più forti: «Agli altri bene o male stavo abbastanza dietro, ci ho provato anche con lui, ma lui nemmeno lo vedevo». Lui è sempre Van der Poel, uno che, dice Fruet, «con la neve di venerdì avrebbe stravinto». Fruet è trentino, conosce molto bene anche la neve, e dice che dopo essere stata battuta, e dopo il freddo della notte, la neve si è «trasformata in marmo».
La neve di sabato è in effetti molto più dura e spesso pressoché ghiacciata, tanto che la giuria ha poi scelto di togliere le due barriere orizzontali, alte alcune decine di centimetri, poste lungo il percorso per far scendere i corridori di sella o farli saltare in bunny hop.
«Venerdì avrebbero fatto i 18 chilometri orari di media, oggi i primi viaggeranno vicini ai 25», dice Fruet anticipando in effetti quella che sarà la media oraria del primo. Una media oraria che un buon ciclista amatoriale faticherebbe a tenere anche se quello stesso tracciato, con quelle curve e quei saliscendi, fosse su asfalto nuovissimo.
Sergio Battistini, che è maestro di sci e che in passato ha disegnato percorsi di gare di mountain bike, ha tracciato la pista sulla neve della Val di Sole, su un terreno dove altrimenti d’inverno passa una pista da fondo. Secondo lui è meglio che la neve sia ghiacciata e battuta perché con la neve fresca e gli atleti lenti «non sarebbe stato un bello spettacolo». La neve fresca, inoltre, avrebbe rischiato di aumentare troppo i tratti da correre anziché pedalare. Dice inoltre che l’assenza di neve, in inverno in Val di Sole, non è mai stata motivo di preoccupazione e che il rischio era che fosse anzi troppa.
Comunque, chi fa ciclocross è abituato a trovarsi il terreno che capita, a vederlo cambiare da un giorno all’altro e ad adattarsi a quel che c’è, perfino se è quasi ghiaccio. Anche perché per arrivare a fare quest’ora di gara molti avevano fatto centinaia di chilometri. Per la gara femminile c’erano 43 cicliste, per quella maschile 47. Tra loro, tanto rappresentati quanto l’Italia erano il Belgio e i Paesi Bassi. I più giovani avevano meno di diciotto anni, pochi avevano più di trent’anni e solo un’atleta più di quaranta.
C’era chi era arrivato in aereo, dormiva in albergo e già da venerdì poteva contare sul sostegno di un intero motorhome, o chi era arrivato in camper venerdì per ripartire sabato subito dopo la gara. C’era qualche belga o olandese che gareggia quasi solo nel ciclocross e che in estate si allena per le gare invernali, e altri che invece fanno soprattutto ciclismo su strada o mountain bike e che lo fanno per professione, e altri ancora per cui il ciclocross è invece una passione da incastrare con un altro lavoro.
Klaus Bank ha trent’anni e vive ad Aquisgrana, in Germania, dove fa il meccanico di biciclette. Giovedì sera è partito in camper insieme a Marcel Meisen, di cui è sia amico che meccanico. Da settembre Meisen ha fatto quindici gare di ciclocross, la maggior parte delle volte seguito da Bank, che tra le altre cose durante la gara lo assiste dall’apposita area pit stop, dove i ciclocrossisti possono andare a sostituire la bici tra un giro e l’altro.
Bank dice che «in Belgio, quando c’è tanto fango, capita di dover cambiare la bici ogni mezzo giro» (i ”box” sono attraversati due volte per giro) e aggiunge che in Val di Sole, durante la gara, avrà meno da lavorare, perché «ghiaccio e neve non sporcano».
Cristian Calligaro ed Emanuele Huez hanno invece poco più di vent’anni: corrono con due squadre ma sono arrivati a Vermiglio con i genitori e sono alla loro prima gara di Coppa del Mondo, e quindi alla loro prima gara con Van der Poel, uno che su strada ha vinto due volte il Giro delle Fiandre e indossato la maglia gialla al Tour e quella rosa al Giro d’Italia.
Calligaro faceva ciclismo su strada, poi si è tagliato il tendine d’Achille e rotto un gomito. «Ho perso il treno» dice «e mi sono trovato un piano B nel ciclocross». La sua stagione, fatta fin qui da circa venti gare, è iniziata a ottobre e finirà a gennaio col campionato italiano, dopodiché si dedicherà alla mountain bike, il tutto facendo intanto un lavoro part-time. Per il ciclocross si allena vicino a casa, in un terreno dove a inizio ottobre c’è una ciclocampestre e dove per i mesi successivi resta quindi qualche traccia del percorso. Dice che gareggiare sulla neve «è veramente fantastico», ma che comunque è parte del ciclocross «interpretare un percorso nuovo anche se a volte non ti piace». Per la prossima stagione punta a fare almeno qualche gara in Belgio.
Huez corre invece per il Centro Sportivo Carabinieri: «Ho avuto la fortuna di fare della mia passione il mio lavoro», dice. Per lui il ciclocross è propedeutico alla mountain bike, «un’ottima alternativa alla palestra o a tante ore fuori in strada a pedalare al freddo».
A Vermiglio, ad assistere alla gara femminile e subito dopo a quella maschile c’erano circa settemila persone, diverse centinaia delle quali provenienti dal Benelux, e il biglietto di ingresso all’area gara costava 15 euro. La prova femminile l’ha vinta la ventenne olandese Puck Pieterse, in testa per gran parte dei 50 minuti che ha impiegato per completare i sei giri del percorso. Pieterse è senz’altro a suo agio con la neve e già che era in Trentino il giorno dopo la gara è andata a fare snowboard. Seconda e terza sono arrivate Ceylin del Carmen Alvarado e Manon Bakker, anche loro olandesi.
Quarta è arrivata l’italiana Silvia Persico, la cui gara è stata un efficace compendio di quante cose possono andare male nel ciclocross. Persico è caduta già alla seconda curva e poi diverse altre volte, in più di un’occasione con conseguenti problemi alla catena e poi ai freni, che nell’ultimo giro non funzionavano granché.
Nella gara maschile il favoritissimo Van der Poel non è stato in testa nemmeno per un metro. Era ottavo dopo un giro e ottavo è arrivato alla fine: una cosa insolita per lui, che per gran parte della sua carriera vinceva praticamente ogni gara di ciclocross a cui partecipava. È probabile che Van der Poel sia tra quelli che hanno sofferto la neve marmorea, magari preoccupato di farsi male e rovinarsi i prossimi mesi di gare cadendo sul duro anziché sulla neve fresca di venerdì su cui sembrava molto a suo agio. «Se hai paura del percorso, il percorso ti risucchia» è stata la breve analisi del podcast di Cyclocross Social, il cui profilo Instagram è seguito da oltre 130mila utenti. Ma può anche essere che Van der Poel non fosse in giornata e abbia scelto di non rischiare.
La gara l’ha vinta il ventinovenne belga Michael Vanthourenhout: un ciclocrossista di professione che corre per una squadra sponsorizzata dalla Pauwels Sauzen, azienda belga che produce ogni anno cento milioni di chili di salse per alimenti. Secondo e terzo, in una gara che così come quella femminile non ha avuto la fortuna di avere una vera sfida per la vittoria, sono arrivati il belga Niels Vandeputte e lo svizzero Kevin Kuhn, parecchio a suo agio sulla neve. Il primo italiano, quattordicesimo a quattro minuti e dopo una lunga sequenza di corridori belgi e olandesi, è stato Nicolas Samparisi.
Meisen è arrivato venticinquesimo a cinque minuti da Vanthourenhout. Calligaro e Huez, partiti in ultima e penultima fila, sono arrivati trentacinquesimo e trentaseiesimo, un buon risultato per un debutto su neve in Coppa del Mondo.
In entrambe le gare c’è stato inoltre chi si è fatto piuttosto male cadendo e si è dovuto ritirare: nella gara femminile è successo a Van Empel, vincitrice un anno fa, e in quella maschile a Eli Iserbyt, vincitore dell’ultima Coppa del Mondo.
Come già nel 2021, la gara di ciclocross in Val di Sole ha attirato curiosità e generato dibattiti nel mondo del ciclocross, piccolo ma comunque in espansione. Per qualcuno, quello che i promotori definiscono talvolta snowcross ha poco senso di esistere, specie se corso su neve troppo battuta e perlopiù ghiacciata. Per altri, e tra loro ci sono sia osservatori che corridori, è un’interessante alternativa che aggiunge un’altra superficie al ciclocross, in cui è anche capitato che si corresse su una spiaggia.
Per quanto riguarda le ambizioni olimpiche, sono senza dubbio qualcosa di ancora lontano e piuttosto vago. Tra addetti ai lavori se ne parla, al movimento farebbe benissimo e al ciclismo, che già assegna molte medaglie estive su strada, su pista, nella BMX e nella mountain bike, non dispiacerebbe affatto diventare anche sport olimpico invernale. Al momento, tuttavia, non ci sono date, documenti o programmi chiari o discussioni ufficiali su come, dove e quando il ciclocross potrebbe arrivare alle Olimpiadi invernali, e di certo non sarà alle Olimpiadi di Milano-Cortina del 2026.
Dalla sua il ciclocross ha certe caratteristiche che lo rendono olimpicamente appetibile: si fa con poco, in poco spazio, con donne e uomini che gareggiano sullo stesso percorso, ed è vivace, rapido, con tradizione eppure anche giovanile, oltre che televisivamente efficace. Il fatto che buona parte di chi lo guarda, pratica e vince arrivi da Belgio e Paesi Bassi non gioca però a suo favore, seppur pochi sport invernali siano davvero globali.
Intanto, la tappa di Coppa del Mondo in Val di Sole, l’unica italiana tra le 14 in calendario, è un interessante tentativo con cui uno sport minore per molti sconosciuto prova ad allargare i confini di quello che può fare e che può eventualmente diventare. E settemila spettatori per una corsa in bici, a dicembre con temperature sotto lo zero, non sono niente male. «Mi ricordo la mia unica corsa di Coppa del Mondo» dice Fruet «nel 2001 a Monopoli: non c’era nessuno a vederci. Ora ci sono personaggi per cui la gente viene apposta, c’è un bello spettacolo, sempre più gare e sempre più giovani». Il Belgio, «dove da Natale all’Epifania si corre ogni santo giorno» e dove «anche la gara regionale di ciclocross vanno a vederla in migliaia» è ancora lontano, ma meno di un tempo.
In effetti, i giorni che arrivano sono i migliori dell’anno per il ciclocross. Il 26 dicembre ci sarà la tappa di Coppa del Mondo di Gavere, in Belgio, e subito dopo diverse altre gare, trasmesse sia da Eurosport che dalla Rai, in cui ci saranno sia Van Aert che Van der Poel, oltre che il britannico Tom Pidcock, altro talento duttile del ciclismo.
Tra tutte le sue stramberie e in tutti i suoi ossimori, il ciclocross è peraltro uno sport facile da seguire: c’è poca tattica, stare in scia è più pericoloso che altro, basta un niente per ribaltare la classifica e alla fine si riduce tutto a correre in bici su un percorso in cui è parecchio complicato pensare di poterlo fare.
Per chi non lo segue, il ciclocross, non solo sulla neve, ha tutto per essere una possibile via d’accesso al ciclismo. Per chi già lo segue e soprattutto per chi lo pratica è invece un ottimo modo per far passare gli inverni. Come ha detto Van der Poel in risposta a chi gli chiedeva perché preferisca fango, neve e freddo a un più caldo e comunque meritato riposo, «l’inverno sarebbero davvero troppo lungo senza il ciclocross».