Che parlamentare era Antonio Panzeri
Il lobbista italiano al centro dello scandalo di corruzione al Parlamento Europeo era molto abile nel costruire relazioni ma anche molto riservato, con rapporti stretti col Marocco
di Luca Misculin
Un lobbista attivo al Parlamento Europeo e che preferisce rimanere anonimo ha raccontato di vivere con un certo disincanto l’enorme polemica che si è creata intorno all’ex parlamentare europeo Antonio Panzeri e all’operazione di corruzione che secondo la procura federale belga Panzeri avrebbe messo in piedi per favorire due paesi extraeuropei, Qatar e Marocco. Gli ex parlamentari europei che sfruttano i rapporti sviluppati durante il proprio mandato e si riciclano come lobbisti sono parecchi. Se Panzeri era davvero pagato dal Qatar e dal Marocco per rappresentare i loro interessi, spiega lo stesso lobbista, faceva un lavoro del tutto simile a quello delle migliaia di lobbisti regolarmente accreditati per frequentare le sedi delle istituzioni europee. Al limite può essere accusato di non aver dichiarato i soldi in contanti ricevuti come compenso, e trovati a casa sua.
Le cose cambierebbero se l’indagine dimostrasse che Panzeri è riuscito a corrompere parlamentari europei attualmente in carica come la greca Eva Kaili, arrestata il 10 dicembre e tuttora in carcere. O se lui stesso fosse stato pagato dal Qatar o dal Marocco già durante il suo mandato, per prendere decisioni a favore di questi paesi e non dell’interesse generale: quest’ultima è un’ipotesi citata esplicitamente da alcuni giornali, e sembra ci stia lavorando anche la procura belga.
Per questa ragione è interessante ripercorrere la carriera di parlamentare europeo di Panzeri, e capire se contenga qualche traccia dei rapporti, regolari o irregolari, che gli vengono contestati oggi.
Molte persone che hanno lavorato o collaborato con lui negli ultimi anni da parlamentare lo descrivono come un politico molto attivo, bravissimo nel fare amicizia e creare relazioni, ma al contempo piuttosto riservato. Sul suo conto si sapevano soprattutto due cose. La più frivola è che tifava molto per l’Inter. Quella più seria è che già da molti anni era vicino al governo del Marocco, uno dei due paesi che secondo la procura federale belga lo avrebbero pagato per mettere in piedi un’operazione di corruzione nel Parlamento Europeo (per ora l’ipotesi prevalente è che sia stato pagato dopo la fine del suo mandato parlamentare, non durante).
Le persone che frequentano da tempo il Parlamento Europeo ritengono che esistano varie categorie di parlamentari europei. Ci sono i parlamentari-testimonial, che vengono eletti per ragioni di notorietà legate a una causa, su cui continuano a lavorare anche durante il proprio mandato. Ci sono quelli che si fanno vedere per pochi mesi dopo l’elezione e poi spariscono o quasi, per poi riemergere a pochi mesi dal voto per la rielezione. Poi ci sono i parlamentari a tempo pieno: vivono a Bruxelles, in Belgio, principale sede del Parlamento Europeo, studiano documenti e relazioni, creano una rete di rapporti, si spendono per fare prevalere la propria linea politica o approvare una certa norma.
Panzeri apparteneva senza dubbio alla terza categoria. «Era sicuramente un uomo di relazioni, risolutivo e pragmatico, uno che si sapeva muovere bene», ricorda Ignazio Corrao, parlamentare dei Verdi che nella scorsa legislatura faceva parte della sottocommissione del Parlamento europeo per i diritti dell’uomo, presieduta da Panzeri fra il 2017 e il 2019.
Anche i numeri lo confermano. Fra il 2014 e il 2019, nei suoi ultimi cinque anni da parlamentare europeo, Panzeri curò 19 “dossier legislativi” da relatore o relatore ombra, cioè da responsabile di quel dossier per conto del suo partito (“dossier legislativo” è un termine generico che tiene dentro proposte di legge, mozioni, risoluzioni, eccetera). Nello stesso periodo Goffredo Bettini, un dirigente del Partito Democratico oggi molto influente ma che all’epoca non era noto per il suo attivismo a Bruxelles, diciamo, curò 4 dossier.
Panzeri e Bettini però avevano una cosa in comune. Come molte persone che avevano iniziato a fare militanza nel Partito Comunista Italiano, al Parlamento Europeo si occupavano prevalentemente di politica estera. La loro generazione «la considerava il tema più prestigioso, da persona arrivata all’apice della propria carriera politica», racconta un ex assistente di S&D (il gruppo parlamentare a cui apparteneva Panzeri), che preferisce rimanere anonimo. Fra i paesi di cui si è occupato nei suoi anni da parlamentare europeo, oltre al Marocco ci sono fra gli altri Canada, Kosovo, Yemen, Arabia Saudita, Algeria, Libia e Tunisia.
A differenza di Bettini, infatti, Panzeri era molto più inserito nei lavori del Parlamento Europeo. Dopo molti anni da dirigente della CGIL, il principale sindacato italiano di sinistra, fu eletto una prima volta nel 2004 coi Democratici di Sinistra, poi rieletto nel 2009 e nel 2014 col Partito Democratico. All’inizio della sua terza legislatura Panzeri fu inserito nella prestigiosa commissione Affari esteri, e poco dopo si candidò per diventare il capogruppo della delegazione del Partito Democratico. Ai tempi il PD aveva la seconda delegazione più numerosa del Parlamento Europeo dopo i tedeschi della CDU, il partito della cancelliera in carica Angela Merkel.
Allora Panzeri era uno dei due parlamentari europei del PD in carica da più tempo: la sua candidatura a capogruppo fu considerata un passaggio inevitabile. In un altro periodo storico probabilmente sarebbe stato eletto. Ma nel 2014 il segretario del partito era Matteo Renzi, che alle elezioni europee aveva portato il PD vicino al 41 per cento dei voti, e la corrente della sinistra “storica” di cui Panzeri faceva parte e di cui il leader informale era Massimo D’Alema era finita in minoranza. Alla fine la votazione interna premiò Patrizia Toia, l’altra parlamentare europea del PD in carica dal 2004, molto nota negli ambiti cattolici progressisti e decisamente più vicina a Renzi.
La mancata elezione fu uno snodo cruciale per la carriera di Panzeri al Parlamento Europeo. A partire da quel momento iniziò progressivamente ad allontanarsi dal PD, muovendosi in maniera sempre più autonoma ed eterodossa dalla linea del partito e dell’S&D. «Non capivo proprio come un campione della sinistra e del mondo dei diritti umani e delle questioni sociali votasse come un conservatore, su alcuni temi», racconta per esempio un ex parlamentare europeo del gruppo S&D: «ma ai tempi pensai che fosse tipico di un ex sindacalista pragmatico, che cerca sempre il compromesso». Fra le altre cose Panzeri ha sempre tenuto una posizione piuttosto morbida con la Russia e scettica su un sostegno europeo all’Ucraina.
La distanza di Panzeri non era solo politica: i parlamentari europei del PD della legislatura 2014-2019 con cui aveva legato al di fuori del lavoro erano pochissimi.
Negli anni seguenti anche i suoi collaboratori più stretti si isolarono a tal punto dalla normale vita di partito che la cosa fu notata. «La mattina arrivavano nel loro ufficio, non interagivano con i colleghi, e a un certo punto alla sera se ne andavano. Non li ho mai visti nemmeno alle feste di compleanno», racconta l’ex assistente del gruppo S&D già citato. Fuori dall’ambito lavorativo, dello staff di Panzeri si sapeva che tifavano quasi tutti per l’Inter, e che si organizzavano spesso per vederne le partite insieme.
Per il resto molti avevano l’impressione che gli assistenti più stretti di Panzeri – Francesco Giorgi, arrestato insieme a Kaili, e Giuseppe Meroni – fossero più fedeli a Panzeri stesso che al partito, diversamente da quello che succedeva per la maggior parte degli assistenti di parlamentari del Partito Democratico.
Un requisito informale per diventare assistente di un parlamentare del PD è aderire al circolo del partito di Bruxelles: Giorgi e Meroni avevano la tessera ma non partecipavano praticamente mai alle riunioni del circolo. Fra Panzeri e Giorgi si intravedeva inoltre un legame molto forte: Panzeri non parlava bene le lingue straniere, e anche nei lavori ufficiali del Parlamento usava sempre l’italiano. Per anni Giorgi gli ha fatto da interprete, traducendo le sue conversazioni formali e informali con le persone che Panzeri incontrava per lavoro.
Fu in questi anni, forse anche per compensare il suo allontanamento dal PD, che Panzeri iniziò a mettere insieme un gruppo transnazionale di parlamentari con cui condivideva sensibilità e storia politica, più a sinistra della linea ufficiale dell’S&D. Ne facevano parte circa una ventina di parlamentari. I più vicini a lui sono quelli che negli ultimi giorni sono stati coinvolti nell’indagine della procura federale belga: il parlamentare italiano Andrea Cozzolino, e i belgi di origine italiana Marc Tarabella e Maria Arena. Tutti e tre sono ancora in carica. Ma del gruppo facevano parte anche parlamentari spagnoli, greci e francesi che a quanto si sa non sono coinvolti nell’indagine.
Un altro ex assistente del gruppo S&D (anche lui ha voluto rimanere anonimo) racconta che verso la fine della legislatura «avevano creato una specie di sottocorrente». In occasione di una sessione plenaria del Parlamento Europeo a Strasburgo, in Francia, «avevano anche tenuto una riunione separata dal gruppo, e all’interno la cosa fece molto scalpore», ricorda l’ex assistente. Alla fine del 2017, fra l’altro, Panzeri era uscito dal PD per aderire ad Articolo 1, il partito nato dalla scissione della corrente di sinistra guidata da D’Alema e da Pier Luigi Bersani.
Al Parlamento Europeo la sottocorrente di Panzeri si distingueva per il suo carattere di sinistra su alcuni temi circoscritti, ma era attiva soprattutto sulla politica estera. E i loro interventi si facevano notare nei casi in cui il Parlamento Europeo doveva occuparsi di un paese in particolare: il Marocco.
Negli ultimi due anni del suo mandato da parlamentare europeo, Panzeri era riuscito a ritagliarsi un ruolo da rispettato conoscitore del Nord Africa e del Medio Oriente. Nel 2018 una sua assistente scrisse una mail al Post descrivendo Panzeri come «relatore permanente per il Parlamento europeo sulla Libia», una carica informale che indica un parlamentare molto esperto su un certo tema, che il Parlamento coinvolge spesso quando deve occuparsene.
Il 25 gennaio del 2017 Panzeri era diventato presidente della sottocommissione per i diritti dell’uomo, e nel frattempo continuava a sedere come membro anziano della delegazione del Parlamento Europeo per il Maghreb, la regione del Nord Africa di cui fanno parte fra gli altri Libia, Tunisia, Algeria e Marocco.
Non è chiaro come e quando iniziò il suo legame col Marocco – il suo primo tweet a riguardo è datato 29 novembre 2011 – ma negli ultimi anni di mandato era uno dei suoi punti forti. «Ricordo perfettamente che lui ci aveva più volte palesato la sua vicinanza al Marocco», racconta Corrao: «Non era necessario che lo dicesse apertamente, ma si capiva che con quel paese aveva un rapporto privilegiato».
«La sua vicinanza al Marocco era una cosa nota», racconta il secondo ex assistente parlamentare del gruppo S&D. «Per ogni cosa che riguardava il Marocco faceva valere la sua posizione nelle discussioni interne al gruppo, o le faceva esprimere ai suoi amici», cioè ai parlamentari della sua “sottocorrente”. Nulla di particolarmente raro per come funzionano le discussioni politiche interne ai gruppi parlamentari.
La posizione di Panzeri non era semplicemente filo-marocchina, ma aderiva a quella della monarchia che governa il Marocco: a favore di una cooperazione commerciale più stretta con l’Unione Europea, ma intransigente nell’ostilità al popolo dei Sahrawi, l’insieme dei gruppi tribali locali che reclamano l’indipendenza del Sahara Occidentale, il più grande territorio non autonomo del mondo non riconosciuto dall’ONU e in gran parte occupato militarmente dal Marocco.
«Ricordo bene che nelle posizioni del gruppo S&D i Sahrawi non si potevano citare, altrimenti arrivavano subito i filo-marocchini», cioè i parlamentari del gruppo di Panzeri. Di recente una persona che lavora alla Western Sahara Resource Watch, una ong che promuove i diritti dei Sahrawi, ha raccontato a Politico di avere incontrato più volte Panzeri per discutere del Sahara Occidentale: «era come sbattere contro un muro: era molto chiaro che non si sarebbe occupato della questione».
Non si può certo ricondurre ogni decisione favorevole presa dal Parlamento Europeo nei confronti del Marocco a pressioni di Panzeri, che comunque non era fra i parlamentari più influenti dell’aula; e i suoi stretti legami col Marocco non implicano certamente e in maniera automatica qualche sua responsabilità penale (potrebbero essere solo il risultato di una forte vicinanza politica).
È comunque rilevante che durante gli ultimi anni del suo mandato i rapporti fra Parlamento Europeo e Marocco fossero piuttosto distesi. Negli anni il Parlamento Europeo si è espresso più volte a favore dei diritti dei Sahrawi, ma negli anni in cui Panzeri era molto coinvolto nei dibattiti sulla politica estera la questione si era molto raffreddata.
L’8 febbraio 2018 la delegazione parlamentare DMAG, quella per i rapporti per il Maghreb di cui Panzeri era un membro molto influente, si incontrò a Strasburgo, in Francia, per discutere di come aumentare la cooperazione bilaterale fra il Parlamento Europeo e quello marocchino. Uno dei temi della collaborazione riguardava i diritti umani: ma non quelli dei Sahrawi, cioè il principale aspetto legato ai diritti umani che il Marocco è accusato di violare dalla gran parte della comunità internazionale.
Nel rapporto di sintesi di quella riunione si legge che sui diritti umani «l’accento è stato messo sull’emancipazione dei giovani e delle donne». Alla riunione erano presenti sia Panzeri e due parlamentari del suo gruppo, Maria Arena ed Eva Kaili, sia Abderrahim Atmoun, il funzionario marocchino che oggi è accusato dalla procura federale belga di avere avuto un ruolo centrale nello sviluppo della presunta rete di corruzione al Parlamento Europeo.
Pochi mesi dopo Panzeri ospitò nella sottocommissione del Parlamento europeo per i diritti dell’uomo, che in quel momento presiedeva, una presentazione di Driss El Yazami, funzionario del governo marocchino che si occupa di diritti umani, che parlò degli sforzi del Marocco nel migliorare la propria legislazione su questo tema. Panzeri ne diede conto anche sul proprio account di Twitter.
Oggi a @EP_HumanRights abbiamo ascoltato @DrissElyazami presidente del consiglio nazionale per i #dirittiumani del Marocco@TheProgressives @liberi_uguali pic.twitter.com/BHjeeT0Skj
— Pier Antonio Panzeri (@AntonioPanzeri) May 15, 2018
A luglio del 2018 poi i membri marocchini del gruppo bilaterale Parlamento Europeo-parlamento marocchino (EU-Morocco JPC), che esiste ancora oggi, celebrarono il fatto che durante un dibattito al Parlamento Europeo fu respinto un emendamento dei Verdi (si può leggere qui, è il numero 137) che chiedeva di riconoscere ufficialmente il «diritto all’autodeterminazione del popolo Sahrawi». I membri marocchini dell’EU-Morocco JPC fecero sapere a un sito di news marocchino che «il respingimento di questo emendamento ostile al Marocco è il risultato degli incessanti sforzi parlamentari e diplomatici» portati avanti dal Marocco.
In tutta questa storia c’è comunque da tenere a mente una cosa. Per un parlamentare europeo è normale prendersi a cuore certe cause, soprattutto su questioni di politica estera. «Esistono parlamentari che esprimono posizioni a favore di Israele, altri a favore della Palestina, ma da fuori uno le considera scelte politiche», spiega Corrao. «Per quanto riguarda Panzeri non ho mai avuto modo di pensare che dietro alla politica ci fosse altro». Al momento non c’è alcuna prova che Panzeri abbia preso soldi dal Marocco durante il suo mandato, e siamo molto lontani anche solo da un processo: la procura belga ha compiuto i primi arresti per questo caso meno di due settimane fa.
Ci sono ancora meno tracce di un legame fra Panzeri e il Qatar, l’altro paese che secondo la procura federale belga lo avrebbe corrotto.
Nel suo profilo Twitter si vedono foto e racconti di viaggi istituzionali in Qatar, e di un invito al Parlamento Europeo, sempre nel 2018 e sempre all’interno della sottocommissione per i diritti dell’uomo, di un importante funzionario qatarino che si occupa di diritti umani. Tutte cose riconducibili a una normale dinamica di lavoro parlamentare.
Oggi a @EP_HumanRights con Ali Bin Samikh Al Marri, presidente Comitato nazionale per i diritti umani del #Qatar. Nel Paese c’è ancora molto da fare in materia, ma ci sono le condizioni per proseguire un dialogo bilaterale volto al’implementazione dei #dirittiumani @liberi_uguali pic.twitter.com/5DRo3kaf0M
— Pier Antonio Panzeri (@AntonioPanzeri) April 26, 2018
Così come rimane assoluta prerogativa del presidente della sottocommissione per i diritti dell’uomo chiedere che nelle sessioni plenarie del Parlamento Europeo si discutano risoluzioni urgenti sul rispetto dei diritti umani in certi paesi. Durante la presidenza Panzeri in plenaria si sono discusse varie risoluzioni di condanna per paesi nemici del Qatar: Emirati Arabi Uniti, Bahrein, Arabia Saudita, Kuwait. Nessuna risoluzione di questo tipo è stata avanzata contro il Qatar. Ma anche questo dettaglio potrebbe rientrare in una dinamica di vicinanza politica, e nient’altro.