Il Qatar ce l’ha fatta
Nonostante certe premesse, i Mondiali di calcio sono stati un successo per il paese che li ha organizzati, e fino a poche settimane fa non era affatto scontato
Ai Mondiali di calcio in Qatar la nazionale del Qatar è andata malissimo. Qualificata di diritto in quanto squadra del paese ospitante, ha segnato solo un gol e perso le tre partite che ha giocato, senza mai dare l’impressione di potersi anche solo avvicinare a una vittoria, davanti a spettatori qatarioti che talvolta lasciavano gli stadi prima che finissero le partite. Ciononostante, per il Qatar i Mondiali di calcio sono stati un grande successo, una cosa che anche solo fino a poche settimane fa non era per niente scontata.
Da quando nel 2010 la FIFA, l’organo che governa il calcio mondiale, assegnò questi Mondiali al Qatar, si è scritto e parlato molto di tutti i problemi legati all’assegnazione. Il Qatar è infatti un paese piccolissimo e senza alcuna rilevante tradizione calcistica, che oltretutto ha un altro grande problema dal punto di vista sportivo: in estate fa troppo caldo per far giocare un Mondiale, che quindi è stato spostato per la prima volta nella storia nell’inverno dell’emisfero boreale. Soprattutto, la candidatura del Qatar si è portata dietro forti sospetti di corruzione e molti problemi legati a questioni di sostenibilità ambientale; uno dei temi più grossi è stato comunque il sistematico sfruttamento di molti lavoratori stranieri e in generale il non rispetto dei diritti umani nel paese.
Come ha fatto notare il New York Times, «è difficile pensare che nei prossimi anni la FIFA possa trovare un paese ospitante più improbabile del Qatar», che quando fu scelto era tra i paesi meno attrezzati per organizzare un torneo come i Mondiali di calcio. Con una spesa complessiva non inferiore ai 220 miliardi di euro, il Qatar ha costruito però tutte le infrastrutture necessarie, oltre a sette stadi fatti apposta per il torneo, dicendo che dopo la finale più di uno sarebbe stato smantellato e ricostruito altrove, finora senza dare però maggiori informazioni sul come o sul quando questo sarà fatto.
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Con l’avvicinarsi dei Mondiali, la cui prima partita è stata il 20 novembre, le critiche, le inchieste, le prese di posizione e gli inviti a boicottare l’evento si erano fatti più frequenti. I tentativi di difendere il Qatar erano rari e spesso basati perlopiù sul fatto che già in passato Mondiali e Olimpiadi erano stati ospitati in altri paesi più o meno problematici.
Anche dopo le prime partite gli argomenti extracalcistici erano stati molti e la generale attenzione nei loro riguardi spesso alta. Si era parlato per esempio del divieto all’uso di fasce arcobaleno da parte dei capitani e della conseguente protesta dei calciatori della Germania, degli scadenti alloggi per tifosi, del divieto (deciso solo all’ultimo) alla vendita di alcolici negli stadi, di quelli che sembravano tifosi delle nazionali straniere in Qatar ma che qualcuno ipotizzò fossero figuranti pagati dal paese ospitante.
Con il passare dei giorni però il calcio e i discorsi sul calcio si sono presi sempre più spazio. Secondo il Financial Times – che negli ultimi mesi ha dedicato molte attenzioni, non solo sportive, ai Mondiali in Qatar – si può persino trovare un momento da prima-e-dopo. Quel momento sarebbe stata la vittoria, il 22 novembre, dell’Arabia Saudita contro la favoritissima Argentina di Lionel Messi, una partita che ha offerto «qualcosa di nuovo di cui parlare».
Alla sorpresa per la sconfitta dell’Argentina si è poi aggiunta quella per altri risultati inaspettati, che hanno contribuito a spostare l’attenzione di quasi tutti su temi calcistici: l’eliminazione della Germania, la vittoria del Giappone contro la Spagna, la sconfitta del Brasile di Neymar e quella del Portogallo di Cristiano Ronaldo ai quarti di finale, e soprattutto l’avanzamento del Marocco fino alla semifinale contro la Francia.
Ai Mondiali, ovviamente, ci sono sempre risultati poco attesi: è difficile che tutti rispecchino sempre le previsioni precedenti alle gare. In Qatar però situazioni di questo tipo sono state più numerose e interessanti della norma, diciamo così, con molte partite in equilibro fino alla fine, con più gol che in ogni altra edizione, con tanti supplementari e con molte conclusioni ai calci di rigore. Inoltre, il fatto che per i calciatori questo fosse un intermezzo e non la fine della loro stagione calcistica sembra aver fatto bene al livello generale di intensità e qualità di gioco.
Non solo si è parlato sempre più di calcio, col passare dei giorni quel calcio è stato sempre più apprezzato. E questi Mondiali sono quasi di certo destinati a diventare i più seguiti di sempre, nel mondo.
Il tutto con una finale di cui molti hanno parlato come della migliore nella storia dei Mondiali, con tre gol (più uno ai rigori finali) del francese Kylian Mbappé e due gol (più uno ai rigori finali) di Messi: due calciatori compagni di squadra al Paris Saint-Germain, la squadra ammiraglia delle ambizioni sportive e politiche del Qatar, che quando giocano con il proprio club hanno scritto Qatar anche sul petto, nello sponsor Qatar Airways. La finale è stata inoltre trasmessa in molti paesi da beIN Sports, network televisivo controllato da una società qatariota il cui presidente è Nasser al Khelaifi, il proprietario del Paris Saint-Germain, e si è conclusa con Messi ad alzare la coppa mentre indossava il bisht, un mantello cerimoniale tipico della cultura araba.
Prima, durante e subito dopo, in molti hanno parlato di questi Mondiali come di un evento con cui il Qatar voleva fare “sportwashing”, usando cioè lo sport per ripulirsi l’immagine, cosa che fanno per esempio aziende inquinanti cercando di associarsi a squadre o atleti per cui la gente faccia invece il tifo. L’immagine del paese è ulteriormente messa in discussione a causa dello scandalo di corruzione nel Parlamento europeo, le cui indagini stanno proseguendo.
Nonostante i Mondiali abbiano permesso a molte persone di venire a conoscenza delle violazioni dei diritti umani compiute sistematicamente in Qatar, oggi molti osservatori ritengono che per il paese il torneo sia stato un successo: «Il Qatar ha avuto i Mondiali che voleva», ha scritto sul New York Times il giornalista Tariq Panja. «Il Qatar ha vinto», ha titolato l’Atlantic.
Il fatto è che, più che farsi bello e invitante agli occhi del mondo, il Qatar voleva mostrarsi potente ed efficace, capace di farsi trovare pronto a gestire un grande evento, tra l’altro senza rilevanti problemi di sicurezza fuori e dentro gli stadi. In altre parole, l’obiettivo non era accrescere per un mese il turismo; era manifestare quello che spesso si definisce “soft power”, inteso come la capacità di ottenere rilevanza e influenza senza usare la forza o la minaccia della forza.
Già prima dell’inizio dei Mondiali, Barney Ronay, caporedattore sportivo del Guardian, aveva parlato dell’evento come di una «ingente operazione di sicurezza geopolitica». Alla fine del torneo, sempre Ronay ha scritto che i Mondiali sono stati «costosissimi, inquinantissimi, macchiati di sangue e con pesanti ombre di corruzione» ma che «per il paese ospitante questo controllato gioco di potere non sarebbe potuto andare molto meglio di così».
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