Il Tribunale costituzionale spagnolo non vuole farsi riformare
O meglio, non lo vogliono i giudici conservatori del Tribunale, che stanno facendo ostruzionismo assieme alle opposizioni
I giudici in maggioranza conservatori che compongono il Tribunale costituzionale spagnolo, l’equivalente della nostra Corte costituzionale, hanno bloccato una proposta di legge che li riguardava direttamente e che è discussa da settimane in parlamento. Si tratta di una riforma molto importante che dovrebbe rinnovare il sistema delle nomine dei giudici dello stesso Tribunale, già da tempo ritenuto controverso. La proposta di legge dovrebbe anche risolvere una situazione che è bloccata da giugno, quando è terminato il mandato di quattro giudici del Tribunale, tre dei quali di orientamento conservatore: da allora, infatti, non è stato trovato un accordo per rinnovare le cariche scadute, nonostante la volontà del governo Socialista di procedere alle nomine e favorire così un cambio dell’intero orientamento del Tribunale, da conservatore a progressista.
Il ricorso con cui il Tribunale costituzionale ha fermato l’approvazione della proposta di legge, sostenuta dal governo socialista di Pedro Sánchez, era stato presentato dal Partito popolare (PP, il principale partito di centrodestra): è stato approvato da sei giudici conservatori, mentre cinque giudici progressisti si sono opposti.
La decisione del Tribunale è stata commentata duramente da Sánchez, promotore della riforma, che ha parlato di una decisione «senza precedenti» nella storia democratica della Spagna: un Tribunale a maggioranza conservatrice ha accolto un ricorso di un partito conservatore contro una legge della maggioranza, progressista. Sánchez ha detto che l’obiettivo del PP era «mantenere la vecchia composizione del Tribunale, più favorevole alle sue politiche». Ha poi aggiunto che rispetterà quanto deciso dallo stesso Tribunale, ma anche che il suo governo risponderà in modo «fermo».
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La prassi politica spagnola prevede che al governo in carica sia concesso il diritto di nominare una parte dei giudici quando scade il loro mandato, con il benestare dell’opposizione. Attualmente, degli 11 giudici del Tribunale costituzionale (11 più il presidente), cinque sono di nomina progressista e sei di nomina conservatrice. Il mandato di quattro giudici era scaduto a giugno, e dovevano essere fatte nuove nomine entro la metà di settembre, ma così non è successo. La mancata collaborazione dell’opposizione ha infatti fatto inceppare il meccanismo, ha messo il Tribunale in una posizione complicata e allo stesso tempo ha dato l’opportunità al PP, al partito di estrema destra Vox e ai giudici conservatori dello stesso Tribunale di fare ostruzionismo per il rinnovo delle nomine.
Dei quattro giudici costituzionali il cui mandato è scaduto infatti, due dovrebbero essere nominati dal governo, e due dovrebbero essere nominati dal Consiglio generale del potere giudiziario (CGPJ nell’acronimo spagnolo), che è l’organo di garanzia della magistratura e la cui maggioranza è fedele ai conservatori. Il CGPJ si è di fatto rifiutato di procedere con le sue nomine, bloccando il rinnovo del Tribunale. Dei 20 membri che compongono il CGPJ, otto sono di nomina parlamentare, e il governo avrebbe potuto cambiarli per modificare l’orientamento del Consiglio: ma è necessario che i tre quinti del parlamento approvino i nuovi candidati per poterli rinnovare. Al momento quindi è necessario anche il voto del PP.
L’opposizione conservatrice ha dunque potuto contare, finora, sulla maggioranza nel CGPJ, sulla maggioranza nel Tribunale costituzionale e sul potere di veto per bloccare le nuove nomine di entrambi gli organi in parlamento.
Dopo mesi di trattative e di scontri, nelle ultime settimane il governo Sánchez aveva deciso di forzare la situazione e aveva presentato una proposta di legge: prevedeva che non fossero più necessari i tre quinti del parlamento per nominare nuovi membri del CGPJ, ma che fosse sufficiente una maggioranza semplice. Inoltre, la proposta rimuoveva la necessità che i membri in carica del Tribunale costituzionale approvassero i nuovi membri come condizione per il loro ingresso (cosa che bloccava ulteriormente le nomine del governo).
Gli emendamenti di proposta di riforma del sistema giudiziario erano stati però accorpati dal governo ad altre proposte non attinenti, alcune delle quali avrebbero avvantaggiato gli indipendentisti catalani accusati di sedizione e ribellione dopo l’organizzazione del referendum del 2017. Facendo leva su questo il PP, contrario a ogni forma di clemenza e pacificazione nei confronti dell’indipendentismo catalano, aveva presentato un ricorso al Tribunale costituzionale contro la proposta dei Socialisti. Nel frattempo, la Camera dei deputati aveva fatto in tempo ad approvarla e il testo sarebbe dovuto passare al Senato per la discussione e l’approvazione definitiva domani, giovedì 22 dicembre.
Ma lunedì è arrivata la decisione del Tribunale costituzionale che ha accolto il ricorso del PP e ha di fatto impedito il proseguimento della discussione parlamentare.
Mentre sui giornali spagnoli si moltiplicavano le analisi di giuristi e esperti sulla legittimità e le conseguenze della decisione del Tribunale, diversi politici di maggioranza ne hanno commentato con toni molto decisi il significato politico. Ione Belarra Urteaga, segretaria di Podemos, uno dei partiti della coalizione di maggioranza, ha detto che «la destra politica e giudiziaria» stava portando avanti «un colpo di stato senza precedenti contro la democrazia».
Martedì il governo ha attivato un piano alternativo. Citando fonti parlamentari socialiste, i principali giornali spagnoli scrivono che sono già iniziate le trattative con le varie componenti della coalizione per poter presentare al più presto al Congresso un nuovo disegno di legge che, sostanzialmente, recupererà gli emendamenti sulla riforma delle nomine dei giudici incorporati nella precedente e più ampia riforma sospesa dal Tribunale. Secondo quanto anticipato nelle ultime ore, stavolta le proposte saranno promosse dai gruppi parlamentari, e non presentate direttamente dal governo, in modo da essere gestite in modo più rapido e senza la necessità, ad esempio, di relazioni preliminari da parte degli organi consultivi.
La recente decisione del Tribunale costituzionale è solo l’ultima tappa della grave crisi politica che attraversa la politica spagnola, che contrappone la coalizione che sostiene Pedro Sánchez e la destra, e che secondo alcuni politici non è risolvibile se non con delle elezioni anticipate. Martedì elezioni anticipate sono state ad esempio chieste da due politici molto distanti tra loro, Alberto Núñez Feijóo del PP e Pablo Iglesias di Podemos.
In Spagna le elezioni generali si dovrebbero tenere nel dicembre del prossimo anno, mentre a maggio si terranno le amministrative, considerate una prova per la coalizione al governo. Per ora, i sondaggi non sono molto buoni per Sánchez: dicono infatti che il PP otterrebbe il maggior numero di seggi. Se i dati venissero confermati, il PP dovrebbe però contare sul sostegno del partito di estrema destra Vox per riuscire a formare un governo.