Oscurare il Sole contro il riscaldamento globale è una buona idea?
La geoingegneria solare sta attirando ricerche e interessi, ma molti esperti la ritengono rischiosa e controproducente
Nel 1816 fece più freddo del solito in buona parte del pianeta. Ci furono carestie a causa dei raccolti più scarsi e in molte parti del mondo fu osservata per mesi una persistente foschia, che oscurò parzialmente il Sole. Fu definito in seguito “l’anno senza estate”, e si stima che la temperatura media globale fu di circa 0,7 °C inferiore al solito.
Secondo storici e scienziati, tra le cause del rapido raffreddamento della Terra ci fu la gigantesca eruzione del vulcano Tambora nell’odierna Indonesia, che nell’aprile del 1815 aveva portato all’emissione di grandi quantità di polveri e gas nell’atmosfera. Per mesi questo strato di sostanze sospese nell’aria aveva schermato parte dei raggi solari, facendo sì che la temperatura media del nostro pianeta si riducesse sensibilmente. A distanza di quasi due secoli, alcuni propongono di ottenere un effetto simile a quello che si verificò con il Tambora: non per causare carestie, ma per ridurre gli effetti del riscaldamento globale.
La geoingegneria solare consiste nel modificare temporaneamente la capacità dell’atmosfera di riflettere i raggi solari, in modo che ne respinga una maggiore quantità nello Spazio rispetto a quanto fa già di solito, riducendo la radiazione solare che riesce a raggiungere il suolo. L’idea in sé è relativamente semplice, ma ottenere questo risultato richiede grandi investimenti e un ampio consenso internazionale, visto che ogni paese dovrebbe autorizzare l’oscuramento. Per i più ottimisti è la soluzione ideale per riportare ai giusti valori la temperatura media globale, mentre per i più scettici è un progetto rischioso non solo per gli esiti sul clima terrestre, ma anche per le relazioni internazionali tra i principali paesi del mondo.
Per quanto possa apparire fantascientifica, l’idea di oscurare il Sole non è recente ed è dibattuta da tempo, per lo meno a livello teorico. Nei primi anni Settanta il sovietico Mikhail Budyko, considerato tra i fondatori della climatologia moderna, segnalò che se il riscaldamento globale fosse diventato una seria minaccia si sarebbe potuto contrastarlo immettendo solfuri ad alta quota, in modo da riflettere parte della radiazione solare. Nel 1992 la possibilità di ricorrere alla geoingegneria solare fu compresa in uno dei rapporti delle National Academies degli Stati Uniti, ma solo dopo uno studio pubblicato nel 2006 dal premio Nobel per la chimica Paul Crutzen l’argomento diventò più discusso e furono avviati alcuni specifici progetti di ricerca.
A oggi, la maggior parte degli studi ha riguardato l’impiego di modelli matematici e simulazioni al computer, senza particolari sperimentazioni sul campo o su larga scala per valutare la fattibilità e l’efficacia della geoingegneria solare. I progetti di ricerca sono stati finanziati con l’equivalente di poche decine di milioni di euro all’anno e molte istituzioni hanno faticato a portare avanti gli studi o a effettuare i test necessari.
Lo scorso anno l’Università di Harvard (Stati Uniti) aveva in programma un progetto per sperimentare l’immissione di solfuri e altre sostanze da effettuare nel nord della Svezia. Il primo test prevedeva di provare il sistema senza immettere qualcosa nell’atmosfera, ma il gruppo di ricerca fu costretto a bloccarlo dopo una petizione dei sami, la popolazione indigena che vive nella regione della Lapponia. I rappresentanti dei sami accusarono di non essere stati consultati a sufficienza e di ritenere rischiosa la geoingegneria solare, in mancanza di specifiche garanzie sui suoi obiettivi e più in generale sul suo impatto sull’ambiente.
Il gruppo di ricerca di Harvard lavora a varie soluzioni, a cominciare dalla possibilità di impiegare palloni sonda in grado di raggiungere i 20mila metri di altitudine, circa il doppio rispetto alla quota a cui vola la maggior parte degli aerei di linea, per disperdere nell’atmosfera le sostanze che riflettano i raggi solari. Altri ipotizzano di utilizzare aerei in grado di volare ad alta quota e di disperdere sostanze simili a quelle emesse nelle eruzioni vulcaniche, come i solfati. Questi aerei dovrebbero volare di continuo coprendo grandi porzioni di territorio, con un costo stimato da alcuni modelli tra i 5 e i 10 miliardi di dollari ogni anno.
Chi lavora allo sviluppo di questi sistemi ritiene che con un uso continuativo si potrebbe limitare il riscaldamento globale ampiamente entro gli 1,5 °C di aumento della temperatura media planetaria rispetto ai livelli preindustriali. Questo limite, compreso negli accordi di Parigi sul clima, è ritenuto una soglia importante per evitare che si verifichino le conseguenze più gravi e devastanti del cambiamento climatico.
I potenziali effetti della geoingegneria solare sono stati compresi in uno dei rapporti del Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico (IPCC) delle Nazioni Unite, secondo cui il sistema potrebbe in effetti contribuire a rallentare o invertire il riscaldamento globale, ma con molte altre conseguenze difficili da prevedere. Una minore insolazione porterebbe a ulteriori cambiamenti del clima a livello regionale, modificando l’andamento dei periodi piovosi e secchi in varie aree del mondo, con potenziali conseguenze per l’agricoltura e più in generale per la produzione di cibo. Ma potrebbero esserci effetti ancora più gravi.
Simulazioni e modelli matematici consentono di farsi un’idea, per quanto approssimativa, di che cosa accadrebbe nei primi periodi di oscuramento parziale del Sole, mentre non offrono grandi prospettive sulle conseguenze nel medio-lungo periodo. Secondo alcuni esperti, se iniziassimo a immettere su larga scala grandi quantità di sostanze nell’atmosfera, potremmo poi essere costretti a continuare a farlo per sempre, o almeno fino all’invenzione di qualche altra soluzione. Come segnala quel rapporto dell’IPCC, una rapida interruzione della geoingegneria solare in uno scenario in cui si è comunque continuata a produrre molta anidride carbonica (CO2, il principale gas serra) potrebbe portare a ulteriori e repentini cambiamenti del clima.
La geoingegneria solare non risolverebbe infatti il problema dei problemi legati al riscaldamento globale, e cioè l’immissione di enormi quantità di anidride carbonica e altri gas serra nell’atmosfera, a causa delle attività umane. Non è un sistema per rimuovere queste sostanze e secondo alcuni osservatori potrebbe favorire indirettamente un loro aumento: a fronte di una stabilizzazione della temperatura media globale, i paesi che ne producono di più potrebbero sentirsi incentivati a continuare come prima, senza introdurre ulteriori limitazioni per risolvere alla radice il problema, interrompendo il consumo di grandi quantità di combustibili fossili da bruciare per produrre energia.
Questa è una delle più grandi obiezioni e preoccupazioni intorno alla geoingegneria solare, se venisse impiegata come soluzione alternativa al riscaldamento globale. La permanenza di anidride carbonica nell’atmosfera, o un suo eventuale aumento, avrebbe inoltre gravi effetti sugli ecosistemi a partire da quelli marini. L’acidificazione degli oceani, cioè il processo per cui le acque oceaniche aumentano la loro acidità a causa dell’assorbimento della CO2, non verrebbe in alcun modo arrestata, e anzi potrebbe amplificarsi ancora di più se si continuassero a immettere grandi quantità di anidride carbonica nell’atmosfera.
I problemi e le incognite da un punto di vista prettamente scientifico sono comunque solo una parte delle difficoltà intorno alla geoingegneria solare. Un progetto per propria natura globale avrebbe bisogno di essere svolto con il consenso di buona parte dei paesi del mondo, idealmente tutti. Se il sistema fosse applicato in autonomia da un solo governo, nel tentativo di ottenere qualche beneficio per lo meno a livello regionale, ci potrebbero essere comunque ripercussioni per altri paesi.
L’India potrebbe decidere di iniziare a schermare parzialmente il Sole nel proprio territorio, modificando l’andamento del monsone con ripercussioni per i paesi confinanti a cominciare dal Pakistan. In questo scenario, due potenze nucleari che già normalmente non vanno molto d’accordo si ritroverebbero in un serio contenzioso con grandi interessi economici e geopolitici da gestire. Lo stesso potrebbe accadere se fosse la Cina a seguire la strada della geoingegneria solare, causando piogge più ricorrenti e copiose sulla confinante India. Scenari simili si potrebbero verificare in molte altre aree del mondo, considerato che nell’atmosfera non esistono confini e le sostanze diffuse tenderebbero nel tempo a spostarsi, finendo inevitabilmente nei cieli sopra altri paesi.
Come ha segnalato il New Yorker in un lungo articolo dedicato alla questione, vari trattati internazionali vietano il ricorso a sistemi per cambiare le condizioni meteorologiche o climatiche come strumento di guerra, ma non offrono particolari garanzie per ridurre il rischio di conflitti legati a sistemi su grande scala come la geoingegneria solare. A inizio anno un documento via via sottoscritto da centinaia di esperti ha proposto una moratoria sull’impiego di questi sistemi perché non esistono organismi internazionali adeguati per occuparsene, né prospettive perché ne possano essere realizzati in tempi ragionevoli. I paesi più grandi e ricchi potrebbero decidere escludendo quelli più poveri, che già devono fare i conti con le conseguenze di decenni di emissioni nocive nell’atmosfera di cui sono stati solo in parte responsabili.
Di geoingegneria solare si continua comunque a discutere molto, in parte a causa del crescente interesse da parte delle industrie petrolifere, che vedono in questo sistema un possibile modo per prendere tempo e assicurarsi che le nostre società rimangano dipendenti dai combustibili fossili il più a lungo possibile. Si stima che circa il 90 per cento del carbone e il 60 per cento del petrolio e del gas naturale dei giacimenti noti non debba essere impiegato, se vogliamo mantenere almeno il 50 per cento delle probabilità di non superare gli 1,5 °C di aumento della temperatura media globale, rispetto al periodo preindustriale. Le società del settore dovrebbero quindi rinunciare a gigantesche possibilità di ricavo e per questo, fallita la strategia del negazionismo climatico, iniziano a guardare all’oscuramento parziale del Sole come a una valida alternativa per continuare a produrre e vendere combustibili fossili.
È probabile che nei prossimi anni alcune delle aziende più grandi, o dei gruppi di interesse che le rappresentano nelle istituzioni, incentivino con convinzione la ricerca e lo sviluppo della geoingegneria solare. Davanti alla prospettiva di dover ripensare interi aspetti delle nostre società, offriranno un’alternativa per rispondere da subito a un’emergenza che hanno contribuito a creare, sostenendo la necessità di agire velocemente e di pensare in un secondo momento alla riduzione delle emissioni nell’atmosfera. Considerate le grandi incertezze, è un rischio che molti analisti ed esperti vorrebbero scongiurare e che dal loro punto di vista giustifica petizioni e altre iniziative per escludere l’oscuramento parziale del Sole dalle strategie per affrontare il riscaldamento globale.
I gruppi di interesse intorno ai combustibili fossili hanno sostenuto per anni che non sarebbe stato possibile avere fonti di energia economiche e pratiche quanto il carbone, il petrolio e il gas. In realtà, già da qualche anno il prezzo dei combustibili fossili è tornato a crescere sensibilmente, mentre quello dei sistemi per ottenere energia dal Sole e dal vento si è ridotto di molto. La produzione di energia dalle cosiddette fonti rinnovabili è sempre meno costosa e sta portando il settore a ingrandirsi, diventando più concorrenziale nei confronti della parte del settore energetico legata ai combustibili fossili. Per questo i più scettici sulla geoingegneria solare ritengono che i maggiori sforzi dovrebbero essere concentrati sulle rinnovabili, con tecnologie ormai sperimentate e affidabili, rispetto a un sistema finora solo teorizzato e che costituirebbe un nuovo rischioso azzardo.