Le autostrade italiane sono fatte così anche per scelte politiche
Democristiani ma non solo influenzarono più o meno esplicitamente i tracciati delle strade che percorriamo ogni giorno
Il weekend natalizio sta arrivando, e di conseguenza stanno per iniziare gli spostamenti in auto di molte persone che vivono lontano dalla famiglia di origine. Percorrendo le autostrade d’Italia, raramente ci si interroga davvero sul perché passino in determinati territori e facciano certe traiettorie: anche se spesso la risposta è perché devono arrivare nelle città più popolose o aggirare ostacoli naturali, ci sono anche diversi casi in cui a deciderlo è stata la politica, seguendo logiche ben diverse.
Nella cosiddetta Prima repubblica la classe politica aveva una spiccata attenzione per i collegi elettorali di riferimento, principalmente perché i seggi in Parlamento erano attribuiti anche sulla base delle preferenze, cioè sui nomi dei candidati scritti dagli elettori sulle schede. Quest’attenzione poteva facilmente sfociare nel clientelismo: ossia la pratica di garantirsi il voto di determinati bacini elettorali in cambio di un trattamento di favore. Poteva essere esercitato su molti livelli diversi, dal particolarissimo – trovare lavoro a una persona – al generale, come per esempio influenzare il percorso di un intero tratto autostradale, come avvenne in alcuni degli esempi raccolti di recente dal giornalista Stefano Mentana.
Ancora oggi le grandi opere pubbliche vengono realizzate sulla base di un insieme di interessi pubblici e privati, ma nei decenni passati l’intreccio tra i due era difficile da districare, specie quando l’interesse privato era quello di un singolo esponente politico molto potente. Nella maggior parte dei casi non furono interventi rivendicati pubblicamente o esplicitamente, anzi, ma erano comunque una cosa abbastanza nota, sia a livello locale che nazionale.
L’esempio probabilmente più emblematico è il tracciato che l’Autostrada del Sole (A1), la più importante e lunga d’Italia, compie verso Arezzo. Guardando la mappa, si nota come dopo Firenze la strada viri verso est in quella che molto didascalicamente fu soprannominata “Curva Fanfani”. Amintore Fanfani fu uno dei leader più importanti della Democrazia Cristiana, sei volte presidente del Consiglio, ed era originario di Pieve Santo Stefano, in provincia – esatto – di Arezzo.
L’A1 fu costruita tra il 1956 e il 1964, gli anni in cui Fanfani era all’apice del suo potere. Fin dagli anni Sessanta si diffuse la leggenda secondo cui Fanfani avesse dirottato personalmente il tragitto dell’autostrada, disegnando un tratto rosso sulla mappa del progetto. Nel 2014 Famiglia Cristiana intervistò Alessandro Cova, figlio di Fedele Cova, l’ingegnere a capo di Società Autostrade che coordinò i lavori. Cova confermò che l’intervento di Fanfani ci fu, e che fu anche piuttosto deciso. Il progetto originario prevedeva che il tracciato, dopo Firenze, puntasse dritto verso Roma senza troppe deviazioni, raccontò Cova, «ma Fanfani ci teneva tanto e mio padre, solo quella volta, non poté dire di no».
La Democrazia Cristiana era l’esatto contrario dei partiti personali della politica di oggi. Il segretario aveva un potere molto relativo, e Fanfani non era di certo l’unico leader in grado di influenzare la direzione di una strada, o di spingere affinché ne venisse costruita una. C’è il caso per esempio della A31, un breve tratto autostradale che collega le province venete di Rovigo, Padova e Vicenza. Il tratto in uso fu costruito negli anni Settanta, voluto fortemente da tre democristiani, Flaminio Piccoli, Mariano Rumor e Antonio Bisaglia: il primo era trentino, il secondo vicentino e il terzo rodigino.
Visto il coinvolgimento dei tre politici, l’autostrada venne subito soprannominata “PiRuBi” dalle sillabe iniziali dei loro cognomi. Oggi è chiamata Autostrada della Val d’Astico.
Spostandoci di molti chilometri più a sud, si trova un altro eclatante esempio di come un singolo politico potesse determinare il percorso di un’autostrada. Avellino, in Campania, per secoli è stata mal collegata e un po’ isolata dalle città circostanti. Le cose cambiarono con Fiorentino Sullo, l’esponente più potente della DC in Irpinia prima dell’ascesa di Ciriaco De Mita. Se l’Autostrada A16, che collega il Tirreno con l’Adriatico, è fatta così lo si deve all’intervento di Sullo, che nei primi anni Sessanta era ministro dei Lavori pubblici, un ruolo perfetto per esercitare la propria influenza sulle opere pubbliche.
Sullo fece cambiare il percorso della A16 spostandolo da Benevento (snodo stradale fin dai tempi dell’antica Roma) ad Avellino. La deviazione fu una specie di rompicapo per gli ingegneri, e in effetti percorrendola non si ha l’impressione di una strada particolarmente agevole, per via dei numerosi dislivelli.
Un altro problema politico da risolvere ci fu quando si dovette progettare il collegamento autostradale di Roma con la costa adriatica, alla fine degli anni Sessanta. Stavolta i politici che volevano far valere la propria influenza erano due, Paolo Natali, aquilano, e Remo Gaspari, originario della provincia di Chieti. Il primo spingeva per un tracciato diretto verso l’Adriatico e passante per l’Aquila, il secondo avrebbe preferito una soluzione che comprendesse anche il tratto di mare più meridionale, cioè quello pescarese, non lontano da Chieti.
Vennero accontentati entrambi. Oggi l’A24, da Roma, arriva a Teramo passando per l’Aquila. Prima però, al confine tra Lazio e Abruzzo, si dirama e diventa A25, che prosegue verso Chieti e Pescara.
Qualcosa di simile successe con il tratto calabrese della A2, la famigerata Salerno-Reggio Calabria. Entrando in Calabria, la strada compie un tortuoso percorso verso Cosenza, tra montagne e valli, decisamente meno agevole della fascia costiera, dove peraltro passa la ferrovia. Quel percorso fu voluto dal cosentino Giacomo Mancini, socialista, ministro dei Lavori pubblici tra il 1964 e il 1968. L’alleato di Mancini per “spostare” l’autostrada fu Riccardo Misasi, democristiano e cosentino anche lui.
In Piemonte un esempio noto di questo tipo riguarda l’A26 che oggi congiunge Genova Voltri e Gravellona Toce, nel Verbano-Cusio-Ossola. Chi la percorre spesso sa che a un certo punto l’autostrada passa da Gattico, fino al 2018 un comune autonomo di tremila abitanti, in provincia di Novara. Questo passaggio in una zona apparentemente poco frequentata fu voluto dal socialdemocratico Franco Nicolazzi, nativo proprio di Gattico e ministro dei Lavori pubblici alla fine degli anni Settanta.
Ci sono poi altri esempi che non riguardano strettamente la rete autostradale, considerati però alla stregua di leggende.
All’inizio degli anni Settanta a Roma venne realizzata la Cassia bis con lo scopo di alleggerire il traffico sulla Cassia, l’antica strada romana che da Roma va verso nord. L’innesto con la strada principale avviene in località “Le Rughe”, dove l’allora presidente della Repubblica Giovanni Leone possedeva una grande villa. Per questo, Leone fu accusato di aver persino ordinato la costruzione dell’intera strada a uso personale, accusa che si unì alle molte altre che ricevette durante il suo mandato e che alla fine lo spinsero a dimettersi con sei mesi di anticipo.
Successe qualcosa di simile anche a Renato Brunetta quando venne inaugurata un’uscita dell’autostrada A3. Brunetta nel 2008 comprò casa a Ravello, sulla costiera amalfitana, e dal 2011 al 2014 fu presidente della fondazione culturale della città. Nel 2013 fu accusato dai partiti locali di centrosinistra di aver esercitato la sua influenza da parlamentare ed ex ministro per far arrivare alla fondazione più finanziamenti dalla regione. Oltre a questa accusa, però, gli fu anche attribuita la velocità con cui venne aperto il casello Angri Sud, che porta più rapidamente proprio a Ravello. Brunetta negò tutte le accuse.