Cosa significa questo Mondiale per l’Argentina
Per Messi la consacrazione, per il paese un momento di respiro, per il calcio locale una grandissima opportunità
Il percorso dell’Argentina in questi Mondiali di calcio potrebbe essere raccontato in un film senza necessità di romanzare o aggiungere elementi di finzione. Nel mese trascorso tra la prima partita e la spettacolare finale di domenica, all’Argentina è capitato davvero di tutto.
Per cominciare, la sorprendente sconfitta all’esordio contro l’Arabia Saudita, una delle nazionali meno considerate del torneo. Poi la vittoria sofferta in una partita già decisiva contro il Messico, a cui è seguita quella più rassicurante contro la Polonia, con il conseguente passaggio agli ottavi di finale come prima classificata del suo girone.
Agli ottavi contro l’Australia una partita controllata a lungo aveva rischiato di sfuggire negli ultimi dieci minuti. Lo stesso è poi capitato ai quarti, dove l’Olanda stava quasi per riuscire a completare una rimonta fino a poco prima considerata impensabile, che però si è fermata ai rigori. In semifinale la partita sulla carta più difficile è stata quella che ha dato più certezze in vista della finale contro la Francia campione in carica.
Per l’Argentina allenata da Lionel Scaloni nulla è stato facile, anzi: ha dovuto meritarsi la Coppa del Mondo fino all’ultimo secondo di gioco possibile, senza sconti. Tutto questo è successo in un paese lontanissimo dall’Argentina, dove il pubblico argentino è stato però uno dei più numerosi e appassionati: già prima dell’inizio credeva molto nella vittoria, come dimostra la canzone diventata poi coro e inno ufficioso del torneo.
Una serie di avvenimenti e coincidenze pregressi aveva diffuso una certa fiducia tra i tifosi, ancor più che nelle precedenti edizioni, in cui l’Argentina era sempre partita tra le favorite. In particolare la morte nel 2020 di Diego Armando Maradona, protagonista dell’ultima vittoria argentina nel 1986, e il fatto che fosse l’ultima possibilità per Lionel Messi di vincere l’unico trofeo che gli mancava in carriera (e quindi anche l’ultima possibilità per essere definitivamente accostato proprio a Maradona).
Il precedente Mondiale, quello del 2018, era stata una grossa delusione ed era arrivato peraltro in un periodo difficile per tutto il calcio argentino. Nel 2017, per esempio, i calciatori dei campionati professionistici nazionali avevano scioperato e fatto slittare l’inizio della stagione per chiedere il pagamento degli stipendi arretrati. Stipendi che però i club non potevano garantire, vista la loro difficile condizione economica, che rifletteva quella del paese.
Questa situazione creò una lunga disputa sulla successiva distribuzione dei diritti televisivi, anche in seguito alla chiusura di Futbol Para Todos — il programma creato nel 2009 dall’allora governo di Cristina Fernandez de Kirchner per trasmettere in chiaro tutte le partite del campionato argentino — sancita definitivamente nel 2017 dal governo di Mauricio Macri, ex presidente del Boca Juniors.
Se negli ultimi anni il campionato si è dato almeno all’apparenza una sistemata, non si può dire lo stesso per l’economia nazionale. Anche per questo motivo la speranza di una vittoria ai Mondiali ha in parte distolto l’attenzione della popolazione e della sua classe politica dalle gravi questioni economiche, sociali e politiche.
I problemi economici sono quelli che preoccupano di più l’Argentina, che di fatto è fallita per nove volte nella sua storia, più di qualsiasi altro paese al mondo. Oggi registra un’inflazione vicina al 100 per cento e oltre un terzo della sua popolazione vive sotto la soglia della povertà.
Dal fallimento del 2001 che portò il paese al collasso, l’Argentina sembra vivere in uno stato di perenne crisi, con qualche momento di respiro dato dai prestiti internazionali a cui però ora non ha più accesso, visto che ha un debito di oltre 40 miliardi di dollari con il Fondo Monetario Internazionale e sembra vicina a esaurire anche le proprie riserve monetarie.
È quindi anche per questo che gli argentini hanno investito nella Nazionale di calcio ancora più speranze del solito, peraltro in un mese come dicembre, tradizionalmente caratterizzato da proteste e tensioni sociali. Proprio nel mese dei Mondiali la ministra del Lavoro argentina Kelly Olmos aveva dichiarato che la priorità del paese era «vincere il Mondiale, più che combattere l’inflazione». Si era poi dovuta scusare, ma questa dichiarazione aveva detto molto sullo stato delle cose in Argentina.
Molto difficilmente la vittoria dei Mondiali potrà avere un impatto significativo sull’andamento dell’economia nazionale, ma lo avrà sicuramente sul calcio argentino, che dopo anni di difficoltà economiche e problemi di violenza, ora potrà tornare a respirare, con la possibilità di strutturarsi meglio e trovare un modo per incanalare il talento giovanile che in un paese estremamente dedito al calcio di certo non manca.
Dalla vittoria della Coppa del Mondo la Federazione argentina (AFA) riceverà 42 milioni di dollari, a cui se ne potranno aggiungere un’altra dozzina dagli incassi secondari del torneo, senza contare la spinta che la vittoria darà al merchandising: un’enormità se si considerano gli appena 3-4 milioni di euro di entrate che l’AFA registrava annualmente fino a prima di vincere i Mondiali.
Le opportunità ora sono tante, anche perché il vicino calcio brasiliano, che dai Mondiali ospitati nel 2014 ha beneficiato molto, soprattutto in termini di strutture, dimostra come il calcio sudamericano sia molto appetibile dal punto di vista commerciale e ancora lontano dal suo potenziale.
Nonostante i tassi di indebitamento dei club siano ancora molto alti, nel 2019 il calcio brasiliano è stato valutato oltre un miliardo di dollari, principalmente per la grandissima popolarità interna che attrae contratti televisivi, sponsor e incassi sempre maggiori, più che in ogni altro paese sudamericano. Questo sta permettendo ai club più grandi di portare in Brasile allenatori e giocatori europei, e richiamare in patria alcuni dei più noti calciatori brasiliani in attività.
Non è un caso che da quattro anni la Copa Libertadores — l’equivalente sudamericano della Champions League — venga vinta da una squadra brasiliana (in questo caso Flamengo o Palmeiras): un ciclo che iniziò proprio a discapito di un club argentino, il River Plate, l’anno successivo alla famosa finale infinita con i rivali del Boca Juniors.
In molti ora ritengono che per rinvigorire il calcio argentino e cambiare gli equilibri sudamericani la strategia a lungo termine debba portare ai Mondiali del 2030, quelli del centenario, che proprio per questo motivo potrebbero essere assegnati all’Uruguay — il paese che ospitò la prima edizione nel 1930 — e alla vicina Argentina (e magari anche a Cile e Paraguay). Ma per far tornare i Mondiali in quella parte di Sud America ci sarà bisogno di un piano vasto e ambizioso, dato che in entrambi i paesi le strutture non sono ancora minimamente adatte ad ospitare una manifestazione che attira sempre più interesse, come si è visto in Qatar.
– Leggi anche: I guai dell’Argentina non si risolvono con i Mondiali