L’Unione Europea ha trovato un importante accordo sulla carbon tax
Gli importatori di settori particolarmente inquinanti pagheranno per le proprie emissioni
Domenica, dopo circa 30 ore di trattative, gli stati membri dell’Unione Europea hanno raggiunto un accordo sull’introduzione della “carbon tax”, la tassa sulle emissioni inquinanti, per gli importatori stranieri: la misura era una delle più ambiziose tra quelle previste dal cosiddetto “Fit for 55” (“Pronti per il 55”), il grosso piano comunitario di riforme per il raggiungimento della neutralità carbonica entro il 2050, presentato dalla Commissione europea nel luglio del 2021.
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Tra le iniziative comprese nel “Fit for 55”, quella sulla carbon tax si chiama Carbon Border Adjustment Mechanism (CBAM): in sostanza è un sistema che costringerà le aziende esterne all’Unione che operano in settori particolarmente inquinanti a pagare per le emissioni prodotte se vogliono importare in Europa. Concretamente, le aziende importatrici dovranno acquistare dei certificati per pagare le proprie emissioni, pagandole allo stesso prezzo previsto nell’Unione (il prezzo medio varia ma è stabilito su ogni tonnellata di CO2 emessa).
Nei fatti, il CBAM è un dazio imposto per proteggere le aziende europee gravate dai costi di forti requisiti ambientali dalla concorrenza sleale di aziende che operano in paesi dove i requisiti sono più bassi. I settori coinvolti nel sistema, per ora, sono quelli dell’acciaio, del cemento, della produzione di energia elettrica, dell’alluminio, dei fertilizzanti e dell’idrogeno: l’accordo raggiunto domenica prevede che il pagamento della carbon tax entri gradualmente in vigore tra il 2026 e il 2034.
Sul CBAM era stato raggiunto un accordo preliminare lo scorso martedì, che ora è stato finalizzato. Perché l’accordo sia vincolante, però, dovrà essere formalmente approvato dal Consiglio europeo e poi dal Parlamento europeo.
Peter Liese, negoziatore capo del Parlamento europeo, ha definito il CBAM «la più grande legge sul clima che sia mai stata emanata in Europa e, secondo alcuni, nel mondo». Il piano ha però attirato alcune critiche da parte di alcuni partner commerciali dell’Unione, che temono che le nuove misure penalizzino le proprie aziende e danneggino quindi la propria competitività sul mercato europeo.
Oltre che sulla carbon tax, domenica i paesi membri dell’Unione si sono accordati anche su altre misure previste dal “Fit for 55”. Una di queste è l’estensione del raggio d’azione dell’Emissions Trading System (Sistema di scambio delle emissioni, ETS), un sistema che prevede un tetto massimo di emissioni consentite in determinati settori produttivi.
In sostanza, l’ETS riguarda circa 11mila centrali elettriche e industrie di tutta Europa e prevede un sistema di compensazione per cui se un’industria inquina di più può comprare delle “quote” di emissioni da quelle che inquinano di meno, sempre all’interno del limite totale prestabilito, che si riduce di anno in anno.
L’accordo raggiunto domenica prevede che nei settori interessati le emissioni vengano ridotte del 62 per cento entro il 2030: è un obiettivo molto ambizioso, tenendo conto che dal 2005 ad oggi sono state ridotte del 41 per cento. Non solo: l’accordo di domenica prevede che nel sistema ETS venga incluso anche il settore marittimo, con una graduale introduzione nel circuito delle compagnie di navigazione interne all’Unione.
Un altro punto su cui gli stati membri si sono accordati domenica riguarda l’istituzione di un Fondo sociale per il clima per evitare che le imposte sull’inquinamento finiscano per penalizzare le imprese e gli utenti più poveri (un rischio di cui si discusse molto in occasione delle proteste dei gilet gialli in Francia): il fondo dovrebbe venire istituito tra il 2026 e il 2032, finanziato con 65 miliardi di euro.