La Tunisia sta per eleggere un parlamento senza poteri e senza partiti
Le elezioni sono state imposte dal presidente autoritario Saied, la cui popolarità però sembra in calo: la situazione nel paese è molto tesa
La Tunisia voterà oggi, sabato, per eleggere un nuovo parlamento: l’ultimo è stato sciolto a marzo, ma i lavori erano già stati sospesi nel luglio 2021, quando il presidente Kais Saied assunse pieni poteri, invocando un «pericolo imminente» per il paese. Da allora Saied ha fatto approvare una nuova costituzione e un nuovo controverso sistema elettorale, che verrà utilizzato per la prima volta in questa occasione. Le opposizioni hanno già annunciato che boicotteranno il voto, e nei giorni immediatamente successivi alle elezioni si temono tensioni e instabilità, in quello che fino a poco fa era l’unico paese uscito dal periodo delle cosiddette “primavere arabe” con un sistema parzialmente democratico.
Saranno elezioni con metodo maggioritario su due turni, ma soprattutto non prevedono la partecipazione dei partiti: la nuova legge elettorale vieta loro di comporre o presentare liste. Secondo il decreto presidenziale tutti i candidati dovranno presentarsi come indipendenti, dopo aver consegnato 400 firme a loro sostegno.
Descritto dalla retorica presidenziale come un metodo per «restituire il potere al popolo» e toglierlo alle élite, il nuovo sistema elettorale eleggerà un parlamento poco rappresentativo, con possibilità di accesso limitate per le donne e che verosimilmente non intaccherà i poteri del presidente. Metodo di elezione e limitati poteri della nuova assemblea sembrano confermare la deriva autoritaria e l’archiviazione della fase democratica e parlamentare iniziata dopo la “primavera araba”, nel 2011. Allora gli ampi movimenti di protesta portarono alla caduta del regime autoritario del presidente Ben Alì, in carica dal 1987, e l’approvazione di una costituzione parlamentare.
I crescenti problemi economici degli anni seguenti, la frammentazione politica e un certo numero di episodi di corruzione avevano favorito l’ascesa di Kais Saied, professore di diritto costituzionale eletto presidente nel 2019. Politico populista, Saied per oltre due anni è stato fortemente appoggiato dalla maggioranza della popolazione anche nelle sue derive autoritarie. L’assunzione di pieni poteri e la sospensione del parlamento nel 2021 erano state accolte con favore da gran parte dei tunisini. Ora però le ampie partecipazioni a manifestazioni di piazza, indette per motivi economici e politici, nonché un generale clima di disillusione, sembrano indicare che Saied abbia perso almeno una parte dell’appoggio popolare.
Tutti i principali partiti politici hanno annunciato in queste settimane che boicotteranno le elezioni, così come avevano fatto per il referendum popolare che ha approvato, a fine luglio, la nuova costituzione super presidenzialista voluta da Saied: allora la partecipazione al voto fu del 30,5 per cento. Le opposizioni considerano il nuovo parlamento un organo di facciata, soprattutto perché avrà poteri limitati e per nulla chiari. Non eleggerà il capo del governo e non potrà mettere sotto impeachment il presidente, e potrà essere sciolto unilateralmente da Saied. Dovrà inoltre lavorare con un nuovo ramo organo parlamentare, il Consiglio delle Regioni, che non solo non esiste ancora, ma di cui non si conoscono né poteri né modalità di elezione.
Il nuovo sistema elettorale ha portato a un numero ridotto di candidati: saranno 1055 in 161 distretti elettorali, con sole 122 donne. In alcuni collegi il candidato è unico, e molti aspiranti deputati non hanno esperienze politiche precedenti: 284 sono insegnanti, 190 disoccupati. I partiti sottolineano come il nuovo sistema elettorale favorisca i candidati con maggiori mezzi economici: 94 dei candidati, quasi uno su dieci, sono industriali o dirigenti d’impresa di alto livello. I sondaggi politici sono stati vietati, per cui il gradimento dei candidati o dello stesso presidente non sono noti.
La nuova legge prevede poi che i deputati siano soggetti a un procedimento di “ritiro della fiducia” nel caso gli elettori dovessero ritenere che l’eletto non ha rispettato i suoi impegni. Saied è un forte sostenitore del concetto di “revocabilità” del mandato, nell’intento di instaurare una «democrazia dal basso».
Il processo ovviamente non riguarda la persona e la carica del presidente, che invece in questi anni ha attuato dure politiche di repressione del dissenso. Una legge in vigore da tre mesi, ufficialmente approvata per combattere il «crimine informatico e le fake news» è stata utilizzata per lo più per chiudere i giornali non allineati e minacciare i giornalisti col carcere. I deputati rischiano invece svariati anni di prigione in caso sia dimostrato che abbiano ottenuto finanziamenti dall’estero. La nuova costituzione prevede infine che il presidente possa essere eletto per più di due mandati (da cinque anni) in caso di condizioni di “immediato pericolo” per la nazione.
I principali partiti di opposizione sono il partito islamista-moderato Ennahda, quello social democratico Ettakatol, gli anti-islamisti del Partito destouriano e il Partito dei lavoratori, di estrema sinistra: tutti hanno invitato i propri sostenitori a non partecipare alle elezioni, ma in questi ultimi anni non hanno mostrato grandi capacità di contrastare efficacemente il presidente Saied.
La recente perdita di consenso di Saied è piuttosto da imputarsi invece ai gravi problemi economici che stanno mettendo in crisi la Tunisia, mai davvero risolti e ora complicati dalla crisi economica globale. È difficile reperire carburante e alimenti di prima necessità, l’inflazione e la disoccupazione sono in costante crescita mentre il rapporto fra il debito pubblico e il PIL (prodotto interno lordo) è salito all’89 per cento, contro il 47 per cento del 2011, facendo temere per la tenuta economica del paese. Il Fondo Monetario Internazionale ha promesso un intervento per evitare che la Tunisia, che ha 12 milioni di abitanti e dista dalla Sicilia meno di 200 chilometri, debba dichiarare bancarotta, ma ha suggerito alcune riforme economiche strutturali.
Il crescente malcontento della società tunisina non troverà espressione nelle elezioni di sabato, ma una bassa affluenza al voto potrebbe essere il segno di una ulteriore perdita di consenso da parte del presidente Saied.