Il biliardo sportivo vuole cambiare e ha un suo campione atipico
Lo sport vuole rendersi più moderno e televisivo, e Shane Van Boening di certo «non è LeBron James» ma ha una storia particolare
Da qualche tempo il biliardo sportivo sta provando a cambiare, a diventare meno fumoso, più sobrio e televisivo, liberandosi inoltre dallo stretto legame che, soprattutto negli Stati Uniti, ha con il mondo delle scommesse, non sempre legali. Un importante ruolo in questo tentativo di cambiamento lo sta avendo Shane Van Boening, giocatore statunitense di biliardo americano (in inglese pool) che quest’anno ha vinto i Mondiali di Palla 9 e che da tempo è primo nelle principali classifiche mondiali.
Rispetto a molti altri giocatori di biliardo, o perlomeno all’idea che molti hanno di chi gioca a biliardo, Van Boening ha due peculiarità: non scommette soldi sulle partite ed è praticamente astemio. Quando gioca a biliardo è quasi sempre molto tranquillo e pacato e dice che gli altri giocatori dovrebbero essere più umili e meno nervosi e irascibili.
Come negli scacchi, anche nel biliardo buona parte della bravura sta nel pensare in anticipo come si evolverà la partita, nella capacità di prevedere e predisporre le mosse. Van Boening è particolarmente bravo in questo, oltre che tecnicamente capace di colpi molto complessi: «Amo la geometria, ed è tutta questione di angoli», dice lui.
Dalla nascita, Van Boening ha inoltre un grave deficit uditivo: ci sente solo grazie all’ausilio di appositi apparecchi acustici e ha raccontato che in più di un’occasione ha deciso di spegnerli durante le sue partite, così da isolarsi e concentrarsi meglio sui colpi.
Van Boening ha 39 anni, è nato e cresciuto a Rapid City, in South Dakota, e il suo soprannome è “The South Dakota Kid”. Da ragazzo gli fu molto facile avvicinarsi al biliardo: il nonno era infatti un trick-shot artist, cioè un giocatore di biliardo artistico, specializzato in colpi particolarmente spettacolari e d’effetto; e anche nonna, madre e zii erano degli ottimi giocatori di biliardo. Come ha raccontato a CBS News per il programma “60 Minutes”, da bambino si appassionò al biliardo perché gli dava gioia e tranquillità e subito dopo i 18 anni iniziò a girare con lo zio gli Stati Uniti per partecipare a tornei in cui scommetteva sulla propria vincita: un’attività per certi versi simile a quella dei film Lo spaccone e Il colore dei soldi.
Dopo che in Tennessee un giocatore che stava perdendo contro di lui iniziò a tirargli addosso le palle da biliardo, Van Boening decise però che quella vita non faceva per lui e provò a diventare un giocatore di biliardo professionista, cercando quindi sponsor e puntando a guadagnare soldi vincendo tornei, non scommettendo sulle partite. Riuscì ben presto a farsi notare: già quindici anni fa si parlava di lui come di uno dei più promettenti giocatori di biliardo in attività e, dopo averlo nominato per anni giocatore dell’anno, nel 2020 il Billiards Digest Magazine lo nominò giocatore del decennio.
Nel 2018 e nel 2019 Van Boening vinse la Mosconi Cup, che è per il biliardo quello che per il golf è la Ryder Cup: una competizione in cui si sfidano una squadra statunitense e una europea. All’inizio di quest’anno ha vinto i Mondiali di Palla 9 (una specialità “a tiri vincolati” tra le più diffuse e in crescita, anche in Italia) organizzati dalla WPA, la World Pool-Billiard Association. Di recente è stato inoltre protagonista di una piccola controversia, perché pur accorgendosi che un rivale stava colpendo la palla sbagliata ha scelto di non dirglielo, spiegando poi che sono cose che succedono e che non è sua “responsabilità” dire agli altri cosa fare, specie in un torneo professionistico con in palio 50mila dollari.
A proposito di soldi, solo grazie ai suoi risultati nei vari tornei (in carriera ne ha vinti più di cento) quest’anno Van Boening ha vinto circa 150mila dollari, a cui si aggiungono quelli che riceve dai suoi sei sponsor, tutti legati al mondo del biliardo.
A proposito di professionismo, Van Boening ha raccontato di passare lontano da casa – in South Dakota, dove è co-proprietario di una sala da biliardo – circa trecento giorni l’anno, e ha detto di allenarsi anche fino a dieci ore al giorno, colpendo ogni anno mezzo milione di palle da biliardo (o bilie, o biglie, a seconda delle preferenze e delle zone).
CBS ha detto di lui che è «preso d’assalto ai tornei di biliardo», dove è comprensibilmente una star, ma che al contempo «può passeggiare indisturbato». Nonostante sia stato probabilmente uno dei migliori giocatori di biliardo al mondo e il «miglior statunitense ad aver tenuto una stecca tra le mani», Van Boening – peraltro un tipo modesto e riservato, che nel tempo libero dal biliardo va spesso a pescare – su Instagram è seguito da meno di 25mila persone.
Il disinteresse di Van Boening verso le scommesse (spesso un importante contorno del biliardo anche nei tornei più importanti) è stato presentato come importante per il tentativo che, soprattutto negli Stati Uniti, il biliardo sta facendo per organizzarsi meglio. Secondo lui, eliminare le scommesse e le zone d’ombra sarebbe infatti una premessa imprescindibile per aumentare premi e sponsorizzazioni.
I tentativi del biliardo di rifarsi un’immagine stanno passando inoltre da una serie di riorganizzazioni dei tornei e nuovi accordi promozionali, per esempio con Matchroom, una società britannica di eventi e promozione sportiva, che di recente si è occupata anche di freccette. Intervistata da CBS, Emily Frazer, che per conto di Matchroom sta cercando di ristrutturare e rendere più popolare il mondo del biliardo professionistico, ha parlato di una situazione «disastrosa» e ha fatto l’esempio di alcuni importanti tornei statunitensi in cui i giocatori si presentano in jeans.
Frazer ha detto anche di non essere troppo preoccupata dalle scommesse, che comunque fanno parte della storia del biliardo, ma ha aggiunto di essere convinta che entro qualche anno, aumentando premi e contratti di sponsorizzazione, i giocatori più bravi non avranno più bisogno di farle. Perché il biliardo, che «ha tutti gli ingredienti per esserlo», diventerà un vero sport professionistico. Parlando di Van Boening, Frazer ha detto che «evidentemente non è LeBron James», ma che è parte del suo lavoro cercare di renderlo più conosciuto, celebrato e raccontato, oltre che ricco.
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