I rimborsi milionari chiesti dal governo a chi produce dispositivi medici
Sono previsti dal controverso meccanismo del “payback”, che costringe le aziende a pagare per le previsioni sbagliate delle Regioni
Negli ultimi giorni le Regioni hanno inviato alle aziende produttrici di dispositivi medici e ai distributori le richieste di rimborso previste nel cosiddetto payback, un meccanismo piuttosto controverso istituito diversi anni fa per recuperare l’eccesso della spesa sanitaria da parte delle stesse Regioni.
In sostanza, alle aziende viene chiesto di rimediare alle previsioni sbagliate delle Regioni, che spendono più soldi del consentito per l’acquisto di dispositivi medici: garze, bende, camici, ferri chirurgici, ma anche valvole cardiache, protesi ortopediche, accessori per la radioterapia, dispositivi per dialisi e per il pronto soccorso. È un meccanismo controverso perché di fatto è estremamente penalizzante per le aziende, e sposta su di loro la responsabilità di previsioni sbagliate, ma è usato dallo stato per salvare i conti delle Regioni.
Come detto, il payback esiste da tempo ma è rimasto inattuato fino alla scorsa estate, quando il governo guidato da Mario Draghi decise che era arrivato il momento di riscuotere dalle aziende i rimborsi relativi al periodo compreso tra il 2015 e il 2018. Lo stesso approccio è stato adottato dall’attuale governo di Giorgia Meloni. La somma complessiva è significativa: quasi 2,1 miliardi di euro.
È un provvedimento molto contestato dalle aziende e dai distributori, secondo cui i rimborsi costringeranno molti produttori a chiudere o licenziare con conseguenze sulle forniture di dispositivi indispensabili per far funzionare gli ospedali e curare le persone.
Per risalire alle origini del payback bisogna tornare al 2011, quando l’allora governo guidato da Silvio Berlusconi introdusse un limite massimo alla spesa sanitaria per l’acquisto di farmaci e dispositivi medici: a ciascuna Regione fu imposto di non spendere più del 4,4% del fondo sanitario nazionale, cioè tutti i soldi che lo stato destina ogni anno alla sanità.
Nel 2015 il governo guidato da Matteo Renzi stabilì che, in caso di spese superiori rispetto al limite, le aziende avrebbero dovuto restituire una quota dello sforamento: il 40% riferito al 2015, il 45% per il 2016 e il 50% per gli anni successivi.
Con l’approvazione del “decreto Aiuti bis”, voluta dal governo di Mario Draghi nell’estate del 2022, il ministero della Salute è stato obbligato a definire le spese sanitarie dettagliate sostenute negli anni precedenti, proprio per poter calcolare gli sforamenti: fino a quel momento il payback era rimasto inattuato.
Il 6 luglio il ministero della Salute ha approvato infatti un decreto per certificare le spese sanitarie riferite agli anni tra il 2015 e il 2018, oltre che la quota di rimborsi da chiedere alle aziende fornitrici dei dispositivi medici. Secondo i conti del ministero, in riferimento al 2015 le aziende farmaceutiche dovranno rimborsare 416 milioni di euro; 473 milioni per il 2016; 552 milioni per il 2017; e infine 643 milioni di euro per il 2018. In totale 2 miliardi e 84 milioni di euro, soldi che fanno molto comodo ai bilanci regionali. Le aziende hanno 30 giorni di tempo per pagare da quando ricevono l’avviso.
Negli ultimi due mesi tutte le associazioni che rappresentano le aziende produttrici di dispositivi medici hanno criticato il payback e messo in guardia il governo dalle conseguenze di questo provvedimento. In particolare, lamentano di dover pagare errori di valutazione non commessi da loro.
Le forniture di dispositivi medici, infatti, vengono stabilite da gare con indicazioni molto chiare e obblighi in merito ai quantitativi da fornire, ai prezzi e alle basi d’asta. Chi vince le gare è obbligato a fornire tutti i dispositivi richiesti, altrimenti rischierebbe la rescissione dei contratti in seguito all’interruzione di un pubblico servizio, peraltro essenziale in quanto legato alla sanità.
C’è anche una questione tecnica non secondaria contestata dalle aziende. I rimborsi, infatti, vengono stabiliti in base all’incidenza del fatturato delle aziende sul totale della spesa regionale per i dispositivi medici. Detto in altre parole, le Regioni analizzano tutti gli acquisti di dispositivi medici fatti: le singole fatture, sommate, formano il fatturato annuo dell’azienda fornitrice. In questo modo viene calcolata l’incidenza del fatturato di ogni azienda sulla spesa regionale totale, ma le somme vengono fatte “al lordo dell’IVA” e non sugli utili delle aziende. Così facendo, però, le Regioni chiedono la restituzione di somme su cui le aziende hanno già pagato le tasse dovute.
Per Massimiliano Boggetti, presidente di Confindustria Dispositivi Medici, il payback è un «disastro che va fermato subito». In un’intervista al Sole 24 Ore, Boggetti ha detto che molte piccole e medie aziende non hanno a disposizione soldi per pagare entro 30 giorni. «È un paradosso: noi partecipiamo a gare pubbliche di appalto in cui siamo obbligati a fornire delle quantità di dispositivi ai prezzi che ti vengono imposti sennò finiamo in galera per interruzione di pubblico servizio e ora a posteriori dopo diversi anni ci chiedono i soldi indietro», ha detto.
Il presidente della Federazione italiana fornitori in sanità (FIFO), Massimo Riem, ha detto che l’obiettivo di spendere i soldi pubblici in modo razionale o oculato non può passare «da una deresponsabilizzazione degli amministratori e da un tracollo del tessuto delle piccole e medie imprese italiane». Riem ha detto che secondo le loro stime centinaia di aziende saranno costrette a chiudere: «A gennaio ci troveremo davanti a una crisi senza precedenti da un punto di vista economico e sanitario».
Dopo aver ricevuto la richiesta di rimborso da parte delle Regioni, centinaia di aziende hanno presentato un ricorso ai tribunali amministrativi regionali (TAR). In Sardegna i ricorsi hanno già avuto un effetto: la Regione, infatti, ha sospeso la riscossione dei rimborsi in attesa del pronunciamento dei giudici amministrativi.
Nonostante i ricorsi e le proteste delle associazioni, il governo non è intenzionato a sospendere o modificare il payback, almeno a breve. Durante il question time di mercoledì alla Camera, il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti ha assicurato che il governo si riserverà in futuro di fare una «manutenzione» del meccanismo e ha garantito «massima attenzione».
Finora l’unico presidente regionale che si è esposto in modo chiaro su questa vicenda è Eugenio Giani, presidente della Toscana, che ha esortato il governo a non cedere alle pressioni delle associazioni degli imprenditori. Secondo uno studio diffuso dalla FIFO, la Toscana è una delle Regioni che spendono di più. «C’è un tentativo di infiltrarsi sui parlamentari per sollevare la questione che le imprese soffrirebbero troppo e chiuderebbero se venisse pagato, come da legge e da accordi, il payback su dispositivi farmaceutici», ha detto Giani, secondo cui c’è il rischio che le spese eccessive ricadano sulle Regioni: «Con una eventuale cancellazione del pagamento del payback, lo Stato e non più i privati dovrebbe dare alle Regioni 1,4 miliardi di euro. Sarebbe assurdo e inconcepibile, non c’è copertura finanziaria».