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  • Venerdì 16 dicembre 2022

I paesi stranieri che provano a influenzare il Parlamento Europeo

Non c'è solo il Qatar, ovviamente: svolgono operazioni difficili da tenere d'occhio e si muovono in molte zone grigie

di Luca Misculin

La sede di Bruxelles del Parlamento Europeo (Yves Herman, Pool via AP)
La sede di Bruxelles del Parlamento Europeo (Yves Herman, Pool via AP)
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Nell’aprile del 2022 l’influente parlamentare europeo Tomáš Zdechovský, eletto in Repubblica Ceca, prese un aereo per il Bahrein, un piccolo e ricco paese del Medio Oriente, dove rimase per qualche giorno e incontrò fra gli altri il presidente della camera di commercio locale. Giovedì Zdechovský avrebbe dovuto partecipare al voto di una risoluzione del Parlamento Europeo sulle condizioni di Abdulhadi Al Khawaja, un noto dissidente politico del Bahrein, detenuto dal 2011 in condizioni descritte come disumane.

Fino a qualche giorno fa la posizione ufficiale di Zdechovský e del suo partito, il Partito Popolare Europeo (PPE), il principale gruppo di centrodestra, ricalcava esattamente quella del governo non democratico del Bahrein: secondo loro Abdulhadi Al Khawaja non sarebbe un dissidente politico ma una persona che «ha finanziato e partecipato ad attività terroristiche per rovesciare il governo centrale», come si leggeva nella proposta di risoluzione promossa del PPE. Né Zdechovský né il PPE hanno poi partecipato al voto sulla risoluzione, che nella versione approvata giovedì contiene parole di condanna molto nette per l’attuale governo del Bahrein.

Mercoledì, un giorno prima del voto, il Guardian aveva dato la notizia del viaggio in Bahrein di Zdechovský, che fino a quel momento non era noto. Lui e il suo partito hanno quindi deciso di non partecipare al voto per ragioni di opportunità.

Il viaggio di Zdechovský era lecito, e a quanto si sa durante il suo soggiorno non è stata violata alcuna legge. Il viaggio però non compare nel registro online in cui i parlamentari europei appuntano i loro incontri con lobbisti o gruppi di interesse. Del resto Zdechovský non era obbligato a farlo. Solo i parlamentari con qualche incarico formale sono tenuti a tenere traccia di questo tipo di incontri. Il suo caso e soprattutto quello di una presunta corruzione di alcuni parlamentari europei da parte del Qatar hanno generato un nuovo dibattito sui tentativi dei paesi stranieri di influenzare il processo democratico nelle istituzioni europee, meno regolati e perciò più sfuggevoli rispetto alle più tradizionali attività di lobbismo di multinazionali, sindacati e ong.

Il Parlamento Europeo attrae da sempre molti lobbisti tradizionali. Ma almeno dal 2009, cioè da quando il Trattato di Lisbona ha allargato le sue competenze, ha iniziato a occuparsi sempre di più di politica estera. Molte delle norme che interessano paesi che si trovano al di fuori dell’Unione Europea – accordi commerciali, politiche sui visti, permessi per compagnie aeree di bandiera – passano dal Parlamento Europeo. Che fra l’altro cerca spesso di fare pressioni sulle altre istituzioni, cioè la Commissione e il Consiglio dell’Unione Europea, con risoluzioni sulle questioni di politica estera su cui invece non ha potere. Sono risoluzioni non vincolanti ma a loro modo significative, perché esprimono la posizione ufficiale dell’intero Parlamento.

Soltanto nell’ultima sessione plenaria del Parlamento Europeo, conclusa giovedì, si è discusso e votato su vicende che riguardano Ucraina, Siria, Israele, Iraq, Ciad e Bahrein, appunto.

Non stupisce insomma che paesi extraeuropei su cui l’Unione Europea non ha una posizione netta vogliano provare a condizionare le decisioni del Parlamento Europeo. È plausibile che nella gran parte dei casi queste operazioni avvengano in maniera lecita, anche se possono apparirci poco opportune perché i paesi in questione spesso non sono democratici. Non ci sarebbe nulla di illegale se il Bahrein fosse riuscito a condizionare un voto del Parlamento Europeo con mezzi leciti, cioè con le relazioni e la diplomazia.

Il problema principale, segnalato da diversi esperti di trasparenza, è l’assenza di meccanismi di controllo e monitoraggio che permettano di analizzare queste operazioni. E in un’area grigia del genere è più facile che si trasformino in qualcosa di diverso: quando funzionari o parlamentari europei prendono una decisione in cambio di un vantaggio molto concreto, cioè soldi, favori, vantaggi per sé o per i propri parenti o colleghi, il lobbismo diventa attività di corruzione.

Quello dei paesi extraeuropei «è una forma di lobbismo difficile da tracciare», spiega Shari Hinds, esperta di integrità politica di Transparency International EU, un’organizzazione che si occupa di lobbismo e trasparenza. «È difficile anche solo capire quali paesi riguarda: non ci sono dati e informazioni disponibili su queste riunioni».

Euronews ha notato che fra le circa 12mila organizzazioni del Registro per la trasparenza, una banca dati che permette all’Unione di monitorare le attività delle aziende che fanno lobby, soltanto cinque sostengono di rappresentare paesi stranieri. Molto spesso i paesi che vogliono influenzare il processo legislativo europeo si servono di società di consulenza presenti nel Registro, le quali però non sono tenute a diffondere i nomi dei propri clienti. A un ex parlamentare europeo che ha parlato col Post e ha voluto rimanere anonimo, per esempio, è capitato di essere avvicinato da una società di consulenza che rappresentava gli interessi di Israele.

«Nella strategia di lobby di molti paesi terzi esiste una pervasività diversa, spesso più incisiva e meno trasparente» rispetto alle lobby tradizionali, spiega Pierfrancesco Majorino, da poco candidato presidente del centrosinistra alla Regione Lombardia ma tuttora parlamentare europeo. Negli scorsi mesi Majorino è stato coordinatore del gruppo parlamentare dei Socialisti nella Commissione speciale sulle ingerenze straniere nei processi democratici nell’Unione Europea. Nel rapporto finale messo insieme dalla commissione speciale, si legge in particolare che negli ultimi anni «paesi come la Cina e la Russia, ma anche il Qatar, gli Emirati Arabi Uniti e la Turchia, hanno investito pesantemente nelle operazioni di lobbying a Bruxelles», la capitale del Belgio, dove cioè hanno sede il Parlamento Europeo e tutte le altre principali istituzioni dell’Unione.

L’aula del Parlamento Europeo a Strasburgo, in Francia (AP Photo/Jean-Francois Badias)

Majorino sottolinea anche che ai tempi aveva promosso un emendamento «ancora più netto», poi non entrato nel testo finale, «che faceva notare che non solo il Qatar ma anche altri paesi come gli Emirati Arabi abbiano investito molto nelle operazioni di lobbismo a Bruxelles: e che questo avviene anche attraverso l’azione, pur perfettamente legale, di consulenze e centri studi».

Già nel 2020 la ong Corporate Europe pubblicò un lungo rapporto sugli sforzi di lobby nelle istituzioni europee degli Emirati Arabi Uniti, che prevedono soprattutto eventi e dibattiti organizzati da centri studi che non sono immediatamente riconducibili agli Emirati Arabi Uniti e al loro governo, né dal nome né da come si presentano all’esterno.

– Leggi anche: Il caso Qatar si allargherà?

Uno di questi per esempio è il Bussola Institute: un centro studi con sede a Bruxelles che sulla carta vuole portare avanti gli interessi di tutti i paesi del Golfo negli ambienti europei. In pratica, scrive Corporate Europe, «è stata fondato esclusivamente da figure dell’establishment degli Emirati Arabi Uniti»: «i suoi rapporti sono uno strumento elegante per spiegare gli obiettivi della politica estera degli Emirati, e i suoi eventi a Bruxelles ospitano regolarmente funzionari di alto livello come commissari europei e funzionari del Servizio europeo per l’azione esterna», cioè l’agenzia di servizio diplomatico dell’Unione Europea.

Un problema ancora più delicato sulle influenze straniere riguarda gli uffici di rappresentanza, le cosiddette “ambasciate”, che i paesi extracomunitari hanno a Bruxelles: nominalmente per mantenere i rapporti diplomatici con le istituzioni europee, ma di fatto spesso per fare attività di lobbismo, anche sui parlamentari europei. «Il vero buco nero riguarda per esempio istituzioni come la “missione” del Qatar all’Unione Europea: sono esenti da controlli perché a loro dire godono di uno status diplomatico», spiega Alberto Alemanno, esperto di trasparenza e fondatore dell’organizzazione The Good Lobby.

Una delle più osservate in questi giorni è la “missione” del Marocco all’Unione Europea: secondo la procura belga anche il Marocco oltre al Qatar avrebbe pagato l’ex parlamentare italiano Antonio Panzeri per portare avanti i suoi interessi al Parlamento Europeo. Da giorni soprattutto i giornali italiani insistono molto su un presunto legame fra Panzeri e un importante diplomatico marocchino, Abderrahim Atmoun, attualmente ambasciatore marocchino in Polonia ma in passato molto attivo negli ambienti delle istituzioni europee.

Spesso queste “ambasciate” mettono in piedi dei gruppi informali di parlamentari sensibili agli interessi di un certo paese, chiamati “gruppi di amicizia”. Ci sono per esempio il gruppo Amici del Kuwait, ma anche quello più innocuo di Amici dell’Afghanistan. Uno dei più famosi era probabilmente il gruppo Amici della Cina, poi smantellato nel gennaio del 2021 quando si scoprì fra le altre cose che i viaggi in Cina dei suoi componenti venivano pagati dal governo cinese. Di recente il Financial Times ha raccolto testimonianze di parlamentari europei di centro, centrodestra, centrosinistra che dicono di essere stati avvicinati da funzionari del Qatar proprio tramite il gruppo Amici del Qatar interno al Parlamento Europeo.

Essendo organismi non ufficiali all’interno del Parlamento, capire chi sieda in quale gruppo è praticamente impossibile. Nel dicembre del 2019 il Parlamento Europeo adottò una norma interna che vincolava questi gruppi di amicizia a dichiarare «ogni sostegno, in contanti o in natura, che i deputati non hanno dichiarato a titolo individuale». Alla fine del 2020 il sito di news EuObserver fece una richiesta di accesso agli atti per ottenere queste dichiarazioni: nessun gruppo aveva segnalato donazioni.

Un raro tweet che mostra un incontro del gruppo Amici dell’Azerbaigian al Parlamento Europeo, ovviamente con alcuni funzionari dell’Azerbaigian

Per regolamentare i gruppi di amicizia e le ambasciate qualche piccolo passo è stato fatto, dopo giorni di sviluppi sul caso di presunta corruzione da parte del Qatar. Giovedì il Parlamento Europeo ha sospeso i pass per accedere nelle sedi del Parlamento a tutte le persone che «rappresentino gli interessi del Qatar», quindi anche al personale diplomatico. Nello stesso provvedimento vengono incaricati i questori del Parlamento Europeo, cioè parlamentari che hanno alcuni compiti prevalentemente amministrativi, «di applicare le norme esistenti e di sviluppare e mantenere un registro accessibile e aggiornato dei gruppi e delle dichiarazioni di amicizia».

Gli esperti di trasparenza non ritengono siano contromisure sufficienti. «Chiediamo che tutti i membri del Parlamento, gli assistenti e lo staff del Parlamento pubblichino le riunioni che hanno con rappresentanti di interessi di stati terzi», dice Shari Hinds di Transparency International EU, rimandando a una proposta in dieci punti dell’organizzazione pubblicata dopo il caso Qatar.

Una persona che lavora per una importante lobby europea sostiene che si potrebbero rendere più severe le norme che regolano l’attività di lobby degli ex parlamentari europei: al momento infatti non sono incentivati a registrarsi come lobbisti, anche se lo fanno di lavoro, perché in quanto ex parlamentari mantengono un accesso totale ai palazzi delle istituzioni. Anche per questo, oltre che per le reti che avevano creato durante il mandato, vengono spesso assunti da paesi stranieri che cercano di influenzare le decisioni del Parlamento Europeo, e che intendono farlo in maniera non esattamente esplicita.