Quattro giovani studenti torinesi incensurati sono ai domiciliari da mesi
Erano stati arrestati a maggio con l'accusa di aver partecipato a uno scontro con la polizia durante una manifestazione
Quattro ragazzi torinesi, tutti studenti universitari incensurati, sono sottoposti a misure cautelari da sette mesi: erano stati arrestati il 12 maggio perché, secondo l’accusa, avrebbero partecipato a scontri con la polizia durante una manifestazione che si era svolta a Torino il 18 febbraio. I quattro si chiamano Sara, Emiliano, Francesco e Jacopo (i media, Post compreso, hanno scelto generalmente di non pubblicare i cognomi), e sono attualmente agli arresti domiciliari.
Emiliano e Jacopo, 23 anni entrambi, dopo l’arresto avevano trascorso 25 giorni in carcere; per Francesco, 20 anni, il periodo era stato più lungo: due mesi. Sara era stata posta subito agli arresti domiciliari. Per i tre ragazzi l’accusa è di resistenza a pubblico ufficiale e lesioni, mentre per la ragazza l’accusa è di aver agito in concorso. Mentre avveniva la manifestazione parlava al megafono: in pratica, è accusata di aver incitato la folla.
L’avvocata Valentina Colletta, che con Claudio Novaro rappresenta legalmente gli undici studenti che sono stati coinvolti nelle indagini (oltre ai quattro agli arresti, altri studenti sono stati sottoposti ad altre misure cautelari come l’obbligo di firma), ritiene che prolungare così a lungo la misura cautelare, nonostante l’età dei ragazzi e il fatto che siano incensurati, sia «una misura estremamente severa e che non trova giustificazione».
La manifestazione del 18 febbraio era stata indetta dopo la morte di due studenti, avvenuta all’inizio del 2022, nel corso di uno stage previsto nell’ambito del programma di alternanza scuola-lavoro. Erano state organizzate proteste in tutta Italia, culminate poi con l’occupazione di alcune scuole. Alcune delle manifestazioni di protesta erano state represse piuttosto violentemente dalle forze dell’ordine. Nel corso del corteo del 18 febbraio a Torino alcuni ragazzi avevano provato a forzare il cancello della sede di Confindustria, cosa da cui erano nati alcuni scontri. Alcuni agenti avevano riportato lesioni, come spiegarono gli avvocati dopo gli arresti, «con una prognosi media di tre giorni. La prognosi peggiore fu di dieci giorni per un agente che era in tenuta antisommossa ma che si era dimenticato di mettere il casco in testa: gli è arrivata un’asta di bandiera sullo zigomo causandogli un’escoriazione».
Da allora le misure cautelari sono state mantenute con la motivazione di pericolo di reiterazione del reato. «Ma tutti e quattro i ragazzi sono incensurati», dice ancora l’avvocata Colletta, «semplicemente erano stati segnalati in passato per aver partecipato ad altre manifestazioni. Ma mai erano stati denunciati in altre occasioni. Sono studenti impegnati politicamente, questo non l’hanno mai nascosto. Ripeto: la decisione del giudice per le indagini preliminari di prolungare così a lungo le misure cautelari è eccessivamente severa e immotivata».
Le madri dei ragazzi arrestati il 12 maggio aderiscono al comitato Mamme in piazza per la libertà di dissenso: «Vogliamo far conoscere la situazione di tanti studenti e lavoratori contro cui c’è forte accanimento solo perché esprimono dissenso o perché organizzano o partecipano a proteste», hanno scritto. Una di loro, madre di Emiliano, racconta: «mio figlio è stato posto agli arresti in casa dopo 25 giorni di carcere. Da allora ha il braccialetto elettronico che, a lungo, gli ha permesso di muoversi solo nel nostro alloggio, su un balcone e su un pianerottolo. Poteva avere contatti solo con me e con i fratelli. Abbiamo dovuto fare un’istanza, accolta abbastanza velocemente, perché potesse vedere il padre che non vive con noi».
La stessa misura del braccialetto elettronico è stata adottata per un altro ragazzo, Jacopo, mentre non è stata presa per Francesco, che però ha fatto due mesi e mezzo di carcere, e per Sara, per la quale l’accusa è di concorso e che è comunque sottoposta agli arresti domiciliari. Continua la madre di Emiliano: «Abbiamo fatto istanza quattro volte e finalmente, dalla fine di novembre, Emiliano può vedere anche la sua fidanzata. Da 15 giorni, visto che siamo in una casa bifamiliare con un piccolo giardino, può anche stare all’esterno, in quello spazio». Per quanto riguarda gli studi universitari, Emiliano in questi sette mesi ha sostenuto due esami, ovviamente online: «per qualsiasi contatto con i professori», dice ancora la madre, «abbiamo dovuto fare richiesta».
Per prolungare il periodo di arresti domiciliari, che scade dopo sei mesi, la procura torinese ha attivato una procedura d’urgenza per fissare il processo: la prima udienza si svolgerà il 1° febbraio. «Sono ragazzi giovanissimi», dice la madre di Emiliano, «che sono stati accusati e che quindi saranno processati. Ma tenerli ai domiciliari con misure restrittive pesanti per tutto questo tempo appare una forma di vendetta».
L’avvocata Coletta spiega che «i ragazzi non negano la loro condotta, ma chiediamo che venga inquadrata più correttamente, che sia circostanziata. I fatti sono stati sovradimensionati e amplificati». Durante una conferenza stampa, l’avvocata Colletta aveva detto a questo proposito che «all’udienza del Tribunale del Riesame il Giudice relatore ha quantificato la durata di questi tafferugli, perché non sono nulla di più, in 4 minuti».