Perché la fusione nucleare ci interessa tanto
Per produrre energia economica e con basso impatto ambientale: oggi sono stati annunciati importanti progressi, ma la strada è ancora lunga
di Emanuele Menietti
Per la prima volta un gruppo di ricerca è riuscito a ottenere più energia da una reazione di fusione nucleare rispetto a quella impiegata in partenza per innescarla, hanno spiegato alcuni rappresentanti del dipartimento dell’Energia degli Stati Uniti nel corso di una conferenza stampa organizzata a Washington alle 16 di oggi (ora italiana). È un progresso importante per una tecnologia dalle enormi potenzialità su cui lavorano da decenni migliaia di persone, ma è ancora presto per pensare alle prime centrali a fusione nucleare.
Il risultato era stato anticipato lunedì dal Financial Times e dal Washington Post, grazie alle informazioni fornite da alcuni esperti coinvolti negli esperimenti, che hanno permesso di raggiungere un bilancio energetico positivo, cioè la produzione di più energia di quella utilizzata per ottenere la reazione di fusione.
Il nuovo risultato è considerato un passo notevole verso lo sviluppo di un sistema per produrre facilmente ed economicamente grandi quantità di energia, ma nonostante i titoli molto ottimistici di alcuni giornali e l’entusiasmo degli autori della sperimentazione, il progresso raggiunto è ancora limitato e non risolve completamente il problema del bilancio energetico. Saranno necessari ancora decenni prima di avere una prima centrale elettrica a fusione e vari esperti mettono in dubbio la possibilità stessa che ciò avvenga.
Dalla fissione alla fusione
Da oltre mezzo secolo produciamo energia elettrica dal nucleare attraverso la fissione. In una reazione di questo tipo, i nuclei di atomi pesanti (come gli isotopi plutonio 239 e uranio 235) vengono indotti a spezzarsi, con la conseguente produzione di nuclei con numero atomico inferiore. Questo processo libera una grande quantità di energia termica, che nelle centrali nucleari viene sfruttata per trasformare acqua ad alta pressione in vapore, che fa poi girare turbine cui sono collegati alternatori per produrre energia elettrica.
È un sistema che permette di produrre energia elettrica a costi contenuti e con un minore impatto ambientale rispetto alla produzione dai combustibili fossili, come gas e carbone, ma ha qualche controindicazione. La reazione deve essere tenuta sotto controllo per evitare il rischio che se ne inneschi una incontrollata, che potrebbe portare a gravi contaminazioni, e nel processo si producono residui altamente pericolosi, le “scorie radioattive” che devono essere conservate con cura e isolate dall’ambiente circostante. Questi sono alcuni dei motivi per cui da decenni i ricercatori provano a costruire un reattore alternativo a quelli a fissione, che funzioni con lo stesso principio di ciò che tiene acceso il Sole: la fusione nucleare.
Che cos’è la fusione nucleare
Al contrario di quello che avviene nella fissione in cui i nuclei pesanti vengono spezzati in frammenti più piccoli, nella fusione si uniscono i nuclei leggeri (come quello dell’idrogeno) per ottenerne di più pesanti. Questo processo porta alla formazione di nuovi nuclei la cui massa è minore rispetto alla somma delle masse di quelli di partenza: la massa che manca è emessa come energia, che può poi essere sfruttata.
Descritto in questo modo (con inevitabili grandi semplificazioni) il processo appare piuttosto lineare e senza particolari complicazioni, ma è in realtà molto difficile da riprodurre artificialmente sulla Terra in modo da ottenere più energia di quanta ne venga immessa nel sistema. I nuclei degli atomi tendono a respingersi a vicenda (repulsione elettrica) e sono quindi necessarie temperature nell’ordine di vari milioni di °C per domarli e convincerli a unirsi tra loro.
Negli anni sono stati sviluppati diversi sistemi per farlo, che hanno reso possibile produrre su scale molto limitate fenomeni simili a quelli che avvengono nel Sole. Riusciamo quindi a riprodurre da tempo la fusione qui sulla Terra, ma consumiamo troppa energia per farlo rispetto a quella che otteniamo alla fine del processo: il bilancio energetico è negativo, il sistema non è cioè efficiente a sufficienza.
Tra le soluzioni più esplorate per la fusione nucleare c’è quello dei Tokamak, grandi macchine sperimentali a forma di ciambella nelle quali si producono il vuoto e un intenso campo magnetico necessario per costringere i nuclei degli atomi a vincere la loro repulsione reciproca, come avevamo spiegato più estesamente qui. Un altro sistema prevede invece di impiegare potenti laser per ottenere un risultato simile, ed è proprio questa la tecnologia alla base dell’annuncio fatto oggi negli Stati Uniti.
Dalle armi alle centrali
A Livermore, una cittadina californiana a sud-est di San Francisco, c’è il Lawrence Livermore National Laboratory (LLNL), un centro di ricerca pubblico che si occupa dello studio e dello sviluppo di armi nucleari per il governo degli Stati Uniti, ma che svolge anche lavori di ricerca per l’impiego delle tecnologie nucleari a scopi civili. Queste attività vengono svolte in particolare presso la National Ignition Facility (NIF), un laboratorio dove vengono impiegati potenti laser per riscaldare e comprimere minuscole quantità di idrogeno fino al raggiungimento di una reazione di fusione nucleare (“fusione a confinamento inerziale”).
Al NIF vengono utilizzati 192 potenti laser che convogliano in contemporanea un impulso luminoso verso un minuscolo cilindro di metallo, che raggiunge in pochi istanti una temperatura intorno ai 3 milioni di °C. Il cilindro viene vaporizzato e si produce un’implosione che comprime una sfera di pochi millimetri di deuterio e trizio, due forme più pesanti di idrogeno. L’implosione fa sì che i due elementi fondano in elio, producendo la fusione vera e propria.
Lo scorso anno il NIF aveva annunciato di avere ottenuto una reazione efficiente al 70 per cento, producendo quindi l’equivalente del 70 per cento dell’energia che era stata immessa tramite i laser nel sistema. Era un risultato promettente, ma ancora nell’area del bilancio energetico negativo. L’annuncio di oggi riguarda il raggiungimento di una maggiore efficienza, con una produzione di energia superiore a quella immessa nel sistema per colpire con i laser l’idrogeno. Il risultato è stato ottenuto nel corso di un esperimento condotto il 5 dicembre, che ha portato a produrre 1,5 volte l’energia applicata all’idrogeno tramite gli impulsi laser.
C’è un però
Il risultato ottenuto al NIF è un importante progresso in una tecnologia che per molti esperti è meno promettente rispetto a quella dei Tokamak, ma occorre fare attenzione a un dettaglio non indifferente. Il bilancio energetico positivo di cui si parla è in questo caso riferito all’energia che colpisce l’idrogeno, non all’energia necessaria per produrre gli impulsi laser che vengono poi convogliati verso l’obiettivo. I laser del NIF sono estremamente inefficienti, quindi solo una piccola percentuale dell’energia totale che viene impiegata per far funzionare il sistema finisce poi negli impulsi laser. Il bilancio energetico totale continua quindi a essere negativo e solo con laser più efficienti e maggiore produzione di energia dalla fusione si potrà avere un sistema utile per produrre energia su grande scala.
Ci sono inoltre numerosi altri ostacoli da superare. Al NIF gli esperimenti vengono svolti studiando un singolo impulso laser e non è possibile fare più di un test al giorno, perché ogni volta il sistema deve essere tarato, così come deve essere sostituito l’idrogeno e deve essere lasciato del tempo all’intero sistema per raffreddarsi. In una centrale a fusione, gli impulsi dovrebbero avvenire diverse volte al secondo e si dovrebbe trovare il modo di rendere automatica l’introduzione di nuovi obiettivi da colpire.
Potenzialità
Da tempo ci si chiede quando saranno disponibili sistemi per la fusione nucleare e dare una risposta è pressoché impossibile. Le previsioni fatte finora sono state tutte smentite, ma gli investimenti da svariati miliardi di euro per i progetti di ricerca non mancano, perché se si riuscisse davvero a trasformare i vari progressi nella ricerca in sistemi commercialmente utilizzabili ci sarebbe una radicale trasformazione del modo in cui produciamo energia elettrica. La sua produzione diventerebbe enormemente più economica e con un impatto ambientale trascurabile, rendendo accessibile e sostenibile ciò che ha reso più di tutto possibile lo sviluppo delle nostre società nell’ultimo secolo e mezzo.
Secondo i più scettici non riusciremo a ottenere sistemi efficienti a sufficienza per produrre energia dalla fusione nucleare, mentre i più ottimisti ritengono che gli sforzi nella ricerca e le ingenti spese siano più che giustificati visti i grandi vantaggi che porterebbe questa tecnologia. Saranno comunque necessari ancora svariati decenni prima di avere centrali a fusione, troppi per ritenere questo sistema una soluzione ai problemi legati al riscaldamento globale, ormai attuali e che richiedono risposte rapide proprio legate ai modi in cui produciamo oggi energia bruciando combustibili fossili ed immettendo grandi quantità di gas serra nell’atmosfera.