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  • Venerdì 9 dicembre 2022

Come si fa uno scambio di prigionieri

Non c'è una vera prassi, e nel caso di Griner come nella Guerra fredda dipende da quanti compromessi vogliono fare i paesi coinvolti

Dal film “Il ponte delle spie”
Dal film “Il ponte delle spie”
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Giovedì la giocatrice statunitense di basket Brittney Griner è stata liberata dopo 9 mesi di prigionia in Russia, grazie all’impegno di Joe Biden e della moglie di Griner, Cherelle Watson. La liberazione è stata possibile solo alle condizioni poste dai russi: cioè che Griner venisse scambiata con Viktor Bout, un trafficante d’armi russo detenuto negli Stati Uniti dal 2010. Lo scambio è convenuto ai russi, visto che Bout stava scontando 25 anni per reati legati al traffico di armi, mentre Griner era stata condannata a 9 anni per un reato assai minore, cioè per essere stata trovata in possesso di alcune cartucce per un vaporizzatore con olio di hashish durante una perquisizione all’aeroporto. Ma questo squilibrio dimostra una regola costante negli scambi di prigionieri del presente e del passato: ossia che non ci sono regole.

Come aveva spiegato l’Economist, non esiste una dottrina da seguire in questo specifico ambito. Tradizionalmente le cose vanno in modo diverso in ambito militare: nel corso dei secoli si è stabilita una prassi non scritta per cui due paesi in guerra possono scambiarsi prigionieri feriti per ragioni umanitarie, o personale militare di pari livello (un colonnello per un colonnello, per intenderci). In ambito civile, però, o quando i due paesi non sono formalmente in guerra, non c’è un codice a cui attenersi.

I paesi coinvolti decidono la linea a seconda dei singoli casi, tenendo conto delle contingenze e del proprio tornaconto. Dato che a volte i prigionieri sono comunque persone che in un modo o nell’altro hanno avuto a che fare con le istituzioni del proprio paese, capita che l’elemento decisivo sia la quantità di informazioni in possesso del prigioniero. Questo è uno dei motivi per cui durante la Guerra fredda ci furono molti scambi tra Unione Sovietica e Stati Uniti, poiché entrambi temevano ciò che una propria spia catturata avrebbe potuto rivelare.

Nel caso di Griner, il governo statunitense si era speso molto perché si trattava di un personaggio sportivo molto celebre in patria, e anche per via della pressione dell’opinione pubblica. Al contrario, il motivo per cui la Russia volesse così insistentemente la liberazione di Bout rimane poco chiaro. L’ipotesi più accreditata è che nel corso della sua attività abbia avuto rapporti con l’intelligence dell’esercito, il GRU (Glavnoe razvedyvatel’noe upravlenie), e questo lo abbia messo al corrente di informazioni delicate.

Il fatto che la Russia volesse un prigioniero per molti versi “pesante” aveva spinto il governo statunitense a chiedere di includere nello scambio anche Paul Whelan, un ex marine del Michigan detenuto in Russia dal 2018 con accuse di spionaggio. Per mesi le trattative erano rimaste bloccate, al punto che lo scorso luglio il segretario di Stato americano, Antony Blinken, aveva pubblicamente accusato la controparte russa di aver rifiutato un’offerta generosa: una mossa piuttosto inusuale, dal momento che questo genere di trattative avviene spesso discretamente, all’oscuro della stampa e senza annunci pubblici fino a che lo scambio non è avvenuto.

È anche vero che non è sempre così, e la buona riuscita della trattativa può anche dipendere da un atteggiamento pubblico più audace dei governi. Nicholas Daniloff, un giornalista statunitense che venne imprigionato in Unione Sovietica nel 1986 con false accuse di spionaggio, ha raccontato che la sua liberazione fu condizionata dal fatto che l’amministrazione di Ronald Reagan decise di esporsi fin da subito, dicendo pubblicamente che Daniloff era stato «preso in ostaggio». Il Congresso approvò una risoluzione per chiedere l’immediato rilascio di Daniloff, che avvenne dopo due settimane: si seppe poi che i servizi segreti sovietici avevano catturato Daniloff semplicemente per usarlo come “moneta” di scambio e ottenere il rilascio di una spia sovietica detenuta negli Stati Uniti, Gennadi Zakharov.

Sia oggi che in passato, la questione decisiva molto spesso è quanto un paese sia disposto a scendere a compromessi. Un esempio in questo senso è il caso dei due fucilieri italiani detenuti in India per l’omicidio di due pescatori. Nel 2016 il governo italiano riuscì a riportare in Italia uno dei due, Salvatore Girone, dopo una lunga trattativa che logorò i rapporti diplomatici tra i due paesi. Il risultato venne ottenuto a una condizione: che qualora il tribunale dell’Aia avesse deciso di affidare la giurisdizione del caso all’India, Girone sarebbe dovuto tornare. Nel 2020 l’Aia decise che la giurisdizione spettava all’Italia e il caso dei due fucilieri fu archiviato.

Un altro caso in cui un governo dovette fare importanti concessioni coinvolse Iran e Regno Unito in anni recenti. Nel 2016 Nazanin Zaghari-Ratcliffe, una cittadina anglo-iraniana, fu accusata di spionaggio e imprigionata in Iran mentre lavorava per una fondazione umanitaria. Il marito di Zaghari-Ratcliffe, Richard Ratcliffe, fece un’incessante campagna di sensibilizzazione facendo anche scioperi della fame e cercando di mettere pressione al governo britannico per riportare Zaghari-Ratcliffe nel Regno Unito. Per la sua liberazione e quella di un’altra cittadina anglo-iraniana, Anoosheh Ashoori, l’Iran chiese in cambio la cancellazione di un antico debito che aveva con il Regno Unito, di circa 450 milioni di euro. Il governo britannico accettò e le due donne furono liberate.

Corrispondere un pagamento in denaro è una strada che i paesi democratici normalmente non percorrono, o almeno che dicono pubblicamente di non percorrere, perché potrebbe renderli in qualche modo più ricattabili, incentivando paesi meno democratici a usare i prigionieri come se fossero ostaggi.

Inoltre a volte la concessione di una delle due parti può non essere economica, ma politica. Un caso di questo genere ha riguardato l’Italia tra settembre e dicembre 2020, quando furono catturati 18 pescatori italiani in Libia. Rimasero sotto sequestro per 108 giorni, finché il ministero degli Esteri accordò al maresciallo Khalifa Haftar un incontro diplomatico ufficiale in cambio della loro liberazione. All’incontro parteciparono Giuseppe Conte, allora presidente del Consiglio, e Luigi Di Maio, suo ministro degli Esteri.

Il ponte Glienicker di Berlino, dove avvennero alcuni degli scambi di prigionieri più celebri della Guerra fredda (AP Photo/Kreusch)

Durante la Guerra fredda lo scambio di prigionieri, perlopiù spie, diventò una specie di routine, ma si basava sulla stessa logica di oggi: cercare di guadagnare qualcosa dallo scambio, in termini di consenso interno o di protezione di informazioni sensibili. Gli scambi erano talmente frequenti che un avvocato tedesco, Wolfgang Vogel, si specializzò nel fare da intermediario tra il blocco sovietico e quello occidentale. Vogel partecipò a circa 150 scambi di prigionieri, alcuni tra i più celebri di quel periodo, compreso quello del pilota statunitense Gary Powers e della spia Rudolf Abel, avvenuto nel 1962 sul ponte Glienicke di Berlino.

La vicenda fu raccontata anche dal film Il ponte delle spie, di Steven Spielberg. Così infatti venne soprannominato il ponte Glienicke, visto che in quel punto avvennero diversi scambi di prigionieri tra sovietici e americani, in una dinamica talvolta più tesa ma non così diversa da quella che si vede nel video di liberazione di Griner e Bout, diffuso giovedì dalle agenzie di stampa russe.

Sul ponte Glienicke è avvenuto anche un altro scambio di prigionieri piuttosto noto: Natan Sharansky e quattro spie occidentali in cambio di quattro spie dei servizi segreti sovietici, nel 1986. Sharansky era stato per anni un prigioniero politico e dissidente, condannato ai lavori forzati nel 1977. La sua resistenza non cessò nemmeno nel momento della liberazione. Da un lato del ponte c’erano i funzionari sovietici, dall’altro l’ambasciatore americano Richard Burt. I sovietici dissero a Sharansky che era libero e che avrebbe dovuto raggiungere Burt camminando seguendo una linea retta. Sharansky per tutta risposta si diresse all’altro capo del ponte zigzagando.

Lo scambio tra Rudolf Abel e Gary Powers avvenne con una dinamica simile, ma in un clima ancora più teso, perché era il primo scambio di prigionieri in quel punto, e in una fase della Guerra fredda più delicata. Proprio per questi motivi venne organizzato in segreto e all’alba. Oggi gli scambi di prigionieri avvengono solitamente con più disinvoltura, ma è comunque un momento in cui si avverte una certa tensione tra le parti, nonostante si svolgano di norma in un paese terzo, e che abbia buone relazioni diplomatiche con entrambi quelli coinvolti. Lo scambio tra Griner e Viktor Bout si è svolto sulla pista di un aeroporto di Abu Dhabi, negli Emirati Arabi Uniti. Griner era scortata da uomini in abito scuro, si è incontrata brevemente con Bout che poi è stato preso in consegna dagli stessi uomini.

La dinamica di questo scambio è quasi del tutto analoga a quello di un altro avvenuto di recente, lo scorso aprile, tra l’ex marine Trevor Reed e il pilota Konstantin Yaroshenko: sempre sulla pista di un aeroporto (stavolta in Turchia) e sempre con i prigionieri che si incrociano brevemente, scortati da uomini in abito scuro.