Per l’Argentina il Mondiale è un’altra cosa
Fra inflazione e crisi finanziaria, gli argentini hanno investito nella Nazionale di calcio ancora più speranze del solito
La passione e l’intensità con cui l’Argentina vive il rapporto con la sua nazionale di calcio, specialmente negli appuntamenti mondiali, è stata così raccontata da sembrare un luogo comune. Le cronache di questi giorni in corrispondenza del torneo in Qatar confermano però questo rapporto centrale del calcio e della squadra nazionale – che venerdì gioca i quarti di finale contro l’Olanda – nella società argentina: non ha corrispettivi nel mondo, se non in Brasile.
Il tifo e la passione per la nazionale sono una costante in Argentina, almeno dagli anni Settanta. Ai Mondiali di quest’anno però gli argentini sembrano aver investito sulla loro nazionale speranze anche superiori al consueto, come elemento di orgoglio, riscatto e unità nazionale. Secondo vari analisti, dopo vent’anni di disastri economici e umiliazioni politiche, alle prese con una nuova e imminente crisi finanziaria, gli argentini «hanno bisogno» di un buon risultato mondiale, soprattutto ora che la situazione politica ed economica sta tornando a peggiorare. Per questo stanno riponendo enormi speranze nella loro nazionale, come unico modo per sfogare un nazionalismo molto presente in tutti gli ambiti politici ma anche molto umiliato dagli eventi di questi anni.
La situazione economica dell’Argentina è nuovamente a livelli preoccupanti: il tasso d’inflazione è attualmente all’80 per cento su base annua e potrebbe raggiungere il 100 per cento entro la fine dell’anno. Il 36 per cento della popolazione vive in condizioni di povertà. Nel paese esiste un cambio ufficiale con il dollaro e uno clandestino, definito “dólar Blue”, quasi doppio rispetto a quello ufficiale e completamente sdoganato, con tanto di quotazioni sui giornali. La seconda maggiore economia del Sudamerica non ha più accesso ai fondi internazionali, ha un debito di oltre 40 miliardi di dollari con il Fondo Monetario Internazionale e sembra vicina a esaurire le proprie riserve monetarie.
Uno scenario che si è già verificato e ripetuto, nel modo più grave nel 2001 e poi nuovamente nel 2014, e che è favorito da una situazione bloccata anche a livello politico, con le crescenti divisioni fra il presidente Alberto Fernández e l’influente vicepresidente Cristina Fernández de Kirchner (i due non sono parenti), presidente dal 2007 al 2015 e recentemente condannata per corruzione.
Il governo, in questo contesto, sembra essersi allineato al desiderio popolare di concentrarsi sul calcio per non pensare ai problemi nazionali: la ministra del Lavoro Kelly Olmos ha recentemente dichiarato che la priorità di questo mese fosse «vincere il Mondiale, più che combattere l’inflazione». Si è poi dovuta scusare, ribadendo però che «la vittoria in Qatar sarebbe molto importante per ciò che significherebbe a livello morale per il paese».
Le commistioni fra politica e calcio sono sempre state numerose, nella storia dell’Argentina ai Mondiali, a partire dall’edizione del 1978 vinta in casa durante la dittatura militare. Nel 1986 la seconda e ultima vittoria, dalla squadra di Diego Armando Maradona, diventò una rappresentazione del potenziale di un paese tornato alla democrazia e desideroso di prendersi le proprie rivincite, a partire da quelle sull’Inghilterra, sconfitta dai gol di Maradona (uno di mano, uno bellissimo: entrambi storici) per riscattare l’umiliazione delle Falklands/Malvinas.
La sorprendente eliminazione al primo turno nei Mondiali del 2002 sembrò invece la trasposizione sul campo della grande crisi finanziaria, economica e sociale di qualche mese prima.
Nel tentativo di spiegare l’impatto del calcio in Argentina a un pubblico nordamericano l’antropologo Javier Bundio ha detto: «Il calcio funziona culturalmente come una identità primaria, persino più importante della religione». Se la cosa crea divisioni e problemi quando si tratta di tifo di squadre di club, il supporto per la nazionale è davvero capace di unire la nazione.
Quasi ogni singolo negozio e bar di Buenos Aires (e non solo) ha allestito le proprie vetrine con i colori bianco e azzurro della nazionale e le magliette non esattamente originali della Selección sono in vendita a ogni incrocio, anche nei giorni in cui non sono previste partite. I tabelloni luminosi che normalmente segnalano ingorghi o incidenti sulle strade cittadine sono fissi sulla scritta «Vamos Argentina, Pasión Mundial». Lionel Messi, il miglior giocatore a cui è appesa gran parte delle speranze di vittoria finale è testimonial di un’infinità di prodotti, in un regime di quasi monopolio, almeno per questo mese. Gli appuntamenti settimanali, anche quelli scolastici, vengono modulati in base al calendario delle partite, che si giocano solitamente nella mattinata o nel primo pomeriggio argentino.
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Tutta questa attenzione si trasforma in una certa pressione su giocatori e staff tecnico della nazionale. Dopo la sorprendente sconfitta nella gara inaugurale contro l’Arabia Saudita, i gol di Messi e Fernandez nella seconda gara con il Messico sono stati accolti con un pianto liberatorio da parte del vice allenatore Pablo Aimar e poi del commissario tecnico Lionel Scaloni: un sfogo decisamente inusuale a metà di una partita del girone iniziale del mondiale.
Al centro della squadra, dell’attenzione e della pressione c’è Lionel Messi, arrivato al suo ultimo Mondiale (ha 35 anni) e investito della missione di riportare al titolo l’Argentina dopo oltre 36 anni. Vincitore per sette volte del Pallone d’Oro, considerato il miglior giocatore argentino dopo Maradona e uno dei migliori di sempre, ha vissuto con la nazionale una storia contrastata, riuscendo a centrare il primo grande trofeo con la maglia dell’Argentina solo un anno fa, con la vittoria nella Copa America.
Se il culto di Maradona come simbolo di argentinità, a due anni dalla morte, è ormai universale nel paese e trascende le questioni sportive, il tifo per Messi ha raggiunto dimensioni mai toccate in passato. Messi, da due anni al Paris Saint-Germain, sta disputando un Mondiale di alto livello. Nonostante un rigore sbagliato contro la Polonia, ha segnato tre gol in quattro partite ed è stato spesso la soluzione, con le sue iniziative personali, a un gioco offensivo non sempre brillante.
Messi sembra aver imparato a gestire le responsabilità che in passato lo avevano schiacciato: le sue prestazioni sono fondamentali per il futuro della nazionale, ma non è esagerato dire che influiranno anche su quello del paese. Un recente sondaggio ha mostrato come il 77 per cento dei cittadini ritenga che il risultato ai Mondiali condizionerà il “morale del paese”: una delusione in Qatar non sarebbe accolta con lo stesso fatalismo con cui gli argentini sembrano affrontare le ricorrenti crisi economiche. Dicembre è tradizionalmente un mese di proteste e tensioni sociali in Argentina: i motivi per farle cominciare non mancherebbero, se l’investimento sul Mondiale non dovesse dare i suoi frutti.