Il Mondiale dei calciatori mascherati
Come Josko Gvardiol e Son Heung-min, che con maschere piuttosto appariscenti hanno potuto giocare nonostante due brutte fratture
di Pietro Cabrio
Le maschere protettive non sono una novità per il calcio professionistico né per lo sport in generale. Si usano da anni in caso di fratture o forti contusioni facciali: infortuni che non impediscono di giocare ma che richiedono appunto una protezione per evitare altri traumi e conseguenti peggioramenti. Un tempo però si usavano quando proprio era indispensabile farlo, perché non erano molto comode e spesso diventavano un ingombro durante le partite (qualcuno si ricorderà un Inter-Chelsea in cui Julio Cesar preferì giocare senza, con naso gonfio e occhi neri dopo un incidente in macchina).
Anche qui però, come nel caso dei palloni, la tecnologia si è evoluta e sta permettendo cose che un tempo non erano possibili. Ai Mondiali in Qatar diversi giocatori hanno giocato o stanno ancora giocando con mascherine protettive come conseguenza di seri infortuni subiti appena poche settimane prima, tra cui delicate fratture a nasi, zigomi e orbite.
Le mascherine più appariscenti viste ai Mondiali sono peraltro di due giocatori ritenuti essenziali per le loro nazionali. Uno è Josko Gvardiol, difensore croato di vent’anni, già titolare inamovibile della Croazia e uno dei migliori nel suo ruolo a questi Mondiali. Gvardiol gioca in Germania con il Lipsia e a inizio novembre, in uno scontro di gioco con un compagno di squadra, si era rotto il naso e aveva subito altri traumi facciali. Visti i tempi stretti e l’inizio dei Mondiali, Gvardiol ha continuato a giocare senza perdere una partita grazie a una mascherina integrale in carbonio rinforzata proprio all’altezza del naso. Per lasciargli una buona visibilità, le orbite sono state allargate il più possibile.
L’altro giocatore “mascherato” è Son Heung-min, che con la Corea del Sud è stato appena eliminato dal Brasile agli ottavi di finale. Son si è fratturato un’orbita giocando in Champions League con il Tottenham lo scorso primo novembre. Aveva saltato le successive tre partite di campionato, ma per la Corea è un giocatore irrinunciabile — oltre che il capitano — e nelle quattro partite disputate ai Mondiali è sempre stato in campo dall’inizio alla fine. Ha potuto farlo grazie a una mascherina che per sua stessa ammissione ha trovato «più comoda e leggera» di quanto pensasse. Nonostante sia stato tra i migliori della sua nazionale, c’è chi sostiene però che le sue prestazioni siano state in qualche modo condizionate proprio dalla mascherina, che ne avrebbe limitato la vista periferica, essenziale per un giocatore offensivo come lui.
In entrambi i casi, le mascherine sono state realizzate in fibra di carbonio, un materiale leggero ma al contempo molto resistente. Per entrambi, le maschere sono state fatte partendo dai calchi delle loro facce, così da ridurre al minimo ingombri e limitazioni alla vista. Nel caso di Son è stato possibile farlo fino a un certo punto, dato che la sua doveva proteggere proprio l’orbita dell’occhio. In compenso è stata la mascherina più imitata dai tifosi, in particolare sudcoreani, perché diventata distintiva del giocatore e forse anche perché simile a quelle classiche carnevalesche.
Mascherine simili sono state usate anche dal portiere iraniano Alireza Beiranvand e dal centrocampista tunisino Ellyes Skhiri. Nella prima partita contro l’Inghilterra Beiranvand si era scontrato con un compagno di squadra ed era dovuto uscire per i gravi traumi subiti, fortunatamente per lui senza fratture. Era poi riuscito a tornare in tempo per l’ultima partita contro gli Stati Uniti. Skhiri invece si era rotto uno zigomo a fine ottobre.
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