Il governo non sa cosa fare con le concessioni balneari
Il settore va riformato, ma farlo costerebbe politicamente alla destra: entro febbraio vanno decise le regole per le gare internazionali
La scorsa settimana il ministro per le Politiche del mare, Nello Musumeci, ha detto che il governo non si è ancora occupato della riforma delle concessioni balneari iniziata da Mario Draghi, nonostante le imminenti scadenze. Musumeci ha addirittura ammesso che non si sa ancora chi, tra i ministri, se ne occuperà. «Formalmente la delega non mi è neanche arrivata», ha detto all’agenzia Adnkronos. È un segnale piuttosto evidente della riluttanza con cui il governo sta affrontando questa importante riforma: non può essere ignorata per via degli impegni presi negli ultimi anni, ma allo stesso tempo costituisce un significativo problema politico per la destra.
La riforma delle concessioni balneari è attesa da anni. La Commissione europea è intervenuta più volte per chiedere all’Italia di regolare le concessioni delle spiagge, che sono un bene pubblico.
Già dal 2006, con l’approvazione della direttiva Bolkestein, i governi italiani avrebbero dovuto garantire concorrenza in un settore immobile da decenni. Per liberalizzare le spiagge servirebbero gare internazionali con regole equilibrate, ma finora le concessioni balneari sono sempre state prorogate senza gara. A differenza di molti altri beni pubblici, per cui lo Stato organizza periodicamente gare per la concessione al miglior offerente, le spiagge sono gestite da imprenditori che spesso le hanno ottenute decenni fa.
I governi italiani che si sono succeduti negli ultimi anni non hanno mai applicato questa direttiva, sostenendo che avrebbe avuto conseguenze troppo grandi e che nel caso delle concessioni balneari avrebbe danneggiato ingiustamente molte imprese.
Gli stabilimenti balneari hanno quindi continuato a pagare canoni di affitto molto ridotti. Secondo gli ultimi dati della Corte dei Conti, nel 2020 lo Stato ha incassato 92 milioni e 566mila euro per 12.166 concessioni “ad uso turistico” a fronte di un giro d’affari difficile da stimare con precisione, ma che negli ultimi anni è stato quantificato in 15 miliardi di euro all’anno dalla società di consulenza Nomisma. Questa stima è stata contestata da uno studio commissionato dal Sindacato Balneari in collaborazione con Confcommercio secondo cui il giro di affari ammonterebbe a un miliardo di euro.
Dal 2021 è stato introdotto il canone minimo annuo a 2.500 euro, che nel 2022 sono diventati 2.698 per gli aumenti Istat: si tratta di somme comunque molto contenute rispetto ai benefici garantiti dal possesso di una concessione balneare. L’indagine della Corte dei Conti spiega il problema in poche righe piuttosto efficaci: «I canoni attualmente imposti non risultano, in genere, proporzionati ai fatturati conseguiti dai concessionari attraverso l’utilizzo dei beni demaniali dati in concessione, con la conseguenza che gli stessi beni non appaiono, allo stato attuale, adeguatamente valorizzati». Insomma, gli stabilimenti balneari pagano le concessioni troppo poco rispetto ai loro guadagni.
Nel 2018 il primo governo di Giuseppe Conte, sostenuto anche dalla Lega, approvò la proroga delle concessioni fino al 2033. Il provvedimento fu bloccato dal Consiglio di Stato che esortò il governo a rispettare la direttiva Bolkestein fissando la proroga al massimo fino al 31 dicembre 2023.
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Inizialmente la scadenza è stata mantenuta anche dal governo Draghi, che lo scorso febbraio ha approvato un disegno di legge chiedendo al Parlamento una delega per riformare il sistema con una serie di decreti attuativi, compito che di norma spetterebbe proprio al parlamento. Nell’approvazione definitiva dello scorso agosto è stato previsto uno slittamento fino al 31 dicembre 2024 nei casi in cui vi siano «ragioni oggettive» che impediscano lo svolgimento della gare, per esempio ritardi da parte dei comuni.
La legge prevede che le gare per assegnare le concessioni debbano essere «imparziali» e favorire la partecipazione «delle microimprese e piccole imprese, e di enti del terzo settore». Saranno definiti i «presupposti e i casi per l’eventuale frazionamento in piccoli lotti» e sarà individuato un «numero massimo di concessioni» di cui si può essere titolari.
Le gare saranno preparate in modo che gli attuali proprietari conservino comunque un vantaggio competitivo: conterà «l’esperienza tecnica e professionale già acquisita», «comunque tale da non precludere l’accesso al settore di nuovi operatori», e una corsia preferenziale sarà riservata alle persone che «nei cinque anni antecedenti l’avvio della procedura hanno utilizzato la concessione come prevalente fonte di reddito». Tra le altre cose, le concessioni dovranno assicurare un impatto minimo sul paesaggio, sull’ambiente e sull’ecosistema.
La riforma delle concessioni balneari, inserita nella più ampia legge sulla concorrenza, è stato uno degli ultimi provvedimenti approvati dal governo Draghi. Tuttavia per applicarla servono almeno altri due passaggi molto importanti che spettano al governo attualmente in carica.
Il primo consiste in una mappatura di tutte le concessioni che il governo dovrebbe fare con un sistema informatico chiamato Siconbep, il Sistema informativo di rilevazione delle concessioni di beni pubblici. In sostanza è un sistema con cui lo Stato può raccogliere i dati sulle concessioni direttamente dagli enti locali. In realtà molti di questi dati sono già disponibili e messi a disposizione dal ministero delle Infrastrutture. Sono aggiornati a maggio 2021, quindi piuttosto recenti, e comprendono tutte le 12.166 concessioni ad uso turistico.
In questa mappa si possono consultare tutti i canoni. Per comodità abbiamo evidenziato alcune delle località balneari più note. In alcune regioni, come in Sicilia, i dati relativi ai canoni annui non sono stati resi disponibili.
L’altro passaggio, il più importante, consiste nella definizione dei criteri per le gare internazionali. Lo schema delle regole dovrà essere approvato con un decreto attuativo entro il prossimo febbraio. La stesura dei decreti attuativi è una delle fasi più delicate del complesso procedimento legislativo italiano. Dopo l’approvazione del Consiglio dei ministri e la pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale, infatti, il contenuto delle leggi deve essere valutato in tutti i suoi aspetti più pratici dai responsabili dei ministeri che hanno il compito di stabilire le modalità per la concreta applicazione.
I tempi sono molto stretti e soprattutto c’è un significativo problema politico: in campagna elettorale, infatti, la coalizione di destra ha promesso di tutelare le imprese del settore balneare. Non è ancora chiaro come intenda farlo, visto che annullare la riforma sembra essere impossibile per via degli impegni presi con l’Unione Europea. Al momento la strategia è di rallentarla il più possibile.
Secondo il Sole 24 Ore, la soluzione trovata dal governo potrebbe essere di rinviare di sei mesi la scadenza di febbraio e inserirla nel prossimo decreto chiamato “Milleproroghe”. L’obiettivo è prendere tempo per tentare di chiedere all’Unione Europea di escludere le concessioni balneari dalla direttiva Bolkestein. È un tentativo già fatto in passato, invano. «C’è un’interlocuzione con l’Europa», ha detto il deputato di Fratelli d’Italia Tommaso Foti. «Il governo di centrodestra pensa che la Bolkestein non debba essere applicata al settore balneare, ma è ovvio che se dovesse arrivare un’ulteriore risposta negativa, non potremo non prenderne atto, perché si tratta di una direttiva europea e non della volontà del governo italiano».