È entrato in vigore il tetto al prezzo del petrolio russo deciso dai paesi occidentali e da altri loro alleati
Da lunedì è iniziata l’imposizione di un tetto al prezzo del petrolio russo da parte di diversi paesi: i membri del G7 (Canada, Francia, Germania, Giappone, Italia, Regno Unito e Stati Uniti), l’Unione Europea e l’Australia. In sostanza questi paesi hanno deciso che acquisteranno il petrolio venduto dalla Russia a non più di 60 dollari al barile, anche se il prezzo di mercato dovesse essere più alto (in questo momento supera gli 80 dollari al barile).
L’obiettivo è aumentare la pressione sulla Russia, in conseguenza della sua invasione dell’Ucraina, ma anche cercare di far stabilizzare i prezzi, che proprio a causa della guerra sono molto aumentati negli ultimi mesi. L’intesa tra i paesi che aderiranno al tetto era stata definitivamente trovata venerdì, ma aveva lasciato insoddisfatto il governo ucraino che chiedeva un tetto di 30 dollari al barile, cioè metà di quello deciso.
La Russia è il secondo produttore di petrolio al mondo, e la sua economia si basa in gran parte sulla vendita di petrolio e gas ad altri paesi: con l’imposizione di un tetto al prezzo del petrolio da parte di alcuni dei suoi maggiori acquirenti, sarà costretta o ad accettare di guadagnare meno di quello che il mercato le consentirebbe, o a rinunciare del tutto a quelle entrate cercando altri acquirenti o accumulando scorte, con il rischio però di gravi conseguenze sulla sua economia. Il vice primo ministro russo Alexander Novak, che ha la delega all’Energia, domenica ha detto che la Russia non venderà il suo petrolio a paesi che proveranno a imporre un tetto al suo prezzo, «anche se significherà ridurre un po’ la produzione».
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