Chi deve risarcire le famiglie delle vittime dei nazisti?

Diversi tribunali italiani dicono la Germania, la giustizia internazionale ritiene di no, ma è una disputa legale ancora in corso

Il mausoleo delle Fosse Ardeatine a Roma 
(ANSA/FABIO FRUSTACI)
Il mausoleo delle Fosse Ardeatine a Roma (ANSA/FABIO FRUSTACI)
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È in corso da tempo uno scontro legale tra i familiari delle vittime dei crimini di guerra commessi dai nazisti in Italia tra il 1939 e il 1945 e la Repubblica federale tedesca. Nella controversia sono intervenuti la Corte di giustizia internazionale, il governo italiano con un decreto legge e, nei giorni scorsi, un giudice del tribunale civile di Roma che, con una sua decisione, ha contestato il decreto del governo. A contrapporsi sono due principi: da una parte l’impossibilità di uno Stato di esercitare la propria giurisdizione su un altro Stato, e dall’altra l’inviolabilità dei diritti umani. 

È una questione complessa che potenzialmente potrebbe avere conseguenze anche su ciò che avverrà in futuro se i familiari di vittime ucraine decideranno di intentare causa contro il governo russo. Negli anni scorsi alcuni familiari delle vittime dei nazisti vinsero una serie di cause contro la Repubblica federale tedesca: i risarcimenti decisi dai tribunali italiani e passati in giudicato, divenuti quindi esecutivi, non sono però mai Stati retribuiti dalla Germania, che si è sempre opposta ricordando che, dopo gli accordi di Bonn del 1962, aveva già corrisposto all’Italia 40 milioni di marchi tedeschi, equivalenti a circa 1,5 miliardi di euro di oggi. Negli accordi di Bonn era scritto tra l’altro:

Sono definite tutte le rivendicazioni e richieste della Repubblica italiana, o di persone fisiche o giuridiche italiane, ancora pendenti nei confronti della Repubblica Federale di Germania o nei confronti di persone fisiche o giuridiche tedesche, purché derivanti da diritti o ragioni sorti nel periodo tra il 1 settembre 1939 e l’8 maggio 1945.

La Germania stabilì insomma che con quei 40 milioni di marchi dovevano ritenersi soddisfatte tutte le richieste di risarcimento: erano però destinati allo Stato italiano e non ai parenti delle vittime.

In pratica, la Germania afferma che sia stata violata la sua “immunità giurisdizionale” da parte dell’Italia, che ha continuato a permettere alle vittime di crimini di guerra nazisti di chiedere risarcimenti. È una rivendicazione che si regge sulla norma che risponde al principio Par in parem non habet imperium: cioè l’uguale (uno Stato) non ha giurisdizione su un suo uguale (un altro Stato). Questo anche di fronte a gravi violazioni dei diritti umani.

Nel 2012 una sentenza della Corte internazionale di giustizia, il tribunale che risolve le controversie fra stati che appartengono all’ONU e che si trova all’Aia, aveva dato ragione alla Germania, sostenendo che le richieste dei familiari delle vittime italiane violavano il diritto internazionale. Nel 2014 la Corte Costituzionale italiana, con una sentenza molto elaborata, stabilì invece:

la prevalenza del principio e meta-valore del rispetto dei diritti inviolabili a fronte di delicta imperii, cioè di atti compiuti in violazione di norme internazionali di ius cogens tali da determinare la rottura di un potere sovrano riconoscibile come tale; con conseguente recessione del principio dell’immunità statale, che non costituisce un diritto quanto piuttosto una “prerogativa” dello Stato nazionale (…). 

In sostanza, stabilì l’inapplicabilità del principio di immunità statale in caso di Stati che non abbiano rispettato i diritti inviolabili dell’uomo, come nel caso della Germania nazista. Ciò nonostante la Germania ha continuato a sostenere di non dover dare seguito ai risarcimenti. 

Anche dopo la sentenza della Corte internazionale del 2012 ci sono state 25 richieste di risarcimento presentate in Italia contro lo stato tedesco. In almeno 15 procedimenti, ha sostenuto la Germania, i tribunali nazionali italiani hanno preso in considerazione e autorizzato le richieste di risarcimento. Ad aver ottenuto decisioni favorevoli da parte dei tribunali italiani sono stati parenti di ex Imi, cioè Internati militari italiani e delle vittime delle Fosse Ardeatine (a Roma, 335 assassinati il 24 marzo 1944) e di Fucecchio (Firenze, 174 assassinati il 23 agosto 1944), membri della comunità ebraica, discendenti di partigiani.

La questione dei risarcimenti era stata sollevata nuovamente dopo i processi vinti dai figli di Giorgio Angelantonio, che dopo l’8 settembre del 1943 si rifiutò di aggregarsi alle SS e fu quindi trasferito nel campo di concentramento di Dachau, in Germania, il primo aperto dai nazisti, e di Gualberto Cavallina, partigiano della XIV Brigata Garibaldi Trieste che, catturato il 25 novembre del 1944, venne deportato prima a Dachau poi a Natzweiler, il solo campo di concentramento costruito dai tedeschi in territorio francese.

In quest’ultimo caso i familiari del partigiano, rappresentati dallo studio legale di Fabio Anselmo (l’avvocato delle famiglie di Federico Aldrovandi e Stefano Cucchi), hanno ottenuto un risarcimento di 100 mila euro, deciso dalla giustizia italiana. Quel risarcimento, come negli altri casi, non è mai stato corrisposto dal governo tedesco. Nel maggio del 2022 era prevista una sentenza che poteva decidere il pignoramento diretto di alcuni beni tedeschi in Italia, tra cui la sede dell’istituto culturale statale Goethe-Institut a Roma.

Per cercare di chiudere la vicenda ed evitare ulteriori scontri con la Germania, il 30 aprile 2022 il governo presieduto da Mario Draghi approvò un decreto-legge stabilendo una nuova disciplina per “il ristoro dei danni subìti dalle vittime di crimini di guerra e contro l’umanità, in danno di cittadini italiani dalle forze del Terzo Reich nel periodo tra il 1° settembre 1939 e l’8 maggio 1945”. Il decreto-legge impose un limite, il 30 maggio 2022, a “tutte le cause in cui le vittime di deportazioni e torture, e i loro eredi, hanno presentato istanza di risarcimento alla Germania: dopo quel termine non è più possibile agire”. Con il decreto venne istituito un fondo per i risarcimenti di 55.424.000 euro con soldi raccolti dal Fondo per far fronte ad esigenze indifferibili e dal Fondo per interventi strutturali di politica economica.

In pratica, con il decreto, l’Italia si sostituiva alla Germania nei risarcimenti e sollevava definitivamente lo Stato tedesco dalla responsabilità di doverli pagare. Il decreto legge però aveva sollevato molte proteste. Giulio Disegni, vice presidente delle Comunità ebraiche italiane, aveva detto parlando con Repubblica: «il decreto legge ci ha lasciati sgomenti a cominciare dallo strumento scelto, urgente, quando si parla di crimini di guerra, talmente gravi e imprescrittibili, cui invece si pone un termine definitivo. Le preoccupazioni non sono delle comunità ebraiche, ma riguardano tutta la società civile. Ci preme garantire la possibilità di ricorrere contro chi ha lacerato famiglie e affetti». 

La somma stanziata era destinata a 80 persone che avevano vinto la causa, a patto che quest’ultima fosse passata in giudicato, ma erano state promesse anche a chi avesse ricevuto ragione da un tribunale nei successivi tre mesi. L’avvocato Giuliano Arria, legale di alcuni parenti delle vittime, disse: «È una ulteriore beffa per chi, dimenticato per 70 anni, si è visto chiedere d’urgenza di aprire un processo».

Adesso è stata la giudice Miriam Iappelli, del tribunale civile di Roma, a impugnare di fatto la decisione del governo Draghi. Ha deciso di coinvolgere di nuovo la Corte Costituzionale sostenendo che i creditori del governo tedesco hanno diritto al pignoramento dei beni tedeschi in Italia: 

I creditori, cui la Corte Costituzionale ha riconosciuto il diritto a vedere accertata dinanzi a un giudice italiano la lesione dei diritti inviolabili della persona, compiuti sul territorio italiano dalle forze del Terzo Reich, subirebbero la soppressione del loro diritto di procedere ad esecuzione forzata in ragione dei titoli di condanna ottenuti.

Secondo la giudice, applicando il decreto legge del governo Draghi, 

La Germania sarebbe l’unico Stato sovrano dell’Unione Europea che potrebbe sottrarsi all’esecuzione forzata di titoli di condanna in suo danno per la lesione di diritti inviolabili della persona.

Adesso spetterà alla Corte Costituzionale decidere. Fabio Anselmo, legale dei familiari di Gualberto Cavallina, dice che si tratta di «una decisione importante. Nel nome di accordi tra Stati non si possono ignorare le sofferenze inflitte ai popoli. La nostra Costituzione non lo permette».

Non tutti sono però d’accordo. Ha detto Gianluigi Giannetti, sindaco di Fivizzano in provincia di Massa-Carrara, dove tra il 24 e il 27 agosto del 1944 furono uccise dalle SS 174 persone: «Non possiamo continuare questa guerra, questo scontro con la Germania. Dopo quasi 80 anni». Anche il sindaco di Stazzema (560 assassinati il 12 agosto 1944), Maurizio Verona, è pessimista sull’azione intrapresa dalla giudice Iappelli: «Sono d’accordo sul fatto che i crimini contro l’umanità siano imprescrittibili e che quindi qualsiasi erede, nel tempo, abbia diritto a invocare un giusto ristoro. Ma la posizione della Germania è stata ’blindata’ da una decisione dell’Aia e pertanto solo lo Stato Italiano può dare risposta ai familiari delle vittime italiane. Anche in Grecia i familiari di alcune vittime hanno vinto la causa nei confronti dello stato tedesco. Il giudice internazionale ha stabilito a chiare lettere che un singolo cittadino non può fare ricorso contro uno Stato».

Marco De Paolis, procuratore generale militare presso la Corte d’Appello del tribunale militare di Roma, che ha istruito negli anni circa 450 procedimenti militari per crimini di guerra ottenendo in primo grado oltre 50 condanne, ha detto

Davanti a un dramma così profondo, radicale, prolungato, realizzato attraverso fatti di una brutalità estrema, io credo che affidarsi a un meccanismo di ristoro basato essenzialmente sull’idea che quei fatti possano essere valutati da un punto di vista pecuniario e quantificato in una somma risarcibile, non sia possibile. Inoltre, se si ammette questa strada, poi si pone per coerenza la necessità di doverla percorrere completamente.

Se si afferma l’idea che ogni violenza commessa a danno dei civili in guerra deve essere risarcita dallo Stato che l’ha commessa, allora dovremo risarcire con lo stesso mezzo, cioè con singole cause di risarcimento danni a norma dei codici civili, anche i bombardamenti degli alleati in Italia? E le vittime di Hiroshima e Nagasaki, non avrebbero diritto di essere risarcite anche loro? La mia idea è che bisognerebbe rimanere nell’alveo del diritto internazionale, e non del diritto civile. In altre parole, la strada maestra per mettere fine a questa tragica storia è un accordo diretto tra gli Stati, nel nostro caso tra l’Italia e la Germania.