Cosa vuole fare il governo col PNRR?
Continua a chiedere alla Commissione Europea più soldi e più tempo, ma potrebbe trattarsi di una strategia politica
Negli ultimi giorni diversi ministri del governo guidato da Giorgia Meloni hanno fatto capire che intendono chiedere all’Unione Europea più soldi o più tempo per applicare il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), cioè il documento con cui il governo italiano spiega come intende spendere i finanziamenti che stanno arrivando dall’Unione Europea tramite il Next Generation EU, chiamato anche Recovery Fund.
Fra gli altri il vicepresidente del Consiglio Matteo Salvini ha detto che rispettare tutti gli impegni presi finora sembra troppo «ambizioso». «Io sono dell’avviso che il PNRR andrebbe prorogato almeno di un paio d’anni», ha detto Nello Musumeci, ministro delle Politiche per il mare. La Commissione Europea, che si occupa di monitorare l’applicazione del Next Generation EU, ha ribadito che il PNRR si può modificare ma soltanto nei parametri già previsti, molto stretti, e che rinvii sulle scadenze temporali «non sono possibili dal punto di vista tecnico, politico e legale».
Una fonte interna alla Commissione Europea sottolinea in realtà che il clima fra la Commissione e il governo italiano è buono, e che la polemica di questi giorni sembra essere soprattutto mediatica. Alcuni commentatori ritengono infatti che il governo stia cercando di mettere le mani avanti per motivare il fatto che alcuni obiettivi del PNRR non verranno raggiunti in tempo, o che comunque ci saranno ostacoli e difficoltà. Sul Corriere della Sera per esempio Federico Fubini ipotizza che il governo stia facendo «una ricerca preventiva di giustificazioni» per coprire i suoi futuri fallimenti.
Qualche tempo fa il Sole 24 Ore aveva fatto notare che già il governo di Mario Draghi aveva ridotto le previsioni di spesa iniziali del PNRR fra 2020 e 2022: «in partenza erano fissate a 41 miliardi, poi erano state ridotte a 33,7 miliardi dal Documento economia e finanza (Def) dello scorso aprile e ora ancora ridotte con la Nota di aggiornamento al Def (Nadef) a 20,5 miliardi (5,5 per il 2020-2021 e 15 per l’anno 2022)».
Dei 20,5 miliardi di spese previste fra 2021 e 2022 il governo Meloni teme di realizzarne entro fine anno solo una parte: in settimana il ministro responsabile per l’attuazione del PNRR, Raffaele Fitto, ha fatto sapere che «la percentuale di spesa non sarà molto alta». Alcune stime circolate sui giornali parlano di circa 15 miliardi di euro, e quindi di un certo ritardo accumulato dal governo Draghi prima e dal governo Meloni oggi, che rischierebbe di far perdere almeno una parte dei fondi previsti.
Sembra però che questa spesa inferiore alle previsioni non condizionerà gli obiettivi previsti dal PNRR per la fine del 2022: una fonte interna alla Commissione dice che al momento «non vediamo grossi problemi» di ritardi o scadenze mancate. I 19 miliardi che il governo dovrebbe ottenere per avere rispettato le scadenze della seconda metà del 2022 non sembrano quindi a rischio.
Un altro discorso chiaramente riguarda le prossime scadenze. Ogni sei mesi, per continuare a ottenere i fondi, il governo deve dimostrare di avere raggiunto certi obiettivi chiamati milestone e target, già fissati. Finora gli obiettivi riguardavano soprattutto milestone qualitative, come per esempio alcune riforme: dal 2023 ci saranno moltissimi obiettivi target, cioè quantitativi, di investimenti concreti in bandi e progetti. Per le prime due scadenze il governo aveva dovuto rispettare soltanto tre target in tutto: a questo giro, cioè entro la fine di dicembre, dovrà raggiungerne 16. E nei prossimi anni ne andranno rispettate altre decine.
Per quanto riguarda le modifiche su soldi e tempi necessari, i paletti sono ben definiti. Il Regolamento europeo che definisce il Dispositivo per la ripresa e la resilienza, cioè il principale serbatoio finanziario del Next Generation EU, disciplina all’articolo 21 i casi in cui i governi nazionali possono chiedere di modificare il PNRR. In realtà è contemplato un solo caso: quello in cui il piano «non può più essere realizzato, in tutto o in parte, dallo Stato membro interessato a causa di circostanze oggettive». La Commissione quindi si dice disponibile a ridiscutere obiettivi e modalità di singoli progetti, ma è abbastanza irremovibile su modifiche più ingenti.
Sui finanziamenti, diversi ministri hanno fatto notare che i costi delle materie prime sono molto aumentati rispetto alla stesura del PNRR, avvenuta prima della guerra, e che per questo servirebbero più soldi per realizzarne i progetti. La fonte della Commissione fa notare che sarà difficile riuscire a ottenere dall’Unione Europea maggiori fondi rispetto a quelli stanziati finora, e che il governo potrebbe ricorrere a soldi inutilizzati per progetti che sono costati meno del previsto, o risorse interne (i circa 7 miliardi stanziati nelle ultime settimane dal governo Draghi per far fronte all’aumento dei costi per i progetti del PNRR non sono ancora stati utilizzati del tutto).
Dal punto di vista delle scadenze temporali si potrà discutere se rinviare alcuni obiettivi intermedi, ma al momento sembra quasi impossibile prolungare i progetti oltre il 2026, nonostante l’Italia non sia l’unico paese ad essersi lamentato della rigidità di questo limite. Per modificarlo servirebbe una decisione all’unanimità dei governi europei in sede di Consiglio dell’Unione Europea: e ad oggi non sembra che i paesi del Nord, tradizionalmente più conservatori dal punto di vista economico, siano disposti a concedere maggiori risorse e agevolazioni ai paesi che più beneficiano del PNRR.