Quelli che insegnano il calcio agli americani
Due commentatori inglesi stanno convincendo folle di americani, con l'aiuto dei Mondiali, che forse questa è la volta buona
di Ben Strauss - The Washington Post
È quasi mezzanotte di sabato e Roger Bennett prende posto sul divanetto di un bar nella zona sudorientale di Washington. Ha appena terminato una registrazione dal vivo del suo podcast di calcio e ha un volo all’alba per Austin – la tappa successiva di un tour di un mese per la Coppa del Mondo che tocca dieci città – dove lo aspettano un altro programma dal vivo, uno streaming su Twitch della partita Stati Uniti-Iran e ancora registrazioni di podcast. Ha dei pantaloni cachi e un pile a strisce rosse, bianche e blu. La testa calva brilla sotto le luci al neon, e ha gli occhi cerchiati di scuro. È raggiante. «Sono mentalmente esaurito in questo momento» dice con la sua tipica cadenza di Liverpool: «Ma uno sfinimento così bello non l’ho mai provato».
Insieme al londinese Michael Davies, Bennett è parte del duo noto come Men in blazers che dal 2010 diverte un pubblico mondiale in costante crescita con le sue stravaganti cronache calcistiche. Sabato, durante il programma, Bennett ha definito Lionel Messi un Orsetto del Cuore argentino e ha cantato in falsetto il nome dell’attaccante spagnolo Alvaro Morata sulle note di “If you like Piña Coladas” [Escape (The Piña Colada Song), ndr].
Bennett e Davies contano su una squadra di dodici addetti alla produzione; i loro programmi dal vivo attirano tra le 500 e le 1000 persone alla volta. Hanno appena pubblicato un libro sui migliori calciatori di sempre e tanti di quei podcast da coprire ogni aspetto di questa Coppa del Mondo. Bennett ha collaborato con l’ex portavoce della Casa Bianca di Obama, Tommy Vietor, per parlare delle questioni geopolitiche legate al torneo in Qatar, e con Brendan Hunt, il co-creatore della serie Ted Lasso, per raccontare il viaggio della nazionale maschile americana.
L’obiettivo è trasformare Men in blazers in una media company alimentata dall’aumento della popolarità del calcio negli Stati Uniti. Il calcio è lo sport-americano-del-futuro dal 1972, è solito scherzare Bennett, ma è pronto a giurare che con questi Mondiali il momento sia finalmente arrivato (o il momento prima del momento).
«Il Mondiale del 1994 qui doveva far decollare il calcio, invece è arrivato e se n’è andato come un’onda» ha detto Bennett. «Da allora ogni Coppa del Mondo è stata un’onda più grande che si è lasciata dietro un pubblico sempre più vasto. Non è una linea retta, ma con la Coppa del Mondo in arrivo negli Stati Uniti nel 2026 e il successo che sta riscuotendo il calcio femminile, la mania sta per scoppiare. È un movimento, ecco cos’è».
I dati lo confermano. Secondo la rete televisiva Fox, Stati Uniti-Inghilterra è stata la partita di calcio più seguita della storia americana sulla tv in lingua inglese. La rete NBC, che ha appena concluso un accordo da 2,7 miliardi di dollari per sei anni di diritti televisivi, sostiene che l’anno scorso la Premier League inglese abbia raggiunto più di 30 milioni di spettatori negli Stati Uniti, rispetto ai circa 13 milioni del 2012. Ted Lasso colleziona Emmy, mentre l’attore Ryan Reynolds ha comprato un club gallese di una divisione inferiore, il Wrexham, e ne ha tratto una docuserie. I giocatori statunitensi compaiono nelle rose delle migliori squadre europee e i campionati di calcio europei sono diventati il piatto principale offerto dai servizi di streaming, che lottano per la supremazia tra i media americani.
Prima di questa Coppa del Mondo, Netflix ha mandato in onda un documentario sulla corruzione nella FIFA, mentre Meadowlark Media ne ha prodotto uno in inglese e spagnolo per Amazon Prime sulla rivalità calcistica USA-Messico.
A Bennett sembra ancora di sognare. Ripensa a quando entrava nei bar di Chicago durante le partite del Mondiale del 1994 e li trovava vuoti. O all’anno seguente, quando la sua squadra preferita, l’Everton, era in campo per un’importante partita della FA Cup inglese, e lui l’aveva seguita con suo padre a Liverpool che gliel’aveva fatta sentire tenendo il telefono accostato alla radio. Fino al 2006 sulla rete sportiva americana ESPN la Coppa del Mondo di calcio era stata un «time buy», cioè la rete non pagava i diritti per mandare in onda il torneo.
Negli ultimi due decenni Bennett e Davies, un veterano della televisione che ha portato Chi vuol essere milionario? negli Stati Uniti e ora è produttore esecutivo del quiz Jeopardy, sono stati osservatori privilegiati del percorso di questo sport. In occasione della Coppa del Mondo del 2002 in Giappone e Corea del Sud, il futuro presidente di ESPN John Skipper aveva assunto Davies perché scrivesse pezzi quotidiani al termine delle partite. L’alto numero di visualizzazioni lo spinse a insistere per acquisire i diritti sia delle Coppe del Mondo 2010 e 2014, sia della Premier League, per sostituire i programmi di caccia e pesca nelle mattine dei fine settimana. «Penso che gli ascolti siano triplicati», dice Skipper.
Nel 2010 ESPN spese circa 40 milioni di dollari per la produzione della Coppa del Mondo in Sudafrica, più o meno la stessa cifra pagata per i diritti. «Abbiamo deciso di fare della Coppa del Mondo una delle nostre tre o quattro priorità» spiega Skipper, che ora gestisce Meadowlark Media. «Se ho incontrato resistenza? Certo».
Bennett e Davies si sono conosciuti a un matrimonio durante la Coppa del Mondo del 2006 e hanno intuito la stessa opportunità. Bennett era uno scrittore e autore freelance, anche per ESPN, e nel 2010 i due hanno lanciato il podcast con Grantland, il sito sportivo di ESPN curato dal commentatore sportivo Bill Simmons. Durante quella Coppa del Mondo Bennett appariva regolarmente nel programma di MSNBC Morning Joe e interpretava il torneo per i telespettatori americani tra un segmento sulla stagflazione e uno sulla politica delle corse di cavalli (il famoso giornalista Tom Brokaw una volta gli aveva chiesto in diretta perché valesse la pena dare tanta attenzione al calcio; qualche anno dopo gli avrebbe raccontato dei viaggi di famiglia che organizzava per seguire le partite della Premier League).
I media statunitensi hanno cercato per anni di vendere il calcio al pubblico americano, con alterna fortuna. Bennett dice che una volta, anni fa, un dirigente di ESPN aveva cercato di convincerlo che la Major League Soccer – il maggiore campionato di calcio statunitense – fosse la cosa su cui investire per far crescere l’interesse per il calcio negli Stati Uniti. «Se sei a Houston che maglia ti metti, quella del Real Madrid o degli Houston Dynamo?» gli aveva retoricamente domandato il dirigente. Ma Bennett era invece convinto che fosse la Premier League a rappresentare il miglior calcio del mondo, e che avrebbe catturato maggiormente l’attenzione degli americani.
Quando il videogioco FIFA, della EA Sports, ha fatto conoscere a una generazione di americani giocatori come Messi e Ronaldo, Bennett ha capito che il suo ruolo era guardare oltre gli schemi di gioco. Doveva trasformarsi in un sommelier del calcio per i curiosi della Premier League, e aiutarli a trovare una squadra a cui giurare fedeltà, come col baseball. «Io sono di Boston, tendo un po’ a commiserarmi… ma sono anche un adorabile perdente dei Red Sox pre-2004» gli disse Vietor a proposito dell’allora storica vocazione alla sconfitta della sua squadra di baseball. Bennett aveva la squadra ideale per lui. «Mi ha detto: “Allora sei un tifoso dell’Everton!”».
«I tifosi americani capiscono il gioco come qualunque inglese» dice Bennett. «Solo che agli americani è mancata, perché non l’hanno vissuta, una narrazione grazie a cui distinguere tra Atletico Madrid e Real Madrid. Qual è la differenza tra Inter e Milan? Qual è la loro storia, la loro cultura, la realtà politica? Noi abbiamo fatto leva sul retroscena e sul quadro storico».
Le reti americane l’hanno notato e oggi si servono a piacimento di Bennett e Davies per estendere la propria influenza. Nel 2014 ESPN li ha inviati in Brasile per girare un programma di riepilogo serale sui Mondiali; la NBC li ha assunti per condurre uno show televisivo sulla Premier League; la CBS ora sponsorizza podcast sulla Champions League e sulla National Women’s Soccer League. Lo stesso vale per i giocatori. «Ci hanno dato uno spazio in cui raccontare le nostre storie» ha detto la capitana della nazionale femminile Becky Sauerbrunn, ospite abituale dello show: «Grazie a loro noi e il calcio femminile in generale abbiamo più seguito».
Sabato sera a Washington circa 700 persone, con magliette dei Men in blazers e sciarpe del Team USA, sono accorse al Capital Turnaround per assistere allo spettacolo dal vivo. Più tardi, in un bar, Davies e Bennett sono stati assaliti dai tifosi come vere celebrità. Bennett dava udienza a quasi tutti quelli che incontrava, si faceva scattare foto e parlava con ottimismo delle possibilità che secondo lui la nazionale statunitense, la sua squadra d’adozione, aveva di fare strada (l’opinione era unanimemente condivisa dalla folla. «Mi dà un po’ fastidio» ha commentato Claire Bates, britannica trapiantata e fedele ascoltatrice, riferendosi al fatto che Bennett abbia abbandonato gli inglesi per gli americani).
Questo è solo un passaggio; il passo successivo sarà convincere i media mainstream a smettere di considerare il calcio uno sport per appassionati, e i maggiori commentatori sportivi come Stephen A. Smith a parlare dei meriti del 4-4-2, o del ruolo di Gio Reyna in nazionale, con lo stesso trasporto con cui parlano dei Dallas Cowboys e di LeBron James. Secondo Bennett ci siamo vicini. «Stephen A. Smith parla di cose che catturano l’interesse» ha detto. «Le cose si stanno muovendo. Le cifre spese per questo sport in America stanno aumentando vertiginosamente. E presto o tardi Smith si ritroverà a parlare, suo malgrado e con stupore, dei quattro o cinque giocatori americani che giocano per il Tottenham Hotspur contro il Manchester United mercoledì sera e dirà: “Non so come ci siamo arrivati, ma eccoci qui”».
Fino ad allora bisognerà accontentarsi degli streaming che Bennett fa su Twitch. Durante le partite sgrana gli occhi e gesticola in un modo che renderebbe fiero Smith. «Non permettete loro di trattarci come il Dream Team di basket trattò Toni Kukoc» ha implorato i giocatori degli Stati Uniti durante la partita pareggiata con l’Inghilterra. «Mi sono pisciato addosso!» ha urlato quando Christian Pulisic ha segnato contro l’Iran.
Al bar, a mezzanotte ormai passata, beve un ultimo sorso di birra, annuncia che ha una sceneggiatura da scrivere prima del volo e corre fuori a cercare il suo Uber, in un turbine di pantaloni cachi e americanità.
© 2022, The Washington Post
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(traduzione di Sara Reggiani)